Confronto politico

Riteniamo sempre utile, ove possibile, il confronto con elementi e gruppi che si pongono sul terreno della sinistra di classe. Tale confronto può essere proficuo sia ai fini della chiarificazione, che come stimolo per precisare ulteriormente posizioni nostre.

Precisiamo che “chiarificazione” per noi significa la conoscenza delle rispettive posizioni. Può seguire sia un processo di maturazione, da parte di questo o quel gruppo, verso posizioni più definite (più vicine o più lontane), sia una progressiva omogeneizzazione quando si è verificata una identità di metodo e posizioni. È con questo spirito che abbiamo letto il documento “Per l'unità dei comunisti rivoluzionari” redatto da COMBAT – Comunisti per l'Organizzazione di Classe e partecipato all'assemblea indetta per discuterlo.

Conosciamo questo raggruppamento fin dalle sue origini e abbiamo più volte, seppure con scarsi risultati, provato ad interloquire con esso. È buona pratica dei comunisti mettere per iscritto il proprio pensiero, questo permette a chi scrive di chiarificare al proprio interno le posizioni e a chi legge di avere uno strumento attraverso il quale avviare un confronto politico.

Molte parti del documento sono largamente condivisibili, ce ne sono invece altre che, dal nostro punto di vista, sono contraddittorie, il che riflette anche la natura di COMBAT, organizzazione nata dalla fusione di raggruppamenti provenienti da tradizioni politiche e realtà territoriali differenti che, sulla base della comune visione classista delle società, hanno scelto di fondersi per demandare ad un momento successivo, al loro concreto agire politico nell'intervento e al confronto su di esso, la chiarificazione rispetto ai molti punti di analisi e proposta che li dividono.

Tale eterogeneità emerge con forza attraverso tutto il testo e rende difficile focalizzare l'attenzione su di un aspetto o su di un altro in quanto più volte le affermazioni successive contraddicono le precedenti.

Nello svolgere questo articolo abbiamo allora preferito partire dalla funzione che il documento sembra assegnare all'avanguardia politica, per considerare poi la politica di raggruppamento che hanno scelto di perseguire e giungere infine alle conseguenze di tale impostazione tanto sul piano teorico quanto su quello della proposta pratico-politica di intervento nella classe e nelle sue lotte.

Essendo questo un articolo che vuole aprire una fase di confronto, ci perdoneranno questi compagni se abbiamo frainteso qualche passaggio, in ogni caso garantiamo la buona fede.

Prima di procedere ci teniamo a chiarire che nel testo usiamo indifferente i termini “avanguardia politica”, “partito”, “organizzazione di classe”, etc. questo non perché riteniamo essere noi, o altri, già il “Partito” fatto e formato, bensì perché pensiamo che chiunque si ponga con serietà e metodo sul terreno della costruzione del partito di classe debba iniziare, da subito, a ragionare e a strutturarsi come tale, anche se oggi non ne rappresenta che un embrione.

Funzione dell'avanguardia politica

COMBAT afferma che bisogna promuovere l'organizzazione politica nelle lotte, attraverso il suo consolidarsi al loro interno. Afferma quindi che l'organizzazione politica deve

fungere da 'cerniera', da sintesi, di queste diverse esperienze di intervento, sviluppando in contemporanea STRUTTURE SUE PROPRIE. [per] sostenere e incoraggiare la lotta, [indipendentemente] dagli alti e bassi della lotta.

Il che ci trova in parte d'accordo: il partito deve intervenire nelle lotte, e nella classe in generale, al fine di radicarsi, di dare vita a gruppi comunisti a livello lavorativo o territoriale, questi gruppi devono riconoscersi nelle posizioni di partito e lavorare per la maturazione rivoluzionaria della coscienza della classe. Il punto di disaccordo è che, dal nostro punto di vista, non è – o meglio non è semplicemente, solamente – compito del partito quello di sostenere ed incoraggiare la lotta. COMBAT afferma che è

sbagliato ritenere rigidamente separati i tempi della lotta 'immediata' -'rivendicativa'- con quelli della 'costruzione del partito'.

