La crisi dei subprime fa tremare l’economia mondiale

A ferragosto le borse hanno fatto il botto ma non per colpa del caldo

La crisi che dallo scorso mese fa vacillare le borse e il sistema finanziario del mondo intero, stando alle attese delle autorità monetarie internazionali, dei governi e della maggior parte degli analisti economici dovrebbe nel volgere di qualche mese essere riassorbita senza particolari strascichi.

Grazie all’immissione di abbondante liquidità da parte di tutte le più importanti banche centrali del mondo, con in testa la Fed e la Bce, i mercati, famosi per la loro presunta straordinaria capacità di riportare ordine nel sistema, non dovrebbero faticare più di tanto a ritrovare il giusto equilibrio anche perché è convinzione diffusa che i fondamentali della cosiddetta economia reale siano molto solidi. Insomma, si sarebbe trattato di una turbolenza quale un temporale di mezza estate che si annuncia con minacciosi tuoni e folgoranti lampi e, poi, dopo qualche scroscio di pioggia più o meno intenso, si acquieta lasciando di nuovo libero il cielo al dilagare dell’azzurro e della calda luce del sole. Probabilmente, nel breve-medio periodo, l’immissione di liquidità da parte delle Banche centrali darà un certo respiro e ciò potrà apparire una conferma che si è trattato di una crisi determinata da fattori contingenti, da un’anomalia nel funzionamento di un particolare settore del mercato finanziario e di un eccesso speculativo.

Analizzando i meccanismi che hanno alimentato la bolla immobiliare si scorge però che sono sostanzialmente gli stessi che in passato hanno alimentato la bolla speculativa della new economy e prima ancora quelle da cui poi sono scaturite le crisi che hanno travolto in successione l’economia messicana, quella delle cosiddette Tigri asiatiche, della Russia e dell’Argentina; tutte con gravissime conseguenze sulla cosiddetta economia reale. In tutti questi casi, infatti, la crisi è scaturita dallo scoppio di una bolla speculativa generata da una produzione eccessiva di capitale fittizio. Una produzione, cioè, di capitale finanziario a partire da altro capitale finanziario, svincolata quindi dalla produzione di merci o, nel migliore dei casi, rappresentativa di una loro eventuale produzione futura e perciò comunque virtuale. In ultima istanza si tratta di una produzione di una forma di capitale finanziario a partire da un debito. Per questa ragione il suo processo di accumulazione sembra non dipendere dallo sfruttamento della forza-lavoro ma dalla produzione di capitale fittizio. Nella fattispecie dei mutui subprime, (vedi in questo stesso numero di Bc l’articolo Finanza speculativa: profitti, disperazione e miseria), per esempio, per l’acquisto di una casa del valore 100, è stato concesso un mutuo di pari importo a un tasso piuttosto elevato. La banca che lo ha concesso ha suddiviso poi in tante quote questo suo credito e le ha cedute a Fondi specializzati che a loro volta hanno ceduto al risparmiatore di ultima istanza quote rappresentative del valore complessivo del loro portafoglio titoli cosicché a partire dal valore iniziale 100 della casa è stato prodotto un capitale cento, mille volte più grande.

Si aggiunga a tutto ciò che, grazie alla loro forza finanziaria, con opportuni interventi sul mercato della casa, questi Fondi Immobiliari, con il sostegno delle più importanti istituzioni finanziarie internazionali quali il Fmi e la Banca mondiale, sono riusciti a determinare una vertiginosa crescita della rendita immobiliare su scala internazionale tale che la casa del nostro esempio ha raddoppiato nel giro di qualche anno il suo valore. Èstato così possibile concedere, sempre sulla stessa casa, altri mutui da cui sono stati prodotti altri titoli (derivati) dando luogo a un vertiginoso processo di accumulazione interamente basato sulla produzione di capitale fittizio e che, perciò, sembrava non dovesse avere mai fine; infatti, più questi titoli aumentavano di valore e più aumentava la loro domanda più attiravano altri capitali.

Come per la bolla speculativa della New economy e di tutte le altre bolle speculative succedutesi nel corso delle ultime decadi si è assistito a uno spettacolare processo di accumulazione interamente basato sulla produzione di un’astrazione di valore (i vari derivati) a partire da un’altra astrazione (il titolo rappresentativo del debito). Un’astrazione, però, che, ricorrendo a un ossimoro, potremmo definire astrazione concreta nel senso che, essendo derivata da un’espressione di valore, ne acquista a pieno titolo tutti i diritti e la forza che questi diritti assicurano. Dal punto di vista degli interessi generali della società è una pura follia, ma non lo è dal punto di vista capitalistico per il quale l’unica cosa che conta è il profitto. E poiché, finché lo spettacolo va avanti, i profitti sono anche consistenti, ecco che l’idea che sia possibile produrre ricchezza a partire da una sua astrazione determinata (i derivati) sembra trovare nella realtà un obiettivo riscontro.

