Il dollaro si rivaluta grazie alle speculazioni sul prezzo del petrolio

La moneta americana recupera sull'euro grazie agli investimenti dei paesi Opec

Lo scorso 5 dicembre sul Financial Times è apparso un interessante articolo sui rapporti tra dollaro, euro e paesi esportatori di petrolio. Anche il portavoce del grande capitale finanziario internazionale "svela" come una parte importante dello scontro imperialistico tra gli Stati Uniti e l’Unione europea si stia giocando proprio sul terreno del dominio dei mercati monetari, sul ruolo egemone del dollaro e del tentativo di scalzarlo da parte dell’euro.

Secondo l’articolo del Financial Times il recupero del dollaro sulle altre principali monete, in maniera particolare l’euro, è dovuto soprattutto alla riconversione degli investimenti dei paesi dell’Opec nella moneta statunitense. Grazie ai massicci investimenti in dollari da parte dei paesi esportatori di petrolio il biglietto verde si è rivalutato, recuperando parte del terreno perduto negli ultimi tre anni, periodo durante il quale la moneta americana aveva perso nei confronti dell’euro oltre il 30% del proprio valore. A partire dall’ultimo trimestre del 2004 i paesi esportatori di petrolio hanno iniziato una lenta ma inesorabile riconversione dei propri depositi bancari in dollari, facilitando in tal modo la sua rivalutazione sui mercati monetari internazionali. Nel corso dell’anno appena trascorso la percentuale delle riserve monetarie dei paesi Opec detenute in dollari sono aumentate, passando dal 61,5% al 69,9% del totale, mentre nello stesso periodo la percentuale di riserve detenute in euro si è abbassata dal 24 al 16. Come si può osservare lo spostamento percentuale nella variazione del peso delle due monete è quasi identico, l’8% di riduzione per l’euro e dell’8,4% di aumento per la moneta americana.

Nel recupero del dollaro hanno giocato un ruolo importante i continui aumenti del tasso di sconto praticati negli ultimi anni dalla Federal Reserve americana, mentre la Banca centrale europea, anche nel tentativo di sostenere l’asfittica economia del vecchio continente ha mantenuto i tassi d’interesse ad un livello molto basso. Solo lo scorso novembre l’istituto europeo ha deciso di aumentare i tassi, seppur di un quarto di punto, per accorciare il differenziale tra i tassi americani ed europei. Per il Financial Times proprio quest’ultimo fatto potrebbe rappresentare l’inizio della fine della nuova fase di rivalutazione del dollaro, tanto che alcuni paesi dell’Opec potrebbero di nuovo ricollocare i propri risparmi in euro attratti da una maggiore stabilità economico e finanziaria dell’Unione europea.

Quello che l’articolo del Financial Times non mette in evidenza è lo strettissimo rapporto che intercorre tra dollaro e prezzo del petrolio, che come tutti sappiamo si esprime proprio in dollari. È non è un caso che su questo legame strettissimo tra dollaro e prezzo del petrolio gli Stati Uniti sono pronti a giocare fino in fondo tutte le loro carte pur di difendere la rendita finanziaria che deriva loro da questo rapporto. Il fatto che il petrolio possa essere acquistato solo in dollari determina che tutti i paesi non produttori di greggio debbano prima procurasi dollari e solo successivamente acquistare petrolio. Questo meccanismo ha creato una fortissima richiesta di dollari sui mercati internazionali, quindi fuori dagli Stati Uniti, alimentando in tal modo una cronica sopravvalutazione della moneta statunitense assolutamente non giustificata dai fondamentali dell’economia reale. Per il ruolo che gioca il dollaro negli scambi internazionali e nelle riserve monetarie, gli Stati Uniti sono nella condizione di stampare carta moneta ottenendo in cambio beni. Il circolo virtuoso che alimenta la rendita finanziaria per gli Stati Uniti s’avvia con il fatto che il prezzo del petrolio è fissato in dollari.

Chiunque metta in discussione questo rapporto diventa un nemico degli interessi statunitensi. L’Iraq è stato attaccato e invaso dalle forze armate americane, con l’aiuto inglese e la collaborazione degli italici soldati, ufficialmente per distruggere le armi di distruzione di massa ed eliminare le basi del terrorismo internazionale, in realtà per controllare direttamente una quota importante della produzione mondiale di greggio e delle seconde riserve più grandi finora scoperte. Ma i motivi dell’invasione vanno ricercati anche nel fatto che il regime di Saddam Hussein nel 2000 aveva preteso ed ottenuto che nel programma "oil for food" il petrolio iracheno fosse scambiato in euro anziché in dollari. L’Imperialismo statunitense non può permettersi di far aprire delle crepe nel modo di fissare il prezzo sui mercati petroliferi, tanto che la risposta all’iniziativa del rais di Baghdad è stata una guerra che ha portato il paese indietro di un secolo, tante sono state le distruzioni provocate da questo conflitto. Le minacce statunitensi all’Iran di questi ultimi mesi sono la conseguenza del fatto che il governo di Teheran ha avviato un programma che prevede di farsi pagare il petrolio esportato in euro anziché in dollari.

Gli Stati Uniti traggono una rendita non solo dal fatto che il prezzo del petrolio sia espresso in dollari, ma anche dal fatto che attraverso il proprio peso imperialistico riescono di fatto a determinarne il prezzo stesso. Variazioni nel prezzo del petrolio hanno delle conseguenze anche sul valore del dollaro. Infatti, se il prezzo del petrolio aumenta i paesi che devono acquistare petrolio sono costretti a procurarsi più dollari di prima per acquistare greggio, alimentando in tal modo quel meccanismo di sopravvalutazione del dollaro sui mercati monetari. La recente rivalu-tazione del dollaro non è solo il frutto dello spostamento degli investimenti da parte dei paesi dell’Opec nell’area statunitense, ma è la conseguenza della fortissima speculazione che si è alimentata intorno al prezzo del petrolio, arrivato in queste ultime settimane ad essere quotato intorno ai 65 dollari al barile.

Nel 2005 appena concluso il deficit statunitense delle partite correnti e il debito con l’estero hanno sfondato entrambi la soglia dei 500 miliardi di dollari, una cifra astronomica che solo attraverso il meccanismo della rendita finanziaria gli Usa riescono a gestire. In sostanza gli Stati Uniti hanno avuto beni e servizi per oltre 500 miliardi di dollari semplicemente stampando moneta che circola "liberamente" sui mercati internazionali senza mai rientrare sul mercato americano. Un meccanismo che alimenta quella rendita che sta arricchendo la borghesia statunitense ma che nello stesso tempo sta affamando il proletariato americano e con esso l’intera classe lavoratrice mondiale.

lp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.