Il problema è che, rigidamente o meno, questi due momenti sono nei fatti separati. Vi è un salto tra la lotta rivendicativa e la lotta politica, come vi è un salto tra la coscienza che per migliorare il mio salario devo lottare e organizzarmi (cosa che oggi, effettivamente, appare già molto) e la coscienza che per difendere i miei interessi devo superare il sistema del lavoro salariato nel suo insieme.

Tra questi due momenti non vi è continuità, ma rottura. È proprio dalla presa di coscienza di tale rottura che i comunisti hanno storicamente posto il problema del partito, il cui ruolo è proprio quello di intervenire nella classe per farle fare quel “salto”, il partito costituisce il ponte per il passaggio dal piano rivendicativo a quello politico.

Nei momenti di “magra” il partito deve sì cercare di intervenire nella “massa”, ma nel perseguire dei risultati concreti sul piano politico, realisticamente, non può che rivolgersi agli elementi più coscienti, organizzandoli nelle sue fila, domani si tratterà invece, sulla base di quanto costruito oggi, di dirigere a tale salto... rivoluzionario la classe nel suo complesso. Continuità o rottura. Questa è stata storicamente, e lo sarà domani, la battaglia tra il gradualismo che vede la rivoluzione come un processo lineare ed evolutivo, ed il marxismo rivoluzionario che legge ed interpreta dialetticamente i salti, le rotture che caratterizzano la storia umana.

Riteniamo che COMBAT avrebbe dovuto soffermarsi con maggiore attenzione su tale problematica, invece dal documento – e dagli interventi in assemblea – sembra che il problema da loro posto sia “quale processo dobbiamo favorire per garantire una maturazione lineare della classe e della sua coscienza verso lo sbocco rivoluzionario?”. Tale nostra interpretazione sembra confermata quando affermano che:

i processi della formazione della coscienza dentro la classe … richiedono una sedimentazione ed una maturazione che non possono essere 'forzate' da nessun formalismo organizzativo,

ci sembra di capire – il tema non è sviscerato in maniera più approfondita – che il compito dei comunisti dovrebbe essere quello di evitare la forzatura politica, il salto di cui si diceva, limitando il proprio intervento alla necessità di

superare da subito il movimentismo e lo spontaneismo fini a se stessi, il frazionamento dei gruppi, il pressapochismo, il rifiuto del lavoro metodico, strutturato, disciplinato.

Insomma, si tratterebbe da subito di contrastare quei fattori che impedirebbero il libero dispiegamento della lotta e quindi della coscienza proletaria. Il rischio è quello di cadere nel gradualismo.

Coscienza e organizzazione

Il compito del partito di classe non è mai stato (solo) quello di essere presente nelle lotte per spingerle, farle maturare, estendere, (e comunque mai) in attesa che dalle lotte stesse emergesse la necessità della rivoluzione e del comunismo. Un tale approccio presupporrebbe infatti che la coscienza comunista fosse immanente alla classe, già presente nel DNA alla nascita di ogni operaio, come l'istinto di sopravvivenza.

Se così fosse, il compito dei comunisti potrebbe anche essere, effettivamente, quello di lavorare affinché si creino le condizioni oggettive migliori nelle quali il gene della coscienza di classe possa risvegliarsi autonomamente. Ma, purtroppo, le cose non stanno così.

La coscienza di classe rivoluzionaria non germina spontaneamente nei lavoratori quando questi iniziano a lottare e ad organizzarsi, nemmeno se, nelle loro lotte, vanno a sbattere contro il muro delle compatibilità capitaliste. Nel momento in cui diventa evidente che, anche in presenza di mobilitazioni di massa, il capitale, oltre un certo limite, non può concedere altro che repressione, allora può sprigionarsi di tutto: rabbia, frustrazione, scoramento, violenza incontrollata, mai – in assenza di una solida avanguardia comunista – coscienza di classe rivoluzionaria.

