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Home ›Condizioni e lotte operaie nel mondo
Scuola
In Israele nelle scuole secondarie si sta scioperando ormai da 3 settimane, e i lavoratori intendono proseguire nella lotta nonostante le denunce fatte a carico dei rappresentanti sindacali e le solite accuse rivolte agli insegnanti, che secondo la borghesia non penserebbero al futuro dei loro studenti.
La protesta è iniziata per il rinnovo del contratto e un aumento salariale, ma si è subito ampliata ad altri problemi, come l’insostenibile aumento del numero d’alunni per classe e al deterioramento del livello del sistema educativo.
Negli USA invece la maggior parte degli Stati “garantiscono un’istruzione adeguata, senza scioperi” (come sostengono molti borghesi) ai loro studenti: in effetti in ben 37 Stati è legalmente vietato lo sciopero per gli insegnanti.
Nell’ultimo periodo anche in Pennsylvania si sta discutendo una riforma legislativa che tende ad abolire la possibilità di sciopero nelle scuole. Sono già state introdotte due leggi vergognose: a causa della prima gli insegnanti perdono 2 giorni di salario per ogni giorno di sciopero; la seconda colpisce i lavoratori più combattivi che, se ritenuti responsabili della protesta, vengono multati di 5000$.
La criminalizzazione dei lavoratori di servizi pubblici è una costante della storia del movimento operaio; una legislazione estremamente repressiva rappresenta poi il coronamento di questa politica che nel nome del benessere comune e con l’assenso del sindacato vorrebbe ridurre all’impotenza i lavoratori.
Messico
La protesta dei 1500 lavoratori delle miniere di Cananea, in Messico, continua ormai da 11 settimane, ed è stata seguita dallo sciopero anche in altre miniere, a Zacatecas e Taxco.
Migliaia di minatori scioperano da luglio per avere condizioni di lavoro più decenti, un minimo di sicurezza e contro i provvedimenti repressivi che il governo ha preso nei confronti dei lavoratori più combattivi.
Tutta la città dipende dal lavoro della miniera e in questo periodo sta vivendo in condizioni sempre più difficili, ci sono gravi carenze di cibo e medicine e quasi tutti i lavoratori non hanno più soldi da settimane.
Nonostante ciò, gli scioperanti non intendono arrendersi, dicono di non avere scelta perché non possono continuare a vivere e lavorare in quelle condizioni e continueranno la lotta. Questa lotta evidenzia come in condizioni di crisi la rabbia proletaria renda tutti i lavoratori sempre più combattivi e disposti a tutto; purtroppo però senza la guida di un partito di classe che sappia indirizzarle, queste lotte rischiano di non riuscire ad evolversi e possono portare profonde ferite nel proletariato più combattivo.
Morti sul lavoro
In Colombia il settore minerario è teatro di avvenimenti ancor più drammatici: il 13 ottobre a Suarez, una miniera d’oro è crollata, intrappolando 50 lavoratori. 21 di loro sono rimasti uccisi, 26 gravemente feriti.
All’inizio di settembre era stata ordinata la chiusura dell’impianto da parte del governo, che l’aveva dichiarata pericolosa e in condizioni sanitarie pessime. Ma in seguito, l’apparente scoperta di nuovi giacimenti d’oro, aveva spinto molti abitanti della città a lavorare nella miniera, nonostante ci fosse la quasi certezza di un crollo imminente.
L’estrema povertà in cui vive il proletariato della città è la vera causa che ha spinto moltissime persone nelle miniere dove lavorano in condizioni disumane e dove soprattutto le donne rimangono spesso vittime di gravi incidenti.
Anche in Italia dove la povertà non è così estrema come in sud America le morti sul lavoro sono una realtà quotidiana per lo più ignorata dai media o utilizzata in modo strumentali dai vari politicanti nazionali.
Ogni anno si calcolano ufficialmente 1300 morti sul lavoro, senza contare i clandestini e gli altri casi in cui la morte non viene correlata direttamente alla professione svolta. I settori da sempre più a rischio sono quelli dove il lavoro nero è dilagante: l’edilizia e l’agricoltura, ma anche i trasporti dove i ritmi sono elevatissimi segnano un alto tasso di incidenti e di mortalità.
Altissimo anche il dato relativo agli infortuni sul lavoro, quelli ufficiali sono ogni anno più di 960.000, la percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è dell’11,71%, mentre quella dei decessi è del 12,03%: la sostanziale uguaglianza è anomala, dato che per i lavoratori italiani la percentuale degli incidenti è di gran lunga superiore a quella dei morti.
È quindi molto probabile che una buona fetta di questi incidenti non venga proprio denunciata. Se si rapporta il numero di morti al numero di ore lavoro o al totale degli addetti, la regione con la maggiore incidenza di morti bianche è il Molise, seguita da Basilicata e Calabria e in genere da regioni del Sud dove il lavoro nero, vecchia pratica del capitalismo nazionale per abbassare il costo del lavoro, è molto diffusa.
La crisi economica, spingendo verso ritmi insostenibili, non può che accentuare questo fenomeno anche dove i lavoratori hanno contratti regolari: un’altra triste dimostrazione della sempre più evidente incompatibilità tra gli interessi del proletariato e quelli della borghesia.
Ju & TomBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre-dicembre 2007
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