Il sindacato, la lotta di classe, i comunisti

Il sindacato come “cinghia di trasmissione”

La formulazione teorico-politica del rapporto che, secondo i comunisti, doveva intercorrere tra il Partito e la classe andò a delinearsi chiaramente all’inizio del secolo scorso. Grande contributo in tal senso venne dato dall’elaborazione contenuta negli scritti di Lenin e dall’esperienza di intervento dei bolscevichi.

La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai ecc. (1).

Di qui scaturisce di per sé il compito alla cui realizzazione è chiamata la socialdemocrazia (il termine era inteso allora in senso comunista, ndr) russa: portare le idee socialiste e la coscienza socialista nella massa del proletariato e organizzare un partito rivoluzionario indispensabilmente legato al movimento operaio spontaneo (2).

Date le condizioni materiali che si trova a vivere il proletariato nel capitalismo, vista la genesi materialistica della coscienza e il peso dell’ideologia dominante, la classe - nel migliore dei casi - è spinta verso una lotta “semplicemente” rivendicativa. L’avanguardia organizzata della classe (il Partito) è formata invece da coloro che, al di là della fase storica e del livello della lotta di classe, maturano una coscienza rivoluzionaria. Il Partito partecipa attivamente alle lotte, ma non si accoda alla spontaneità presente, deve intervenire ponendosi come riferimento politico comunista, spingere i proletari verso una presa di coscienza rivoluzionaria. Il compito dei comunisti non è, parafrasando Lenin, quello di porsi passivamente al servizio del movimento operaio, ma di rappresentare gli interessi del movimento nel suo insieme, di mostrare a questo movimento il suo fine ultimo, il superamento del capitalismo.

I comunisti quindi devono intervenire nella lotta di classe proletaria, ponendosi come riferimento politico, devono cercare di far trascrescere la coscienza della classe verso una coscienza rivoluzionaria. Attraverso quali strumenti si esprimerà la lotta di classe proletaria? Porsi questo interrogativo diventa quindi questione fondamentale. Il tipo di risposta andrà a delineare l’agire pratico dei comunisti, influenzerà il modo di intervenire, la tattica da adottare. Facendo riferimento alla storia del movimento operaio nel secolo che li aveva preceduti, Lenin e i comunisti del tempo rispondevano a questa domanda arrivando alla conclusione che l’organismo sindacato fosse la forma organizzativa attraverso la quale la lotta di classe proletaria si sarebbe andata ad esprimere. Nessuno tra i comunisti riteneva il sindacato un organismo rivoluzionario, ma questa struttura veniva immaginata come lo strumento privilegiato attraverso il quale la lotta rivendicativa dei lavoratori si sarebbe espressa. Questa conclusione, ovviamente, andava ad influenzare la tattica adottata dai comunisti. Tale tattica prevedeva un preciso lavoro di azione nei sindacati, un lavoro mirato alla conquista della direzione dei sindacati stessi; strappare dalle mani dei riformisti i sindacati per influenzare poi la classe in senso rivoluzionario; il sindacato veniva visto quindi come la “cinghia di trasmissione” tra il partito e la classe. Questa conclusione tattica verrà assunta da tutti i partiti comunisti che faranno riferimento alla terza internazionale, anche dal P.C.d’Italia diretto dalla Sinistra Comunista.

Il confronto con la storia

Non ha senso per un materialista marxista assumere una conclusione tattica come un dogma. Per un marxista, l’analisi, il programma, la tattica sono una reazione all’esperienza pratica sociale, bisogna quindi tener conto dell’inevitabile giudizio della storia. Gli eventi storici hanno mostrato in modo chiaro quanto fosse impossibile la conquista dei sindacati da parte dei comunisti e - di conseguenza - l’inapplicabilità dell’uso tattico del sindacato come “cinghia di trasmissione”.