La coscienza rivoluzionaria, ovvero la coscienza della necessità di superare una volta e per tutte la società capitalista nella quale siamo nati, cresciuti, vissuti, che ci ha educato ai suoi valori, inculcato le sue leggi, che ha piegato la nostra volontà alle necessità del profitto etc., la coscienza della necessità di superare questa società non può nascere automaticamente “per continuità” all'interno delle lotte in questo sistema, essa deve venire portata “dall'esterno” di questo sistema, dall’esterno dell’elemento spontaneo, ovvero da un partito di classe che, grazie al suo metodo e alla sua storia, è in grado di vedere oltre, è in grado di cogliere la storicità del capitalismo e la possibilità di una organizzazione economica e sociale totalmente differente.

Se, come giustamente affermano questi compagni a lettere maiuscole, “LA LOTTA DI CLASSE È LOTTA POLITICA” allora non è sufficiente dare vita, come scrivono poco dopo, a “forme di strutturazione e centralizzazione organizzativa/operativa”. C'è un salto da fare affinché la lotta di settori proletari diventi lotta di classe e quindi lotta politica. Infatti, scrive Marx nel manifesto, poche righe dopo,

Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.

I comunisti sono il partito politico della classe proletaria, l'unico strumento attraverso il quale la lotta proletaria può diventare realmente di classe contro classe, ossia politica. Il che significa che senza partito la lotta proletaria non può andare oltre la lotta per il miglioramento dell'esistente, mai diretta contro il ruolo politico della classe che vive di sfruttamento e oppressione. Il che significa altresì che i comunisti non possono limitarsi a “forme di strutturazione e centralizzazione organizzativa / operativa” delle lotte attualmente espresse dal proletariato, ma che devono operare affinché, in queste lotte, una parte sempre maggiore di proletari arrivi a “comprendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario” ossia ad aderire agli embrioni attualmente presenti del partito di classe. Si tratta, ancora, di compiere un salto rispetto all'esistente.

Affinché la lotta proletaria diventi lotta di classe e quindi lotta politica c'è bisogno di uno strumento capace di mettere in discussione il complesso delle compatibilità capitaliste. Per giungere a questo è necessario oggi chiarire che ogni lotta, per quanto possa essere generosa e vincente, è destinata ad essere riassorbita tanto nelle forme quanto nei risultati eventualmente conseguiti. Su questa base, e solo su questa, è possibile far maturare coscienze anti-capitaliste, far crescere le fila organizzate del partito di classe, attrezzarlo ai difficili compiti che lo attendono.

La nostra classe ha subito una sconfitta ormai secolare, diretta conseguenza di tale sconfitta è oggi la visione, largamente diffusa in quasi tutti gli ambiti politici, secondo la quale

la cosa più importante è far partire, sostenere e crescere le lotte: le lotte e solo le lotte possono sciogliere i problemi politici che le avanguardie non riescono ad affrontare.

Ma questa visione tralascia alcuni dettagli: purtroppo i pochi comunisti oggi in giro – e i comunisti sono e saranno sempre una minoranza – non possono avere un ruolo determinante nella ripresa generalizzata delle lotte. Ugualmente non è possibile demandare alla lotte stesse la necessità della chiarificazione teorico-programmatica che invece spetta alle avanguardie rivoluzionarie (se non vogliono arrivare disarmate all'appuntamento con la storia). Infine, il partito non è il “quartier generale” di una lotta di classe che per virtù propria ha la capacità di diventare politica, e quindi rivoluzionaria. Come già argomentato è invece vero l'esatto contrario: siccome la lotta di classe nelle società classiste è endemica, il partito comunista è l'unico strumento in grado di leggerne il significato politico per dirigerla verso la realizzazione dell'abolizione del lavoro salariato. Detto in altri termini, la lotta di classe può realizzare i suoi obiettivi solo se guidata dal partito politico di classe, senza il partito di classe la lotta proletaria è ridotta a mera lotta per la sopravvivenza in una società che vive del suo sfruttamento e della sua oppressione. I comunisti devono prepararsi, innanzi tutto politicamente, a dirigere la rivoluzione ossia a rendere politica la lotta di proletaria, a renderla lotta di classe contro classe.