Il sogno svanisce però quando il debitore di prima istanza, per varie ragioni, non è più in grado di onorare il suo debito e/o quando, sul mercato, nel nostro caso quello immobiliare, per quei prezzi sia della casa sia dei suoi derivati finanziari, diventa difficile trovare nuovi compratori. A questo punto la bolla è destinata ad esplodere. Era insomma scritto nell’ordine delle cose che anche il mercato dei subprime non poteva durare all’infinito. Infatti è bastato che la Fed aumentasse il tasso di sconto di qualche punto perché molti mutuatari non fossero più in grado di onorare il loro debito. D’altra parte la Fed non aveva alternative perché già da qualche tempo il flusso di capitali provenienti dall’estero si era affievolito preferendo ai buoni del tesoro e alle obbligazioni statunitensi quelli in euro. In assenza di un rialzo dei tassi il flusso dei capitali in entrata rischiava di arrestarsi del tutto compromettendo così il finanziamento sia del deficit del bilancio pubblico sia di quello della bilancia commerciale. E fra i due mali la Fed ha scelto il minore.

Nell’immediato, a rimetterci sono state le banche e le società finanziarie più piccole e soprattutto i piccoli risparmiatori, coloro cioè che per tutelare i loro risparmi o per costruirsi una pensione di vecchiaia sono di fatto costretti a investire nei Fondi comuni. Nel prossimo futuro a pagare saranno invece i percettori di reddito fisso e coloro che vivono di salari stipendi e pensioni. Sarà su costoro, infatti, che ricadranno i costi necessari per riassorbire la liquidità in eccesso immessa sui mercati dalle banche centrali per evitare che la crisi si avviti su stessa sin dal primo momento. A guadagnarci invece sono stati, come sempre, i grandi gruppi monopolistici transnazionali capaci di influenzare fortemente il processo di formazione dei prezzi e perciò in grado di abbandonare la preda nel momento più opportuno oppure di approfittare della tempesta per acquistare a prezzi di svendita.

Da questo punto di vista si potrebbe dire: niente di nuovo sotto il sole! La speculazione finanziaria è sempre esistita e i mercati dei titoli mobiliari sono stati sempre molto simili a un casinò. Di nuovo c’è però che fino a qualche decennio fa essa era un’attività marginale rispetto al generale processo di accumulazione del capitale basato sulla trasformazione del capitale finanziario in capitale industriale e viceversa (D-M-D’). Ma a partire dalla prima metà degli anni 1980 i rapporti si sono invertiti. A causa della caduta del saggio medio del profitto industriale, le metropoli capitalistiche con in testa Usa e Gran Bretagna, hanno liberalizzato i mercati finanziari e dato il via libera alla produzione di questi nuovi strumenti finanziari con lo scopo di mettere a profitto la supremazia del dollaro e, in subordine, della sterlina per integrare i bassi saggi di profitto proveniente dalle produzione delle merci con quote crescenti di rendita finanziaria. Nel corso del tempo però la sfera finanziaria si è sviluppata al di là di ogni immaginazione e, soprattutto nelle metropoli del capitalismo, i profitti derivanti dalla produzione di capitale fittizio sono diventati il vero motore dell’accumulazione capitalistica. Il confine fra la cosiddetta economia reale e il mondo della finanza è divenuto così sottile che soltanto i professori di Harvard o della Bocconi possono pensare che si tratti di due mondi distinti e separati fra loro. In realtà sono interconnessi come mai in passato. Lo dimostra il fatto che ormai gli Usa rimangono la maggiore potenza del mondo pur vivendo di guerre, di debiti e di importazioni fino al punto che - scrive F. Rampini su La Repubblica del 15/8 u.s:

Quando una giornalista americana ha tentato di vivere per un anno senza made in China, si è accorta che è impossibile, salvo regredire all’esistenza arcaica di Robinson Crusoe.

Cosa però che implica necessariamente l’intensificazione dello sfruttamento e la svalutazione costanti della forza-lavoro affinché la produzione di plusvalore possa tenere il passo con la produzione e l’accumulazione di tutte le forme di capitale, la cinesizzazione cioè su scala internazionale del mercato del lavoro. Ma anche ipotizzando una giornata lavorativa di 24 ore e ritmi di lavoro ai limiti delle possibilità umane, i tempi per la produzione e l’accumulazione di capitale fittizio sono sempre, trattandosi di produzione cartacea, più veloci di quelli per la produzione di merci per cui le spinte alla sovraccumulazione risultano esasperate e fortemente accelerate. Per tutte queste ragioni, immaginare che nel moderno sistema capitalistico una crisi possa rimanere circoscritta nell’ambito della sfera in cui si manifesta è un puro non sense.

In realtà, essa è destinata ineluttabilmente a tracimare da una sfera all’altra e a produrre devastanti crisi sistemiche. A maggior ragione ciò vale per quest’ultima crisi. Tenuto conto delle dimensioni della massa dei capitali prodotti in eccesso; che il suo epicentro è negli Usa e delle interconnessioni fra l’economia americana e quella del mondo intero, al suo cospetto perfino la grande crisi del 1929 potrebbe risultare una semplice burrasca.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.