Non solo. La lotta economica - ovvero la battaglia per la difesa delle condizioni immediate di vita e di lavoro - è il primo momento di scontro del proletariato con la classe padronale. Una reale ripresa della lotta di classe da parte del proletariato, un aperto scontro contro i padroni, non possono prescindere dal protagonismo dei lavoratori. Ecco un punto fondamentale: un secolo di storia ci ha mostrato in questo senso tutti i limiti della forma-sindacato. La storia ha evidenziato l’inadeguatezza dei sindacati ad esprimere il reale protagonismo dei lavoratori, l’incapacità a porsi fino in fondo come stimolatori e organizzatori per uno scontro aperto con la classe borghese, anche solo sul terreno rivendicativo. Questa incapacità non è legata semplicemente al tradimento di questo o quel dirigente sindacale, ma è la conseguenza della natura stessa della forma-sindacato.

La forma-sindacato è stata l’espressione della reale lotta di classe proletaria nelle condizioni strutturali (ascesa e libera concorrenza del capitalismo) e sovrastrutturali (relazioni stato-classi-sindacati) proprie dell’Ottocento; modificatesi queste, il sindacato ha perso quella caratteristica specifica. L’“involuzione” dei vecchi sindacati è stato un processo talmente generalizzato che - al di là dei ragionamenti teorici - non può non portare secondo noi ad una riflessione: il sindacato nasce nell’800 come strumento di lotta e si trasforma in “sindacato istituzione” per sua natura (intesa come insieme delle caratteristiche che lo definiscono) e non semplicemente per gli errori o i tradimenti di questo o quel dirigente.

Arrivare a queste conclusioni, non significa mettere in discussione i punti cardine della “vecchia” formulazione del rapporto Partito-classe, che noi riteniamo ancora pienamente valida, ma semplicemente il far tesoro della passata esperienza e prendere atto di quanto inapplicabile sia la tattica che mira alla conquista dei sindacati da parte dei comunisti e dell’uso di questi organismi come “cinghia di trasmissione”. (3)

Veniamo quindi alla realtà storica, fissando l’attenzione su tre esempi molto significativi: la prima guerra mondiale, il “Biennio rosso” in Italia, la “Rivoluzione d’ottobre” in Russia. Partiamo dalla prima guerra mondiale, una guerra generata dalla grandi potenze imperialiste in lotta per la spartizione del mondo. I partiti socialisti, socialdemocratici, riformisti, si schierarono tutti - tranne qualche eccezione - a sostegno della propria borghesia nazionale, contribuendo a trascinare il proletariato nella guerra. L’appoggio nazionalista alla propria borghesia venne sostenuto dagli stessi sindacati, anche perché diretti dai partiti socialdemocratici. Questo fu un primo eclatante esempio di sindacato che si pone in difesa del “sistema Paese”.

Passiamo in luoghi e anni ancora più caldi dal punto di vista rivoluzionario: la Russia del 1917. Il periodo storico intorno al 1917 ha certamente rappresentato l’apice - fino ad adesso - del protagonismo proletario e il massimo livello politico-organizzativo raggiunto dai comunisti. La Russia fu però l’unico esempio dove l’assalto rivoluzionario vene portato a compimento: unico episodio di abbattimento del potere politico dominate (zarista e socialdemocratico borghese) da parte del proletariato alleato con i contadini poveri e diretto dal partito bolscevico. Ebbene, la rivoluzione avverrà senza la conquista da parte dei bolscevichi della direzione dei sindacati esistenti (senza l’uso di questi come “cinghia di trasmissione”) . Sono altri gli organismi che i rivoluzionari riusciranno a dirigere: i Soviet e prima ancora - tappa fondamentale - i Comitati di fabbrica. I bolscevichi arriveranno a conquistare le masse operaie e i soldati, a dirigerli verso l’azione rivoluzionaria, ma, allo stesso tempo, nessun sindacato risulterà essere diretto dai bolscevichi, nessuno! Anzi, non saranno poche le azioni apertamente controrivoluzionarie portate avanti dai sindacati in Russia, prima e dopo il 1917; per fare qualche esempio, Il sindacato dei ferrovieri parteciperà all’attività del controrivoluzionario “Comitato per la salvezza” e darà indicazione di non trasportare le truppe bolsceviche; i sindacati delle poste e dei telegrafi cercheranno di ostacolare la corrispondenza bolscevica verso il palazzo Smolni, il sindacato degli impiegati delle banche dichiarerà scioperi per sabotare l’attività degli organismi rivoluzionari…