Politica di raggruppamento

Nelle passate esperienze, il confronto si è presto arenato a causa dell'idea della politica di raggruppamento che deriva a COMBAT dalla sua visione riguardo il ruolo dell'avanguardia di classe:

la teoria divide i gruppi. Prima ci fondiamo assieme, solo poi potremo parlare e, attraverso una pratica comune, fuori dagli orticelli, riuscire a risolvere le differenze.

Tale impostazione, qui sintetizzata a parole nostre, è ribadita e confermata a più riprese nel documento laddove, per esempio, si afferma:

solo nell'intervento nel movimento reale della classe il confronto può essere spostato dalla sfera dell'ideologia astratta a quella della lotta concreta, nella quale è possibile verificare le possibilità d'azione, sulla cui base trovare una sintesi anche sul terreno teorico-politico [o ancora...] proprio perché non siamo una setta monolitica, dobbiamo sforzarci di intensificare al nostro interno il confronto... attraverso una costante verifica collettiva sul piano empirico della validità e dell'efficacia di questa o quella tesi … procedendo per gradi dal 'generale al particolare' sarà possibile conseguire, laddove possibile, quelle sintesi necessarie alla definizione di una linea politica comune.

Se si trattasse di raggruppare tutti i soggetti che potenzialmente potrebbero contribuire alla crescita della lotta proletaria, affidando a questa il compito di risolvere tutti i problemi politici, effettivamente il metodo, sebbene non marxista, sarebbe coerente. L'ottocento e in parte il novecento sono attraversati da movimenti di marca rivendicativo-sindacale che hanno fatto proprio questo: demandare all'empirismo – e non al marxismo – la verifica dei risultati raggiunti. Effettivamente per questa via è stato anche possibile dare vita a movimenti di una certa consistenza, ma siamo, appunto sul piano del rivendicazionismo nel quadro capitalista, non nella battaglia politica comunista contro di esso. Dal nostro punto di vista questo approccio è sbagliato per due ordini di motivi:

  1. il ruolo dell'avanguardia comunista è quello di raggruppare gli elementi migliori della classe non attorno ad un programma rivendicativo, ma al programma rivoluzionario – il che richiede la sua definizione –, solo sulla base dell'accettazione di tale programma è possibile aderire all'organizzazione di classe, e questo a maggior ragione oggi che l'orizzonte ultimo del socialismo sembra essersi perso tra le coltri di questa società del, falso, benessere;
  2. essendo il partito di classe caratterizzato dalla sua impostazione teorico-politica, la verifica di questa non può essere demandata all'empirismo, la base programmatica del partito internazionale del proletariato, la piattaforma teorica e politica, è unica e unitaria.

Le posizioni strategiche di classe non scaturiscono, in sé e per sé, dalle esperienze quotidiane e contingenti di questi o quegli operai in questo o quel paese. Sono invece il risultato – oltre che di un bilancio storico complessivo della lotta di classe in tutte le sue sfaccettature – della critica dell’economia politica, condotta col metodo della dialettica materialista. Questa critica rappresenta il contenuto essenziale del marxismo: è la scienza rivoluzionaria del proletariato. Strategia, tattica e programma, i fondamenti del futuro partito di classe, la sua piattaforma, non possono nemmeno essere oggetto di mediazione e contrattazione tra gruppi dove gli interessi... di orticello prevalgono su quelli generali e storici di classe.

