Statistiche manipolate

Preso atto, dal Censis, che i lavoratori in nero sfiorano in Italia i 4 milioni (4.900.000 per l'Istat) ci si chiede: quanti sono esattamente gli occupati regolari in Italia? Stando agli ultimi dati Istat, non vi sono certezze. Infatti, le rilevazioni trimestrali si basano intervistando circa 70mila famiglie (200mila persone) in 1.400 comuni, chiedendo a ciascuno se ha avuto nel trimestre una attività lavorativa, anche limitata, occasionale, non stabile, Una indagine campionaria, quindi, i cui dati sono proiettati su tutta la popolazione attraverso elaborati calcoli statistici, fino a stabilire (?) in quasi 22 milioni gli occupati. Cifre che possono in realtà variare di parecchie migliaia di unità in più o in meno. Prendiamo un'altra rilevazione Istat inserita nelle stime di contabilità nazionale. Base di partenza: beni e servizi prodotti nel paese, quantità di lavoro necessarie a produrli, domanda di lavoro delle imprese, dati demografici delle famiglie. Il risultato è anche qui approssimativo e per di più riferito non a persone fisiche ma ad unità di lavoro, equivalenti a lavori a tempo pieno. Nel 2000, per esempio, e rispetto all'altro metodo trimestrale, si stimarono addirittura due milioni di occupati in più, distinguendo però tra unità di lavoro regolari e irregolari e dando così spazio a interpretazioni e valutazioni di comodo, a seconda di chi si guarda attorno e pretende di misurare gli effetti delle strategie politiche seguite dai manovratori istituzionali.

Nell'attesa che i fatti concreti smentiscano l'idealismo marxista (così sognano gli economisti borghesi), mai come oggi si conferma che lo sviluppo della produttività del lavoro crea un crescente esubero di manodopera, un esercito di disoccupati pressoché stabili invece di ridurre per tutti le ore di lavoro. La cosiddetta globalizzazione altro non significa, in definitiva, che il punto ormai estremo di sviluppo dei mercati internazionali, concorrenza e accaparramento delle materie prime, dimensioni e concentrazione degli apparati produttivi. Anziché risolversi, aumentano ed esplodono tutti gli squilibri, gli antagonismi e le contraddizioni del capitalismo, fino a quella diminuzione del profitto non come massa in sé ma come rapporto con le enormi quantità di capitale che devono essere anticipate per ottenere un "giusto" profitto. Gli effetti disastrosi e gli squilibri economici che si accavallano nella società borghese possono essere parzialmente e momentaneamente frenati da qualche intervento estemporaneo, mai eliminati. Tendenzialmente si aggravano, poiché proprio l'aumento costante della produttività, quindi dello sfruttamento della forza-lavoro, è una delle cause delle crisi. La produzione di merci aumenta (o potrebbe aumentare) ad altissimi livelli ma con sempre meno operai: questo, nel capitalismo, significa ridurre con la massa dei salari anche la massa dei consumi. In tutti i casi per il capitale diventa una necessità imprescindibile quella di risparmiare, in ogni settore, sul costo del lavoro: contenendo al minimo i salari e ricorrendo al cosiddetto "lavoro nero", abbondantemente sottopagato, specie femminile o minorile. Così il capitalismo mantiene il dominio del lavoro morto sul lavoro vivo. E così l'accumulazione e lo sviluppo della ricchezza su base capitalistica (di cui gode la classe borghese e i suoi servili adulatori) producono lavoro precario, sottopagato e disoccupazione in sempre maggiore quantità, costringendo nella miseria masse crescenti di proletari il cui futuro si fa sempre più minaccioso.

DC

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.