Ultimo significativo esempio, il comportamento della CGdL durante il “Biennio rosso” in Italia. Nel pieno delle occupazioni delle fabbriche, invece di cercare di estendere la lotta di classe (sul piano semplicemente rivendicativo almeno) la CGdL (insieme al PSI) farà l’esatto contrario: isolerà la protesta proveniente dalle fabbriche e allo stesso tempo cercherà di raggiungere un accordo sulla vertenza dei metallurgici. In un documento presentato al governo Giolitti si chiede di:

modificare i rapporti fino ad ora intercorsi fra datori di lavoro e operai in modo che questi ultimi - attraverso i loro sindacati - siano investiti della possibilità di conoscere il vero stato delle industrie, il loro funzionamento tecnico e finanziario e che possano a mezzo delle loro rappresentanza di fabbrica - emanazione dei sindacati - contribuire alla applicazione dei regolamenti, controllare i licenziamenti e l’assunzione del personale e favorire così il normale svolgersi della vita d’officina con la disciplina necessaria (4).

Si potrebbe obiettare che questo comportamento avuto dai sindacati è legato alla direzione riformista che questi avevano, ma il punto è proprio questo: la direzione dei sindacati poteva e può essere solo riformista. I tre esempi visti sono infatti ancor più significativi perché pescati in un periodo storico di fermento proletario, molto caldo dal punto di vista rivoluzionario. È vero infatti che la stessa Internazionale e i partiti comunisti a questa legati diventeranno - verso la metà degli anni 1920 - strumenti controrivoluzionari, ma questo processo sarà l’espressione politica di in una fase storica controrivoluzionaria; a differenza del tornante storico del ’17 e del “Biennio rosso”, periodi apertamente o potenzialmente rivoluzionari. Andando anche oltre gli esempi visti, in questa fase storica così calda non solo nessun sindacato è stato conquistato dai comunisti (nemmeno in Russia!), ma le organizzazioni sindacali in molti casi finiranno per ostacolare la lotta di classe proletaria.

Nascita, caratteristiche e ruolo del sindacato

I “vecchi” sindacati erano per molti aspetti diversi da quelli attuali, tutti negli anni hanno mostrato però le tre caratteristiche che di fatto identificano un sindacato:

  1. organismo di mediazione tra capitale e forza lavoro;
  2. logica della delega e della rappresentanza;
  3. riformismo politico.

È innanzitutto la prima caratteristica, propria della forma-sindacato, che spiega l’evoluzione del ruolo giocato, negli anni, dal sindacato stesso: da organismo di difesa delle condizioni dei lavoratori a “sindacato istituzione”. Partiamo quindi concentrando l’attenzione su questo aspetto.

Nell’Ottocento, parte del proletariato riuscì ad ottenere conquiste di non poco conto che gli permisero di migliorare le condizioni di vita e di lavoro vissute quotidianamente. I sindacati nascono proprio in questa fase storica, una fase di duro scontro tra borghesia-proletariato, e giocheranno un ruolo primario nell’organizzazione e nelle vittorie rivendicative della classe. Per molti aspetti, questi erano sindacati diversi da quelli attuali, perché erano fatti da lavoratori, senza troppi lacci burocratici. Anche questi sindacati erano però degli strumenti limitati per la classe e questo sarà riconosciuto da tutti i rivoluzionari: “semplici” organizzazioni per la difesa delle condizioni dei lavoratori (nell'ambito del sistema capitalistico), non organismi rivoluzionari.

I sindacati nascono in una fase storica completamente diversa da quella odierna. Nascono durante la fase di ascesa (5) del capitalismo, caratterizzata inoltre da un mercato di “libera concorrenza”. Questi due aspetti - fase di ascesa e libera concorrenza - comportavano che: 1) pur se i padroni (ovviamente) non volevano concedere nulla, il sistema aveva margini di profitto tali da poter assorbire senza enormi difficoltà i costi di quei miglioramenti che poi la classe riuscirà a strappare con la lotta, 2) era già presente la tendenza alla mondializzazione dell’economia ma non si erano ancora formati i monopoli produttivi e finanziari, tipici della fase imperialista. Altro aspetto fondamentale: durante questa fase storica la borghesia, lo stato, non riconosceva i sindacati, non gli dava legittimità. I sindacati erano certamente degli organismi di mediazione, ma questa mediazione non veniva riconosciuta dallo stato borghese; già solo questo comportava uno scontro tra sindacati/lavoratori e borghesia.