Facciamo un esempio: nel 1922 la III internazionale lancia la parola d'ordine “alle masse!”, favorendo così l'alleanza dei partiti comunisti con i partiti socialisti e riformisti, empiricamente, nel breve periodo, questo metodo di lavoro ha pagato, effettivamente la schiera degli operai con i quali si è entrati in contatto si è estesa, ma nel medio e lungo periodo? Si è progressivamente perso il senso della ragione d'essere stessa del partito comunista, fino a ridurlo ad una semplice appendice del capitalismo di stato russo. Il metodo empirico non appare quindi essere il migliore per verificare la correttezza di una impostazione politica.

Ma rimaniamo agli anni '20. Nel documento si rileva come le organizzazioni della III internazionale “fossero la risultante della convergenza, nell'ambito di una comune linea strategica, di differenti orientamenti tattici”, passando all'oggi si afferma che

la pluralità di posizioni, per essere una ricchezza … va accompagnata con un certo grado di centralizzazione nella definizione dell'iniziativa, del metodo di lavoro, delle campagne politiche e della vita interna della struttura.

Storicamente l'eterogeneità con la quale si costituirono i partiti della III IC, sulla spinta della suggestione dell'Ottobre Rosso da un lato pagò in termini numerici – verifica empirica –, dall'altro, con il sopravvenire della controrivoluzione, li condannò – fatta parziale eccezione della sinistra comunista italiana – al disorientamento e alla sconfitta. Una piattaforma costituita da una “sommatoria di posizioni”, e non dalla salda adesione ad un metodo fatto di strategia, tattica e programma comuni, condannerebbe il futuro partito a non avere una bussola salda proprio nel momento in cui la fase, sotto la spinta di una possibile ripresa della lotta rivoluzionaria di classe, diventerebbe più difficile, complessa e contraddittoria sottoponendo il partito a sollecitazioni enormi.

In quei momenti, ce lo insegna la storia, la centralizzazione serve, ma solo se ancorata alla solida condivisione di una piattaforma politica a tutto tondo. Altrimenti diventerebbe disciplina burocratica, proprio come la bolscevizzazione che fu lo strumento, centralizzatissimo, attraverso il quale lo stalinismo fece fuori le sinistre rivoluzionarie nella III Internazionale.

Non è sufficiente essere – giustamente - contro il dogmatismo, il culto della personalità, le bandierine di appartenenza, per il “metodo scientifico”, ecc. se poi si caccia via anche il cuore pulsante della dialettica materialista e si ripercorrono, esattamente, gli stessi passi che, più volte, hanno fatto si che il Partito di classe arrivasse impreparato all'appuntamento con la Storia.

La piattaforma sulla quale nascerà il futuro partito è – in larga parte – già data, non c'è nulla da inventare, come nulla di nuovo vi è nelle varie posizioni che ogni corrente di COMBAT vorrebbe far prevalere nel dibattito interno, si tratta, sempre, di posizioni e impostazioni che aleggiano tra le fila del movimento operaio fin dalle sue origini.

Nell'ultimo settantennio di storia il comunismo internazionalista ha analizzato e sistematizzato tutti i maggiori problemi del movimento di classe: dalla natura della crisi e del nuovo imperialismo al crollo dell'URSS, dalla natura e funzione del partito di classe a quella dei sindacati, dalla nuova composizione di classe ai caratteri distintivi della futura dittatura di classe proletaria. Un lavoro portato avanti senza paraocchi, rifiutando miti, rigettando ogni impostazione dogmatica (in primis quella di Bordiga). Un lavoro teorico non da salotto, sempre alimentato dall’esperienza pratica, ovvero condotto alla luce del metodo dialettico-materialista: prassi-teoria-prassi.

In alcuni di questi ambiti l'analisi va, certo, qua e là aggiornata, ma, in sostanza, non c'è nulla da inventare: o si accettano le conclusioni tratte alla luce di una dialettica materialista, intesa come “interpretazione e critica dell'economia capitalistica in tutta la sua fase di esistenza e in quanto particolare, completa concezione del mondo e della storia umana” [Piattaforma PCInt, II cong., 1952)], o si viene meno al proprio compito di avanguardia politica.

