Rientrate le proteste studentesche in Iran - Ma il paese degli ayatollah resta in bilico

Sembra proprio che le manifestazioni studentesche in Iran siano progressivamente calate di intensità fino a perdere ogni carica propulsiva. Erano iniziate il 10 giugno nel campus universitario di Amir Abad e avevano preso le mosse contro il progetto di privatizzare gli ostelli e parte dei servizi universitari nonché contro l'aumento dei prezzi. Risultava evidente ci si trovasse di fronte ad una protesta con un suo retroterra e che era maturato già da tempo: vi era il progetto di privatizzare parte dell'istruzione universitaria e di aumentare le tasse scolastiche che di fatto avrebbero impedito alle classi medie e popolari di far studiare i figli a livello superiore. Questo movimento all'inizio, stando almeno alle dichiarazioni di alcuni suoi dirigenti, voleva essere non politico però, mano a mano che la contrapposizione al regime si è andata radicalizzando, la valenza politica è emersa in tutta la sua cifra. D'altronde non poteva essere diversamente considerato che alle richieste di carattere prettamente rivendicative sono andate progressivamente ad aggiungersi le proteste contro il regime teocratico di Khamenei e non solo, in quanto la virulenza degli attacchi ha riguardato anche il presidente della repubblica islamica, Khatami, eletto nel 1997 e poi nel 2001 ed in cui erano state riposte tante aspettative riformatrici. Anche nel 1999 si erano avute manifestazioni analoghe ed erano state anche allora duramente represse da milizie paramilitari, opportunamente motivate dal regime degli ayatollah, e ancor prima, parliamo del 1979, la rivoluzione anti-shah aveva avuto inizio nelle università per poi assumere connotati sempre più consistenti tra gli altri strati sociali, in particolar modo nel microcosmo dei bazar. Allora questa alleanza trasversale portò alla caduta di Reza Pahlevi ed all'instaurazione, di fatto, di una repubblica islamica, quindi clericale, con presidenti scelti sempre nel corpo religioso se si eccettua il breve interregno del laico Bani Sadr deposto però dopo appena due anni, nel 1981, dai mullah. La repubblica islamica dell'Iran, giova dirlo, presenta dei tratti peculiari. Per esempio, esiste, è vero, un presidente della repubblica democraticamente eletto e che dovrebbe costituire la massima autorità dello stato; ma ben al di sopra di tale carica "istituzionale" si pone, in virtù dell'interpretazione sciita delle leggi islamiche, la cosiddetta "guida spirituale" o carica suprema che, anche non avendo poteri o responsabilità politiche, vigila dall'alto sull'indirizzo complessivo della classe dirigente. Pertanto sia il presidente della repubblica che le altre cariche istituzionali rappresentative devono, quanto meno in teoria, conformarsi alle direttive indicate dal "capo supremo" il quale possiede, per la religione sciita, il cosiddetto "velayat al faquiyt" cioè il potere che deriva direttamente da dio e quindi un potere assoluto che fa di lui, in pratica, il capo supremo di tutta la nazione. Più prosaicamente parlando, questo potere, che accantona ben volentieri l'ambito spirituale per gestire al meglio, come qualsiasi bottega, la struttura economica, diventa espressione di un formidabile apparato che lega, in un tutt'uno, un clero in carriera, apparati segreti e fondazioni, gestite da pezzi grossi del regime, ufficialmente filantropiche ma che in realtà costituiscono gli snodi dell'economia. Traspare da tutto ciò una situazione che si caratterizza per l'arroccarsi, da un lato, della classe dirigente intorno ai gangli vitali del potere, tout court, e che non ha intenzione alcuna di allargare le maglie della teocrazia e, dall'altro, una borghesia laica che, al di fuori della breve esperienza di Bani Sadr, non ha mai trovato modo di gestire per via diretta il potere e che quindi morde il freno dal 1979 allorché partecipò, sì, alla rivolta che abbatté lo shah senza sapersi o potersi porre, tuttavia, come punto di riferimento dei "mostazafin" cioè le immense masse di sottoproletari che sostennero le lotte dei liberali e degli studenti, cosa che seppe fare e al meglio il clero. Assistiamo quindi ad una lotta tra due fazioni, genuinamente borghesi, per la gestione del potere e delle quali l'una, di fatto conservatrice, rappresenta il regime e l'altra, l'ala cosiddetta riformatrice, dà voce a settori sempre più ampi della società che non accettano più la cappa del clero sciita. Tutto ciò, è bene rimarcarlo, in un contesto regionale profondamente modificato dopo le guerre in Afghanistan ed Iraq. L'ala riformatrice ha, come già detto, quale punto di riferimento Khatami che divenne presidente della repubblica nel 1997 a capo di una coalizione composta da elementi residuali khomeinisti, dalla fazione filo-occidentale di Rafsanjani e da partiti nazionalisti i quali erano portatori di un programma politico che privilegiava il "dialogo tra civiltà" onde rimuovere gli ostacoli ancora esistenti nelle relazioni con gli USA e incentivare quelle peraltro già esistenti con l'Europa dell'euro. L'iniziativa, peraltro appoggiata dalla comunità capitalistica internazionale, poteva valersi di diversi strumenti nella battaglia contro il regime tra cui uno dei più importanti è stato, nel 1999 come ora, il movimento degli studenti che è stato utilizzato quale gruppo di pressione e che si caratterizza, da sempre,come portatore di interessi borghesi o piccolo borghesi. Il fallimento di quest'ultima rivolta, dopo 10 giorni di scontri, la dice infatti lunga sulla capacità di presa di queste manifestazioni sulla classe operaia. È manifestamente chiaro che portare avanti istanze autenticamente democratico borghesi non può bastare a coinvolgere una classe che ha pagato i maggiori contributi di sangue al khomeinismo prima e ai suoi successori dopo. Ricorda qualcuno, tanto per citare un caso, la dimostrazione dei lavoratori petroliferi selvaggiamente repressa nel 1997?

