No alle gabbie salariali

Il ministro Calderoli l’ha pensata bene. Ha rispolverato le gabbie salariali, senza chiamarle con il loro nome, ma nei fatti le ha riproposte nel loro contenuto. Ma siccome poi i leghisti si vantano di (stra)parlare chiaro, è intervenuto il boss delle camicie verdi, Bossi in persona, per dire esplicitamente che proprio di gabbie intendono parlare.

In nome dell’equanimità, volgarmente detta uguaglianza, il prode ministro ha fatto un ragionamento che pretende di avere alla base una solida impostazione statistica. Nel Mezzogiorno il costo della vita (dati ufficiali) è inferiore del 16,5%. Ne consegue che i salari devono essere diminuiti in proporzione per mettere sullo stesso piano in lavoratori del nord e quelli del sud.

A parte il fatto che il Sud, rispetto al Nord, soffre di numerosi svantaggi socio-economici - un primo esempio, la quantità/qualità media più bassa dei servizi pubblici, che di per sé costituisce un oggettivo aggravio di spesa - se le cose stessero così, e se per assurdo volessimo seguire i termini di quel discorso, bisognerebbe rovesciare i termini della questione. Se al nord il costo della vita è del 16,5% superiore a quello del sud, bisognerebbe indennizzare i lavoratori nordici con un congruo e immediato aumento dei loro salari.

Già ci sembra di sentire la risposta del ministro e di chi perora la causa delle gabbie salariali. Ma come? Al nord il tasso di disoccupazione è minore, complessivamente il livello di vita è più alto, la povertà relativa e assoluta è più bassa e noi andiamo ad aumentare gli stipendi e salari? Controrisposta: e allora, in nome di quella uguaglianza, falsa e strumentale come chi la propone, andiamo a comprimere i livelli salariali al sud dove la disoccupazione è del 26%, (il 40% tra i giovani) dove, dunque, le famiglie proletarie monoreddito sono molto più numerose (il che ovviamente significa minore reddito familiare), dove appunto vive il 65% di quelli che sono sotto la soglia della povertà, dove i salari sono già di fatto inferiori a quelli del nord - sia nel privato che nel pubblico - e dove il lavoro nero, quando c’è, è rimasto una delle forme di occupazione più diffuse con retribuzioni che sono inferiori del 60-70% rispetto a quelli del territorio nazionale.

Ma evidentemente non è questo il problema. Per il capitale - che oggi non si fa scrupolo di usare come testa... d'ariete, anche un Calderoli, ma il trombone di turno potrebbe essere qualsiasi altro - l’imperativo è quello di far pagare la crisi, i suoi costi economici e sociali al proletariato. Quello che vale è il principio che i salari non solo non devono crescere, ma devono essere una variabile in funzione della ricostruzione dei profitti falcidiati dalla crisi. E questo varrà per il sud come per il nord. Non per niente, se la “sparata” della Lega è stata respinta dai suoi alleati di governo, dai partiti d'opposizione (?), dalla Confindustria e dai sindacati, è solo perché tutti - tranne, formalmente, la CGIL - ritengono la contrattazione decentrata molto più funzionale, oggi, alle necessità del capitale. L'accordo sulla nuova tipologia contrattuale del 22 gennaio scorso va proprio in questo senso. E se la CISL-UIL si dicono apertamente entusiaste del nuovo patto, la CGIL, che non lo ha firmato, ha però successivamente concluso accordi, piccoli e grandi, di categoria che, di fatto, accettano la logica del 22 gennaio. La gabbie salariali - così come sono proposte dai leghisti o sotto la forma dei contratti d’area e della contrattazione decentrata - il lavoro interinale e a progetto a questo servono. Contenere il più possibile il costo del lavoro, estorcere sempre maggiore plusvalore, comprimere al massimo il monte salari complessivo perché l’aumento dello sfruttamento e della relativa pauperizzazione dei lavoratori sono la condizione necessaria alla ripresa dei profitti. Il capitale ha solo questa logica e nei momenti di crisi diventa un feroce imperativo da soddisfare ad ogni costo.

Strumentalizzazione a parte, la proposta Calderoli ha anche lo scopo di spezzare il fronte proletario mettendo il nord contro il sud o, per meglio dire, mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri, in una sorta di guerra tra poveri, chiusi in un’unica gabbia che è quella del capitale.

L’unica risposta possibile è quella che parte dal più assoluto rifiuto ad una simile proposta, che veda una mobilitazione compatta del proletariato contro il capitale, le sue necessità di sopravvivenza, contro la prassi sindacale che, come al solito, prima grida allo scandalo, poi si appiattisce all’interno della compatibilità del sistema capitalistico.

FD

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.