Prima di proseguire vogliamo sintetizzare il metodo di lavoro che, da sempre, caratterizza il nostro lavoro di partito:

  1. Innanzi tutto la chiarezza: ad oggi riteniamo prioritario l'impegno per il rafforzamento del Partito Comunista Internazionalista in Italia e della Tendenza Comunista Internazionalista in campo internazionale.
  2. Siamo consapevoli – e al contempo lo auspichiamo – che non con le sole nostre forze si costruirà il Partito Internazionale del Proletariato, né tanto meno crediamo che tale Partito possa nascere attraverso l'artificioso impianto di sezioni di Battaglia comunista all'estero. Al contempo la nostra estraneità ad ogni forma di settarismo, in tale opera, è ben documentata da un settantennio di esperienze (3). In ogni occasione ciò che perseguiamo è il serio confronto sui contenuti, reale e leale, il solo che possa contribuire alla chiarificazione politica e quindi tracciare la strada per una eventuale collaborazione verso la costruzione del Partito internazionale del proletariato. È il risultato di tale confronto a determinare il tipo di rapporto che si può instaurare.
  3. Mettiamo al centro del confronto la nostra piattaforma, frutto di un secolo di battaglie contro il capitalismo e le sue espressioni politiche.

Per concludere su questo punto: il Partito internazionale del proletariato è tutto da costruire, certo, ma ciò non vale per la piattaforma intorno alla quale esso dovrà costituirsi. Riteniamo infatti che il Partito Comunista internazionalista sia portatore di una piattaforma politica le cui linee portanti saranno quelle del futuro Partito internazionale del proletariato. La piattaforma del futuro Partito internazionale dovrà porsi necessariamente in continuità, e non in rottura, con quanto prodotto in settanta anni dal nostro partito, è da questa convinzione che prende le mosse il nostro lavoro.

Riteniamo, per quanto era in nostro potere, di aver approfondito a sufficienza i principali aspetti contraddittori del documento. Vogliamo ora commentare, seppure per sommi capi, alcune parti relative alla proposta politica che non ci convincono e che pensiamo siano il frutto di ideologie estranee al marxismo che pure continuano ad assere presenti nell'ambito di COMBAT.

La crisi

Innanzitutto la crisi: manca totalmente una definizione della stessa, non si capisce se questa sia strutturale o meno, quando sia iniziata, non si capisce nemmeno se sia una crisi economica o “di direzione”, “di squilibrio”, “sociale”, “politica”... Non si capisce quale ne sia il motore, solo ad un tratto si approfondisce un minimo il tema affermando che sarebbe in atto “uno spostamento del baricentro del capitalismo mondiale verso i paesi emergenti”, saremmo quindi “di fronte agli enormi squilibri del capitalismo, e ad una crisi di direzione dell'imperialismo” che non esclude la possibilità di “una ripresa su scala internazionale”.

A noi “ortodossi”, queste parole non dicono molto; abbiamo già avuto modo di criticare [Prometeo 7/12] – senza peraltro ricevere risposta – la posizioni espresse dai “negazionisti” della caduta del saggio del profitto. Negare il carattere strutturale della crisi o meno, definirne i caratteri e i possibili sviluppi è fondamentale per definire la piattaforma di un organizzazione rivoluzionaria, meno importante se non si guarda agli obiettivi storici che caratterizzano i comunisti, ma solo ai problemi contingenti legati all'estensione delle lotte.

Negare il carattere strutturale della crisi presta inoltre il fianco ad avanzare teorie errate circa la possibilità che il proletariato possa avanzare sul piano della rivendicazione economica.

Si afferma oltre che per il “recupero della coscienza[,] e il difficile lavoro di ricostruzione internazionale del partito comunista”, il metodo che si avanza è di

partire dal_ [proprio] _patrimonio – seppur minimo … attraverso una puntuale e costante verifica 'sul campo' dei risultati del lavoro. … fondare l'intervento quotidiano nello scontro di classe su un programma politico rivoluzionario con l'obiettivo di conquistare posizioni nei movimenti e nei settori di classe tramite un lavoro di massa.