Cosa cambia nella fase imperialista, nel Novecento? Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecen, il capitalismo inizia a sviluppare le caratteristiche proprie dell’imptoerialismo, si formano i grossi centri produttivi e finanziari che si fanno concorrenza a livello mondiale, la fase di “libera concorrenza” (semmai sia esistita nei termini dall’economia borghese) è ormai alle spalle. Le borghesie nazionali, in questo contesto di concorrenza internazionale, cominciano non solo a riconosce legalmente i sindacati (questo processo inizia alla fine dell’Ottocento) ma soprattutto ne riconosceranno il ruolo di mediazione che il sindacato svolge tra lavoratori e padroni e adopererà il sindacato per la gestione del prezzo della forza-lavoro (compatibilmente alle esigenze di valorizzazione del capitale e di concorrenza del “sistema paese” a livello internazionale). Il sindacato, organismo di mediazione, negli anni si presterà a svolgere questo ruolo. Nasce così il sindacato “istituzione”. Il passaggio era inevitabile, conseguenza della stessa natura della forma sindacato: in quanto organismo di mediazione tra due parti - lavoratori e padroni - il sindacato cerca il riconoscimento, legittimazione, da entrambi i versanti, dunque anche da parte della classe padronale e quindi dallo Stato.

2011-05-15-bus-strike.jpg

Inoltre, altro aspetto fondamentale, per tutto il diciannovesimo secolo lo scontro di classe padroni-lavoratori aveva assunto caratteristiche prevalentemente locali, “circoscritte”. Le modifiche della struttura capitalistica proprie della fase imperialista (scomparsa della “libera concorrenza”, prevalenza dei monopoli produttivi e finanziari, livello di concorrenza internazionale), sposta l’asse di questo scontro su scala nazionale, lo stato e le associazioni nazionali dei padroni diventano sempre più protagonisti diretti nello scontro economico, e nella contrattazione, tra capitale-lavoro.

Il sindacato non ha modificato negli anni l’originaria caratteristica di organismo di contrattazione della forza-lavoro, di mediazione tra padroni e lavoratori. Fermo restando questa caratteristica, propria della forma sindacato, ciò che è cambiato è il modo di esercitarla.

L’evoluzione del sindacato è quindi legata alla natura stessa della forma-sindacato e non ad un presunto tradimento della dirigenza. Tesi, questa ultima, che fa completamente a cazzotti con una concezione materialistica e dialettica della storia. Infatti, come dicevamo in apertura, l’evoluzione del ruolo giocato dai sindacato ha caratterizzato la vita di tutti i vecchi sindacati e inoltre - a differenza dell’involuzione politica della terza internazionale e dei partiti comunisti ad essa collegati - il comportamento antiproletario dei sindacati si esprimerà apertamente anche in piena fase pre-rivoluzionaria e rivoluzionaria; come documentano gli eclatanti esempi storici che riportavamo in apertura.

Il processo di burocratizzazione è stato un semplice, ma significativo, riflesso formale di un comportamento sostanziale. Inoltre questo riflesso formale è legato esso stesso ad una caratteristica propria della forma-sindacato: la logica della delega e della rappresentanza. È proprio il meccanismo di delega e rappresentanza, infatti, combinato con la funzione di mediazione e contrattazione, che crea le condizioni della burocratizzazione.

Arriviamo quindi ad analizzare l’ultima caratteristica legata alla vita dei sindacati: il riformismo politico. Come detto in apertura, il sindacato è stato in passato, e lo è tuttora, terreno di conquista per il riformismo. Anche questo aspetto è legato alla natura della forma-sindacato. Infatti, in quanto organismo di mediazione tra capitale e lavoro, il terreno di azione di un sindacato è quello proprio della forma di produzione capitalistica; tanto è vero che ai tempi della Terza Internazionale nessuno ha mai ipotizzato il sindacato come un organismo rivoluzionario. È quindi questa caratteristica che lo ha reso terreno fertile per il riformismo.

