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Home ›Ancora suicidi nelle fabbriche francesi
Il lavoro uccide e spinge ad uccidersi, ma di questo aspetto apertamente criminale dell'organizzazione capitalistica del lavoro se ne parla pochissimo. Non fa notizia o, meglio, non deve far notizia, e poi è facile mascherarlo catalogandolo sotto la voce ingannevole della “depressione causata da problemi personali”, come se questi problemi non avessero origine là dove, spesso, i lavoratori scelgono di togliersi la vita: il posto di lavoro.
In Francia, nell'ultimo anno, sono quasi una ventina i suicidi “conclamati” in azienda (il manifesto, 28-09-2007), ma, secondo il giornale Le Parisien del 13 marzo scorso, il numero effettivo è molto superiore: dai 300 ai 400 ogni anno ( leblogfinance.com visitato il 20-04-2007). In questa tragica catena c'è un elemento che, a prima vista, potrebbe apparire strano, e cioè l'alta percentuale di tecnici e di quadri intermedi, ma, andando a vedere più da vicino cosa succede tra i “sottufficiali” della produzione - come li chiama Marx - i drammatici conti, purtroppo, tornano perfettamente. Facciamo un passo indietro, così da avere una prospettiva più ampia
La legge sulle 35 ore, introdotta alla fine degli anni 1990 dal governo socialista, a suo tempo strombazzata da Rifondazione come la prova provata che “un altro mondo è possibile” - e ora completamente scomparsa dall'agenda rifondarola - aveva sì permesso la creazione di un certo numero di posti di lavoro, ma le contropartite concesse al padronato erano e sono molto pesanti. Oltre ai generosi incentivi statali, ovunque, anche in quei settori e in quelle aziende (con meno di venti dipendenti) escluse dalla legge, sono dilagate flessibilità, precarietà, aumento dei carichi e dei ritmi di lavoro, a fronte di un sostanziale congelamento - cioè, arretramento - dei salari.
Contemporaneamente, si è accelerata la tendenza alla delocalizzazione ossia, com'è noto, lo spostamento di interi processi produttivi in quei paesi in cui le condizioni “ambientali” (in primo luogo il molto più basso costo della forza-lavoro) sono estremamente vantaggiose per il padronato. Anche ammesso che le delocalizzazioni abbiano causato, direttamente, una perdita relativamente esigua di posti di lavoro (per la Francia, secondo certi economisti, sarebbero “solo” alcune decine di migliaia), il loro punto di forza sta nell'esercitare un ricatto permanente sulla manodopera. Si tratta, infatti, di uno spauracchio molto efficace a cui il padronato ricorre ogni qual volta i lavoratori cercano di alzare la testa. Nello specifico, poi, tanto alla Peugeot (che ha visto sei dipendenti suicidarsi), quanto alla Renault, dove, alla fine di settembre un altro tecnico ha deciso di farla finita, le delocalizzazioni procedono a tutta forza e toccano non solo gli operai, ma, appunto, anche tecnici e quadri. Quest'ultima casa automobilistica ha infatti in cantiere un investimento da mezzo miliardo di euro per la costruzione, in Romania, di un polo di alta tecnologia, mandato avanti esclusivamente da ingegneri rumeni, che costano decisamente meno di quelli francesi.
Ovviamente, l'incertezza del futuro indebolisce i lavoratori e rende più arrogante la direzione che quotidianamente esercita forti pressioni su chi tenta anche solo di far rispettare i diritti minimi riconosciuti dalle stesse leggi borghesi, quali il diritto di usufruire dei giorni di malattia, caldamente “sconsigliato” con la minaccia, nemmeno tanto velata, di ritorsioni (il manifesto, cit.). A questo si aggiunge il progressivo isolamento in cui sono spinti i tecnici a causa dell'organizzazione del lavoro basata sulle tecnologie informatiche. Denunciava con forza un rappresentante del personale della Renault:
bisogna mettere fine alla disumanizzazione e alla perdita di contatti che ha comportato l'informatizzazione spinta. Non ci si vede più, non ci si parla che attraverso l'interposizione delle postazioni informatiche.
leblogfinance.com , visitato il 5-03-2007
Di fronte alla “epidemia” di suicidi, le aziende o negano qualsiasi responsabilità oppure promettono la costituzione di speciali commissioni che rimuovano le fonti del cosiddetto disagio. Che dire, di fronte all'abituale, disgustosa ipocrisia borghese? Che è di gran lunga preferibile il linguaggio aperto dell'amministratore delegato della Renault, Carlos Ghosn, il quale, pur versando le rituali lacrime di coccodrillo, si è lasciato sfuggire il senso profondo della “filosofia” aziendale, aggiungendo che il piano di rilancio dell'azienda in nessun modo deve essere messo in discussione, perché...
un salariato può fallire, ma la Renault non ha diritto al fallimento.
La posta in gioco è la sfida che viene dalla Cina e dall'India, alle quali, secondo Ghosn, bisogna ispirarsi per una strategia complessiva di abbattimento dei costi.
In questo quadro fatto di morti per stress da superlavoro e angherie dei capi, suona come una lugubre beffa lo slogan di Sarkosy a sostegno della politica di detassazione degli straordinari: “lavorare di più per guadagnare di più”. Il fatto, poi, che anche il governo Prodi abbia adottato lo stesso provvedimento, la dice lunga sulla presunta amicizia del centro-sinistra - sinistra radicale (?!) compresa - nei confronti dei lavoratori. Essi, da una parte e dall'altra delle frontiere, di tutte le frontiere, non hanno amici tra i governi: costoro, indipendentemente dalle etichette che si appiccicano, sono sempre e solo amici dei padroni.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 2008
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