Riguardo alla “verifica sul campo” abbiamo già detto, vediamo allora il “programma politico rivoluzionario” e il “lavoro di massa” che si vogliono avanzare.

Le lotte rivendicative e il ruolo dei comunisti

Alla condivisibile premessa che “o il movimento proletario è capace di imporre la propria soluzione o la profondità della crisi si abbatte su di esso” fa seguito la seguente affermazione:

l'esempio più tangibile di come sia possibile condurre battaglie che sul piano vertenzial-rivendicativo superino gli angusti limiti delle compatibilità col sistema del profitto è data dal movimento dei facchini nella logistica.

Qui siamo disorientati: la lotta dei facchini, tanto generosa quanto, purtroppo, isolata dal resto della classe, non ha affatto superato gli angusti limiti delle compatibilità con il sistema del profitto, al contrario, la loro rivendicazione è stata limitata alla applicazione del contratto della logistica e, nonostante questo suo autolimitarsi, ha subìto dure rappresaglie, dovendosi accontentare di accordi sempre di molto inferiori alle loro, già minimali, richieste. Questa importante lotta, al contrario, ha dimostrato proprio il limite di battaglie che, per quanto generose, vengono condotte solo sul piano vertenziale. Ci sorge il dubbio che pur di auto-convincersi del proprio ruolo nella ripresa delle lotte si rischi di distorcere la realtà.

Il compito delle avanguardie in tali lotte non è limitato a “lavorare per allargare il fronte”, ma è di maturare – a partire dalla messa in evidenza dei limiti stessi della lotta – coscienza di classe rivoluzionaria anche solo in individualità operaie, radicare l'organizzazione maturando nuovi militanti, trasformare anche le sconfitte in vittorie, attraverso l'allargamento della compagine comunista organizzata, la formazione di nuovi comunisti.

Qualche volta i lavoratori riescono a vincere, ma solo provvisoriamente. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma il rafforzamento dell'unità dei lavoratori.

Marx, Manifesto, 1848

I comunisti non sono quelli che semplicemente stimolano e favoriscono le lotte ma quelli che, pur stimolandole e favorendole, ne mettono in rilievo i significati per la classe ed i limiti nel quadro capitalista, quelli che all'interno di esse fanno vivere la prospettiva socialista.

Non è mai stato vero infatti che, come affermato, “È la lotta stessa a separare i rivoluzionari dai borghesi di ogni risma”. Al contrario, è la prospettiva che all'interno della lotta i rivoluzionari possono dare o meno a separarli dagli altri. Prendiamo il caso dei “solidali” con le lotte dei facchini. Tutti rivoluzionari? Non crediamo, anzi, per la maggior parte di loro, come per il padre dell'opportunismo, “Il movimento è tutto, il fine è nulla”. La storia del movimento operaio è piena di esempi di movimenti che hanno dedicato tutte le loro generose energie allo sviluppo e all'intensificazione delle lotte. Le rivoluzioni, però, le ha fatte chi ha avuto le spalle abbastanza larghe da porre con chiarezza i problemi politici.

Per estendere e sostenere le lotte è necessario

intercettare … settori sempre più larghi e significativi della nostra classe di riferimento [ossia...] aderendo a tematiche di conflitto (salario, casa, tariffe e bollette, degrado ambientale) che … contengono già i punti caldi sui quali milioni di persone saranno costrette a muoversi domani.

Per questo i compagni di COMBAT propongono “l'intervento nei sindacati, in un'ottica di rafforzamento delle posizioni rivoluzionarie” oppure, ove ciò non sia possibile, la costruzione di “Comitati di Lotta i quali privilegino l'azione diretta”. Verso un “organizzazione politica” dotata di “STRUTTURE SUE PROPRIE … Queste strutture … andranno a costituire uno degli embrioni di quello che sarà il partito rivoluzionario.