Anche nello scorso secolo (in fasi di espansione economica, dove esistevano ampi margini di mediazione) il sindacato è riuscito a strappare riforme e aumenti salariali ma questo grazie alla lotta operaia. Inoltre, anche in questa fase i sindacati hanno confermato il loro essere “sindacato istituzione”, gestendo al meglio la lotta operaia per non farle travalicare il quadro delle compatibilità capitalistico-borghesi, incanalando la lotta nell’ambito istituzionale e ponderando le conquiste economiche in funzione delle esigenze di profitto e concorrenza internazionale della borghesia del “proprio” paese.

I sindacati in Italia

2011-05-01-confederali.jpg

Negli anni, i sindacati (in particolare, in Italia, CGIL-CISL-UIL e UGL) hanno ampiamente confermato il proprio ruolo nel sistema capitalistico: pezzi dell’istituzione statale borghese, strumenti fondamentali per i padroni nella gestione del valore della forza-lavoro (dei livelli dei salari e degli stipendi, compatibilmente alle esigenze di concorrenza del cosiddetto “sistema paese”). Non solo: questi sindacati hanno rappresentato un vero e proprio inganno per i lavoratori; soprattutto negli ultimi decenni, infatti, da un lato, firmano accordi e contratti peggiorativi di ogni genere (che tengano conto delle compatibilità del sistema economico) e, dall’altro, invitano i lavoratori a finte lotte, scioperi proclamati mesi prima e limitati, frammentati per categorie, lotte che non danneggiano mai la controparte (i padroni tutti), nemmeno ci provano. Finte lotte per far sfogare la rabbia dei lavoratori. Ancora più ingannevole è poi l’atteggiamento della parte formalmente più radicale di questi sindacati, FIOM-CGIL in Italia. La FIOM negli ultimi anni ha firmato accordi e contratti di ogni genere: adesso fa la “voce grossa”, ma nella sostanza non mette mai in campo una vera azione di lotta. Anzi, molto spesso interviene solo dopo che le lotte abbiano preso inizio, per spegnare la rabbia dei lavoratori e ricondurre la lotta sui binari istituzionali.

I sindacati “confederali” di fatto cogestiscono questo sistema di sfruttamento assieme ai partiti politici e ai padroni, questo è certo. Come abbiamo detto, però, i limiti della forma-sindacato non sono legati ad un fattore di dirigenza, non è solo questo o quel sindacato che deve essere superato, ma la logica del sindacalismo stesso. I mille sindacati “di base” (COBAS, SlaiCobas, CUB, USB, ecc. ecc.), sia pur criticando la concertazione, non fanno altro che riproporre, inevitabilmente, la logica propria del sindacato: delega e rappresentanza, organismo di mediazione tra lavoratori e padroni, organo di contrattazione e vendita della merce forza-lavoro, riformismo.

Nonostante il peggioramento delle condizioni dei lavoratori e il comportamento apertamente collaborativo dei confederali, il sindacalismo “di base” non è riuscito mai a lanciarsi veramente e ciò ne denota sostanzialmente la sconfitta; fino a questo momento. In fondo i sindacati “di base” propongono ai lavoratori semplicemente un “sindacato vero”, il problema è che questo essere “sindacato vero” si riduce inevitabilmente solo ad una formale radicalità. Sostanzialmente offrono ai lavoratori un sindacato, quindi con tutti i limiti sopra esposti. Ponendosi sul piano sindacale, risultano ampiamente scavalcati dai confederali che sono più forti agli occhi dei lavoratori.

Il meccanismo della delega porta anche i sindacati “di base” a perdersi dietro la battaglia per la rappresentanza dei lavoratori: ma la lotta di classe non può essere rappresentata da nessun sindacato, questa è la questione, tanto più quando questa tenderà, speriamo, a generalizzarsi. C’è da dire, inoltre, che anche all’interno dei sindacati di base si è creato un vero e proprio ceto burocratico che, di fatto, amministra e gestisce l’organizzazione.

