Vertice di Cuzco: le borghesie latinoamericane in movimento

Si apre un nuovo fronte per l'imperialismo yankee?

Il 9 dicembre scorso a Cuzco, Perù, si è tenuta una riunione tra gli stati del Sudamerica, in cui, forse, sono state poste le premesse di una svolta epocale nella tormentata storia del continente latino-americano. Infatti, nella città peruviana i capi di governo di qui paesi hanno firmato un accordo che prevede la creazione, entro il 2020, di una moneta unica, la messa in cantiere di grandi opere infrastrutturali che accelerino o favoriscano la reciproca integrazione economica, un trattato di libero scambio che unisca il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay) con la Comunità delle Nazioni Andine (Bolivia, Ecuador, Perù, Venezuela, Colombia) nonché col Cile, la Guyana e il Suriname. In poche parole, se questo ambizioso progetto dovesse andare in porto, si realizzerebbe il sogno del libertador Simon Bolivar, che quasi due secoli fa guidò la lotta delle gracili borghesie sudamericane contro il colonialismo spagnolo: gli Stati Uniti d'America Latina. Il Centroamerica, per ora, rimarrebbe fuori, ma a Cuzco non è stata affatto esclusa l'integrazione di quella regione - a cominciare dal Messico - nella ipotetica grande nazione latina.

È evidente, però, che le difficoltà da superare per portare a compimento il sogno bolivariano non sono né poche né lievi, a cominciare dall'atteggiamento dello Zio Sam, da sempre abituato a considerare tutto ciò che si trova a sud del Rio Bravo il proprio "cortile di casa". Tanto per cominciare, il 2005 dovrebbe essere l'anno dell'entrata in vigore dell'ALCA (Accordo di Libero Scambio tra le Americhe), in pratica una specie di mercato comune dall'Alaska alla Terra del Fuoco, in cui gli Stati Uniti farebbero la parte del leone, accentuando la sottomissione del Cono Sud agli insaziabili appetiti del proprio capitalismo. Ma una parte non piccola della borghesia latinoamericana, quella che avrebbe solo da perdere dall'ALCA, non è più disposta a subire passivamente i diktat politico-economici provenienti da Washington, tanto più che sul palcoscenico della politica internazionale sono comparsi nuovi protagonisti che hanno oggettivamente tutto l'interesse a mettere i bastoni fra le ruote dell'imperialismo nordamericano: l'Unione Europea e la Cina. È a costoro che Brasile e Argentina, i capifila - soprattutto il primo del progetto bolivariano, guardano con particolare attenzione per "fare squadra" contro lo strapotere yankee. Già oggi l'UE è tra i principali partner economici di molti paesi sudamericani e la Cina si sta muovendo in grande stile per entrare, con tutto il peso delle sue enormi riserve valutarie, nel continente latinoamericano. Qualche settimana prima del vertice di Cuzco, il premier cinese ha visitato alcuni paesi del centro e del sud America, ai quali ha illustrato il suo piano di "aiuti" economici per cento miliardi di dollari nell'arco dei prossimi dieci anni, "distribuiti soprattutto tra Argentina e Brasile" (Galapagos, il manifesto,19-11-'04). L'Argentina ha già firmato un accordo per un finanziamento di venti miliardi di dollari in alcuni settori strategici: alta tecnologia, petrolio, siderurgia, ferrovia, ecc. Il Brasile, dal canto suo, vorrebbe aprire una grande via di comunicazione che attraversi tutta l'Amazzonia e si affacci sull'Oceano Pacifico, per agevolare gli scambi commerciali con la Cina e, più in generale, la penetrazione delle merci brasiliane nell'Asia orientale. Ma, indipendentemente dall'aiuto che può venire dall'esterno, i più importanti paesi sudamericani in questo ultimo periodo hanno incrementato (o cercano di incrementare) i loro rapporti economici e, allo stesso tempo, si sforzano di appianare i contrasti che nascono dagli squilibri nelle rispettive bilance commerciali. Per esempio, Lula e Kirchner (presidenti di Brasile e Argentina) si sono recentemente incontrati per allentare le tensioni dovute all'eccessiva (secondo Kirchner) aggressività degli esportatori brasiliani verso l'Argentina e negoziare condizioni più favorevoli per le merci argentine dirette in Brasile. Se tra i due paesi non mancano, dunque, motivi di contrasto, è anche vero che gli oggettivi interessi per una cooperazione sempre più stretta sono perlomeno altrettanto forti; prova ne sia la collaborazione in atto per lo sviluppo della ricerca sul nucleare civile e, soprattutto, militare. È ovvio, infatti, che qualsiasi ipotesi di sganciamento dalla soffocante sottomissione all'imperialismo statunitense non può fare a meno del braccio armato, cioè di una forza militare che, se non altro, incuta rispetto all'avversario. A questo proposito, non è un caso che negli ambienti delle forze armate brasiliane e argentine prenda sempre più corpo un'aperta ostilità contro l'imperialismo dello Zio Sam (J. L. Tagliaferro, peacelink.org 15-12-04); per non parlare di Chvez, ex militare, che è giunto al potere sfruttando il profondo odio anti-yankee diffuso in vasti settori della popolazione, o delle ribellioni - come quella dei primi di gennaio in Perù - guidate ancora una volta da militari, il cui acceso nazionalismo si nutre, naturalmente, di quello stesso odio.

Ma così come nelle borghesie latinoamericane ci sono ancora vasti settori strettamente legati all'economia USA e aspramente contrari ai Lula, Kirchner, Chà vez ecc., allo stesso modo sarebbe indubbiamente un errore credere che le forze armate si siano indistintamente convertite nei più strenui difensori del nazionalismo latinoamericano in salsa democratico-sociale. È però significativo o, meglio, consequenziale, che alle mutate esigenze di una parte consistente della borghesia corrisponda - stando alle informazioni di cui disponiamo - un mutamento anche nella condotta dell'esercito: forse è finita l'epoca dei colpi di stato vecchio stile, finanziati e incoraggiati dalla CIA, a salvaguardia degli interessi statunitensi. Approfittando anche delle difficoltà economiche e dell'impegno su molti fronti dell'imperialismo statunitense, le borghesie latinoamericane stanno cercando di camminare con le proprie gambe. Al loro attivo possono mettere anche l'appoggio di vaste masse di proletari e diseredati, caduti nella rete del progressismo borghese, nonché la simpatia interna e internazionale della sinistra neo-riformista, comunemente chiamata no/new-global o altermondialista.

Di fronte a questi sommovimenti, gli Usa per ora hanno avuto una reazione di basso profilo, "accontentandosi" di armare fino ai denti il feroce premier colombiano, Uribe, in qualità di disturbatore delle ipotesi unificatrici. Ma è facile prevedere che non si lascerà sfrattare tanto facilmente dal loro "cortile di casa", né dalla borghesia latinoamericana né da chiunque altro.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.