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Home ›E' l'ora dello staterello palestinese?
Seconda parte - Con la morte di Arafat si rimescolano tutte le carte
Anche all'interno di Al Fatah si è prodotta, dopo la seconda intifada, una faglia di rottura. Da una parte i soliti vertici e dall'altra l'organizzazione armata dei Martiri di Al Aqsa guidata da Ahmed Helles. Quest'ultimo, nel tentativo di scalare dall'interno la vecchia struttura politica di Arafat, ha brandito la bandiera della trasparenza. Ha minacciato di costituire Corti rivoluzionarie contro la corruzione dell' Anp cavalcando un malumore diffuso. In periodi recenti ci sono state manifestazioni popolari contro la corruzione della polizia e della Amministrazione palestinese sotto la gestione di Arafat. La fame, la disperazione di larghissimi strati della popolazione, sono state più forti dell'amor di patria e dell'odio verso il nemico sionista. Nulla di stravolgente sul piano di classe, ma sufficiente ad allarmare una parte della borghesia, quella meno compromessa con il potere amministrativo, e quindi, più sensibile al recupero politico delle masse sfruttate dai capitalisti sionisti e autoctoni e prese in giro dalla loro stessa amministrazione.
Rimane il fatto che l'agitarsi delle fazioni borghesi palestinesi deve fare i conti con il governo Sharon e con gli interessi d'area dell'imperialismo americano. Ed ecco il secondo scenario che va delineandosi dopo la morte di Arafat, ma soprattutto dopo il fallimento americano in Iraq.
Bush, subito dopo la sua rielezione ha dichiarato, per l'ennesima volta, di voler porre mano alla questione palestinese con il solito slogan: due popoli, due stati. La strategia, peraltro non nuova, è quella di servirsi della questione palestinese per soddisfare gli interessi politici americani e di immagine sullo scenario internazionale. Il mezzo, quello di disinnescare la questione palestinese promettendo di favorire la nascita dello stato di Palestina, il fine quello di calmare l'ira del terrorismo internazionale ed iracheno nella speranza di ottenere quei successi petroliferi che sino ad oggi gli sono mancati.
Se le cose stessero così, e non è detto che gli sviluppi internazionali le confermino, di quale Stato si tratterebbe? Non quello della risoluzione 181 del novembre del 1947, non quello basato sulla restituzione di tutti i territori occupati nel giugno del 1967, ma uno stato monco, costituito dalla striscia di Gaza e da quella piccola parte che Israele intende concedere della Cisgiordania, terra ricca di acque, forte di un' economia agricola fiorente e piena di insediamenti di coloni israeliani. Non a caso Sharon, con l'avallo dell'amministrazione Bush, ha deciso unilateralmente l'abbandono degli insediamenti nella striscia di Gaza per avere mano libera nel mantenere le colonie, economicamente e strategicamente più importanti, della Cisgiordania. Lo stesso dicasi per la costruzione del muro che sancisce di fatto i confini che Israele ha deciso di tracciare attorno ai territori palestinesi con profonde intrusioni nel cuore della Cisgiordania a difesa dei coloni, delle loro terre e delle fonti idriche di maggiore interesse. Sempre con l'avallo americano il governo Sharon ha ritenuto di eliminare fisicamente tutti i capi di Hamas, della Jihad e di tutte le organizzazioni palestinesi che combattono contro la presenza israeliana nei territori occupati. Ha cioè prodotto una sorta di pulizia etnico - territoriale, nella per lui malaugurata ipotesi di doversi adeguare alla nascita dello stato palestinese. Questa e non altra è la terra promessa ai palestinesi, sempre che gli interessi dell'imperialismo americano e del suo alleato sionista non vengano dirottati su altri obiettivi. E allora per il futuro stato palestinese, benché mutilato e privato delle condizioni economiche e geografiche più importanti, ci sarà la solita lista d'attesa come da cinquantasei anni a questa parte. Per la borghesia palestinese il dilemma è tra l'accontentarsi di uno straccio di stato disegnato dagli interessi sionisti e americani e il proseguire sul terreno dello scontro frontale. Mentre per il proletariato palestinese, se non inizia ad imboccare il difficile cammino di una strategia politica autonoma, la trappola del nazionalismo borghese è sempre pronta a scattare quale sia lo scenario interno e internazionale. (fine)
fdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 2005
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