La presenza di tante sigle non ha fatto altro che sfaldare ancora di più i lavoratori, che spesso si trovano divisi di fronte a tanti piccoli e inutili scioperi. Lo stesso sindacalismo di base, al pari dei confederali, continua infatti a proporre lo sciopero come semplice atto formale come una iniziativa di routine… Uno sciopero di testimonianza che serve magari al sindacato per mantenere viva e in piedi la propria struttura, ma che non serve ai lavoratori, in quanto i sindacati di base non organizzano mai vere iniziative di lotta, anche perché rispettano la legislazione antisciopero, per continuare a recitare la parte che si sono assegnati.

Se vogliamo, i mille tentativi di far nascere presunti “sindacati veri” o sindacati “di classe” e il risultato che hanno prodotto sono un'ulteriore riprova di quanto sopra abbiamo esposto, ovvero viene messo ulteriormente in risalto il limite della forma-sindacato a trecentosessanta gradi (6).

L’organizzazione autonoma delle lotte

2004-04-26-melfi.jpg

Il sindacato non sarà la forma organizzativa attraverso la quale si esprimerà un’aperta rottura della “pace sociale”, neanche sul piano semplicemente rivendicativo (7). Questo, ovviamente, non significa che non ci sarà più lotta rivendicativa o che l’intervento dei comunisti nella lotta di classe proletaria abbia perso valenza, significa semplicemente che tale lotta si esprimerà attraverso altre forme organizzative. Quali? La risposta - anche in questo caso - ci viene data dalla storia, dagli stessi lavoratori. Negli ultimi decenni - ma non solo - gli episodi di lotta più significativi hanno visto come protagonisti diretti i lavoratori e non il sindacato. Il sindacato magari è intervenuto successivamente, con l’effetto (e l'obiettivo!) di addormentare la situazione. Sono diversi gli esempi significativi di lotta basati su organismi assembleari e comitati di agitazione. Il Maggio del ’68 in Francia; le assemblee avvenute in Italia durante l’autunno del ’69, dove i sindacati spesso verranno scavalcati; le assemblee in Polonia nell’agosto del 1980, capaci di organizzare scioperi di massa, senza i sindacati (Solidarnosc poi addormentò la lotta e aprì lo spazio all’intervento dello stato, prima di trasformarsi definitivamente in un organismo borghese a tutti gli effetti); la dura lotta dei minatori inglesi negli anni ’80; lo sciopero dei dockers in Danimarca e Belgio; le assemblee e i comitati di lotta durante la rivolta in Argentine (i comitati piqueteros); la protesta contro la legge del CPE in Francia del 2006, le stesse recenti proteste francesi contro la riforma delle pensioni, animate non dai sindacati ma dalle assemblee e dai comitati di agitazione. Ed ancora, gli “scioperi selvaggi” degli autoferrotranvieri in Italia (2003-2004), la lotta degli operai della Fiat Melfi (2004: anche in questo caso, la FIOM fu tirata per i capelli dagli operai e assolse il solito compito di moderatore della lotta), picchetti degli operai di Pomigliano decisi quotidianamente dalle assemblee fuori la fabbrica (2008), le lotte in Cina combattute negli ultimi anni ecc ecc. ecc. Situazioni magari diverse, ma tutte accomunate da un processo di autorganizzazione delle lotte: oltre, fuori se non dichiaratamente contro le strutture sindacali. Forme di organizzazione conseguenza della sentita esigenza di superare la forma-sindacato stessa.

Questi organismi di base, espressione dei lavoratori, possono assumere forme rudimentali o meglio strutturate, ma, in quanto organismi di lotta, concludono la loro funzione col finire stesso della specifica lotta; magari per ricostituirsi poi successivamente come parte di un successivo momento di conflitto.

Diverso sarà in situazioni storiche potenzialmente pre-rivoluzionarie, dove il protagonismo dei lavoratori e gli organismi della classe tendono ad assumere una presenza largamente generalizzata e con carattere permanente. In una fase storica di questo genere, tali organismi assumono un significato diverso e potranno costituire la base per gli strumenti della battaglia rivoluzionaria e per il potere proletario. Cosa che sarà possibile solo grazie all’azione politica di un forte partito di classe. “La maturazione della situazione rivoluzionaria sarà segnata dall’orientamento esplicitamente anticapitalista e rivoluzionario di questi organismi, che, allora, prenderanno le caratteristiche dei consigli operai capaci di trascrescere da organismi di lotta anticapitalista a organismi del potere proletario. L’orientamento anticapitalista e rivoluzionario non si afferma spontaneamente, senza cioè l’intervento attivo e organizzato dei militanti rivoluzionari” (8). Non possiamo non riportare in tal senso l’esempio della rivoluzione in Russia del ’17: i Soviet operai e dei soldati erano inizialmente preda del riformismo socialdemocratico, che vedeva questi organismi come semplici organizzazioni di lotta rivendicativa e quindi destinati a concludere il proprio lavoro. I Soviet si trasformeranno, grazie all’intervento dei bolscevichi, in organismi di battaglia rivoluzionaria e - abbattuto lo Stato - costituivano gli strumenti della dittatura del proletariato (9).