Và da sé che una lettura non superficiale degli accadimenti di questi giorni non possa prescindere dal contesto interno iraniano così pure da quello internazionale per motivi che ineriscono la posizione geografica del paese, strategicamente di vitale importanza, ma anche per una certa diversità dell'Iran in relazione al contesto medio-orientale. Possiede infatti una struttura economica abbastanza diversificata laddove accanto al settore petrolifero troviamo industrie metallurgiche, siderurgiche, meccaniche, chimiche, petrolchimiche ed una struttura commerciale di un certo rilievo il che lo distingue nettamente da altre realtà mono-produttrici della regione. Ed è primariamente il suo petrolio e il fatto che l'Iran potrebbe costituire un via alternativa al petrolio russo che a un tempo preoccupa e solletica gli appetiti degli USA i quali ricorrendo al solito cliché degli stati-canaglia non vedono l'ora di poter mettere le mani anche sui giacimenti petroliferi iraniani. L'Europa, per intanto, segue, il tutto molto attentamente e con discrezione. È presente nell'area con interessi molto corposi, basti pensare ai contratti stipulati dalla Total, tuttavia non può ancora impegnarsi in una contrapposizione frontale con gli americani prima di aver realizzato o quantomeno iniziato a costruire l'unità politica, economica e militare e quindi fa leva sulle fazioni della borghesia iraniana che già hanno trovato nell'euro la valuta internazionale di riferimento più conveniente. Da questo punto di vista, le manifestazioni studentesche contro il regime degli ayatollah potrebbero costituire un ostacolo a un'eventuale invasione statunitense. A differenza di quanto accaduto in Iraq con Saddam Hussein, infatti sarebbe molto difficile giustificare l'occupazione con la tesi della necessità di dovervi esportare la democrazia visto che gli iraniani sono capaci da soli di lottare per questo scopo senza che ci sia bisogno di alcuno intervento esterno.

Purtroppo anche qui l'assenza di un polo di aggregazione per gli elementi più coscienti di una classe operaia che ha visto esercitata principalmente contro di essa la feroce dittatura dei turbanti neri, non lascia per il momento intravedere una soluzione della questione iraniana diversa da quella che vuole questo paese nelle braccia di questa o quella potenza imperialistica e il suo proletariato costretto a pagarne il salatissimo prezzo.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.