L’intervento dei comunisti: punti fermi

  1. «Attestare le forze, pur se modeste, della istanza rivoluzionaria sulle trincee, in parte distrutte, sbrecciate, malsicure, della lotta operaia; attestarle ad una militanza politica attiva e non esclusivamente ad una macchina da scrivere e ad una saggistica che per essere personale è sempre discutibilissima negli intendi come nei risultati.» (O. Damen) (10)
    Riprendiamo queste “vecchie” righe per sottolineare, ancora una volta, che - a nostro modo di vedere - non ha senso per una organizzazione che si definisca comunista intendere l’intervento tra i lavoratori come una attività da svolgere solo in determinate fasi storiche o in presenza di una futura maggiore consistenza numerica. L’intervento dei comunisti tra i lavoratori deve essere sempre e comunque parte integrante dell’attività dei rivoluzionari. Questo per noi è un punto fermo. Anche perché per i comunisti intervenire nella classe significa calarsi nella realtà, acquistare esperienza.
    Altro punto fermo: «La sottomissione alla spontaneità genera una specie di paura di allontanarsi anche di un passo da ciò che è "accessibile" alla massa, di elevarsi troppo al di sopra del semplice soddisfacimento dei suoi bisogni immediati. Non abbiate questa paura, signori! Ricordate che, per quanto riguarda l’organizzazione, ci troviamo a un livello così basso che è assurdo pensare che potremmo spingerci troppo in alto.» (11)
    I comunisti, nel loro intervento, non possono mai sottomettersi alla spontaneità presente, non si adattano ad essa e alle forme ideologiche dominanti. I comunisti devono agire sempre come tali, qualunque sia la situazione, devono essere parte attiva nella lotta di classe ma da comunisti, ponendosi come riferimento politico. Ogni occasione di intervento deve essere adoperata per stimolare - partendo dal concreto - i lavoratori verso una maggiore presa di coscienza, cercare di elevare la capacità di critica al capitalismo, mostrare la necessità del superamento di questo sistema economico e sociale. Una lotta può essere vinta o persa (ovviante si deve lottare per la prima soluzione…), i comunisti devono lavorare per fare in modo che, in ogni caso, tra i lavoratori rimanga qualcosa in termini di avanzamento politico e organizzativo, in particolare tra gli elementi più coscienti.
  2. Partendo da questi due punti fermi, le modalità, gli obiettivi e le finalità dell’intervento ovviamente varieranno a seconda della fase storica e della disponibilità numerica. Il referente particolare deve essere sempre la lotta di classe e gli organismi attraverso i quali la lotta si esprime. Oggi si deve intervenire negli organismi che la classe si dà, cercando di conquistare i lavoratori più sensibili al programma e alla politica rivoluzionaria. In una fase storica rivoluzionaria i comunisti intervengono nei Consigli per conquistarne la direzione politica e trascinare la classe verso la presa del potere.
  3. Come detto ampiamente, il sindacato non è uno strumento conquistabile dai comunisti, a modo di “cinghia di trasmissione”. La critica allo strumento sindacato per noi, come più volte sottolineato, non significa trascurare l’ambito del sindacato, ossia i momenti messi in piedi dal sindacato nel quale sono presenti i lavoratori di base: manifestazioni, assemblee, iniziative pubbliche, così come partecipiamo ai momenti di sciopero promossi dal sindacato. Ovviamente, interveniamo in questi ambiti sempre con la nostra linea antisindacale.
  4. Nel loro intervento i comunisti dovranno adoperarsi per formare i gruppi internazionalisti di fabbrica (in generale, sui luoghi di lavoro) e di territorio. Questi - a differenza degli organismi di lotta, che la classe stessa si dà - sono emanazione dell’organizzazione comunista (del Partito), devono essere lo strumento del partito nella classe. Sono quindi gruppi politici composti da militanti e simpatizzanti del Partito di una dato luogo/settore di lavoro. Partendo dalla specificità della situazione lavorativa portoro avanti in quel dato settore l’attività di agitazione e propaganda comunista.
  5. Un comunista deve “sostenere la linea anti-sindacalista e a favore della autorganizzazione di lotta del proletariato” (13). Fermo restando che gli organismi di lotta rivendicativa sono strumenti che la classe si dà, anche senza la presenza dei rivoluzionari, i comunisti devono propagandarli, proporli, essere parte attiva negli organismi di autorganizzazione delle lotte: le assemblee dei lavoratori, i comitati di agitazione. Nel fare questo devono cercare di porsi sempre come riferimento politico comunista.
NZ

(1) Lenin, “Che fare”, 1902.

(2) Lenin, “I compiti urgenti del nostro movimento”, 1900.

(3) Dobbiamo precisare che la critica alla forma-sindacato e alla tattica della “cinghia di trasmissione” non è stata una innovazione di analisi teorica introdotta da noi in questi ultimi anni. Il dibattito sulla questione sindacale aveva già animato la vita della Sinistra Comunista italiana organizzatasi in Frazione all’estero ed una riflessione critica sulla forma-sindacato e la “cinghia di trasmissione” veniva già avanzata - seppur a livello “rudimentale” - da molti compagni della Sinistra Comunista italiana (e anche da compagni delle varie sinistre comuniste non italiane). Il P.C.Internazionalista certamente ha avuto un ruolo di primo piano nella chiarificazione di questa questione.

(4) La Confederazione Generale del Lavoro negli Atti, nei documenti, nei Congressi 1906-1926

(5)Per ascesa intendiamo la fase storica vissuta dal capitalismo durante la quale esso si impone a livello internazionale come sistema economico e sociale, fase che agli inizi del 900 risulta ormai conclusa.

(6)Per approfondire l’analisi sul sindacalismo “di base” in Italia consigliamo la lettura di: “Sindacalismo e sindacati in Italia” (Prometeo 2001) e “Il sindacalismo di base in Italia” (Prometeo 2008), consultabili anche sul sito web.

(7) Una scontata precisazione: ovviamente la nostra critica al sindacato non vuole mettere in discussione la sincera volontà di lotta dei tanti lavoratori aderenti ai diversi sindacati. Anzi, anche per questo motivo riteniamo fondamentale evidenziare con chiarezza tutti i limiti dei sindacati attuali e allontanare l’illusione - rappresentata oggi dal sindacalismo di base - di un sindacato alternativo.

(8) da “Il sindacato e l’azione comunista”, Prometeo n.13, 1997.

(9) Mentre in una fase storica pre-rivoluzionaria gli organismi di classe (i consigli) potranno assumere, grazie e solo all’azione dei comunisti, la forma di strumenti di lotta rivoluzionaria e di potere, non è possibile sperare che gli organismi di base dei quali la classe si dota per la lotta rivendicativa in una fase storica stagnante dal punto di vista rivoluzionario possano conservarsi e trasformarsi in organismi di potere: “L’errore che si commette sta nel considerare i “consigli” indistintamente come organismi di potere pure nella fase in cui tale problema è ben lontano dalla coscienza del proletariato”; per approfondire tali aspetti si consigli la lettura di “Natura e compiti degli organismi di fabbrica e ruolo del partito di classe” O. Damen, Prometeo n.7, 1965.

(10) Battaglia Comunista n.11, 1958.

(11) Lenin, “Che fare”

(12) l’indicazione dei gruppi comunisti di fabbrica era presente già ai tempi del PCd’Italia. Oggi cambia ovviamente il referente di questo strumento: prima i gruppi di fabbrica puntavano l’attenzione al sindacato, oggi unicamente all’intervento diretto tra i lavoratori e agli organismi di lotta della classe.

(13) dallo Statuto del PCInternazionalista, 1997.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.