Con queste premesse la domanda che il documento si pone è: “come è possibile per i comunisti conquistare quel sostegno di massa?

Stando nelle lotte e negli organismi che le promuovono e appoggiano, ok, ma con quale programma? Quali sono le “posizioni rivoluzionarie”?

un'organizzazione comunista non può esistere senza dotarsi di un programma autonomo e facilmente riconoscibile dai proletari e in primo luogo dalle sue avanguardie che riguardi il 'qui ed ora'.

Capiamo la buona volontà insita nel cercare di affrontare le immani difficoltà che stanno davanti ai rivoluzionari, ma ci permettiamo di rilevare come le conclusioni politiche alle quali tutto il documento tende nel suo desiderio di essere novità, ripercorrono esattamente le stesse ricette che da oltre 150 anni caratterizzano la sinistra non marxista: dal programma di Gotha del 1875, al programma del PSI del 1892, al programma di transizione del 1938, alle rivendicazioni dei gruppi degli anni '70.

Sosteneva Trotsky al culmine della sua deriva opportunistica: “Bisogna aiutare le masse a trovare, nel processo della loro lotta quotidiana, il ponte tra le rivendicazioni attuali e il programma della rivoluzione socialista. Questo ponte deve consistere in un sistema di rivendicazioni transitorie che partano dalle condizioni attuali e dal livello di coscienza attuale di larghi strati della classe operaia” [Programma di transizione 1938]. Similmente i compagni di COMBAT avanzano una serie di rivendicazioni immediate che abbiano il compito di

svelare la contraddizione insanabile tra gli interessi storici delle due classi in lotta, e … 'stimolare' la presa di coscienza della necessità della rottura rivoluzionaria.

Il problema è che tale “ponte” (Trotsky), tale “stimolo alla presa di coscienza” (COMBAT) non esiste e non può esistere nelle rivendicazioni immediate all'interno del quadro capitalista, ma esiste solo nella presa di coscienza politica della necessità del suo superamento.

Non vi è alcuna continuità tra le rivendicazioni immediate nel capitalismo e la lotta rivoluzionaria contro di esso, ma solo rottura, il partito è lo strumento per superare tale rottura, per fare il salto: non esistono parole d'ordine rivendicative che, di per sé, portino all'unità della classe e alla presa di coscienza rivoluzionaria, solo l'intervento politico del partito di classe può svolgere tale funzione, affrontando dal punto di vista comunista i problemi che sprigionano dalle lotte immediate.

I comunisti non decidono il terreno dello scontro con la borghesia, ma lo subiscono, non decidono le istanze sulla base delle quali la classe si muove e si muoverà, almeno fino al momento in cui le condizioni non saranno mature per l'assalto rivoluzionario.

I comunisti espletano tale compito partendo dal livello di coscienza esistente, dalle rivendicazioni che la classe avanza, promuovendone l'iniziativa autonoma, sostenendola, spingendo per romperne l'isolamento: verso l'unità di tutti gli sfruttati. Contemporaneamente (né prima, né dopo) chiariscono che ogni possibile vittoria, pur richiedendo duro impegno, è sempre e solo temporanea. Nel fare questo contrastano gli agenti del capitale nelle fila proletarie e indicano i limiti insiti in qualsiasi lotta rivendicativa per dimostrare la necessità dell'alternativa comunista. I comunisti oggi non hanno il problema di trovare la parola d'ordine rivendicativa che meglio potrebbe “'stimolare' la presa di coscienza della necessità della rottura rivoluzionaria.” perché tale parola d'ordine, semplicemente, non esiste. Il problema dei comunisti è invece quello di iniziare a far circolare nella nostra classe l'abc della lotta proletaria, del patrimonio storico del movimento rivoluzionario, del comunismo. Noi comunisti abbiamo una sola parola d'ordine: tutto il potere al proletariato, per il socialismo, contro il lavoro salariato.

La speranza che ci si possa servire “di rivendicazioni 'legali' per svelare come queste rivendicazioni siano impossibili da ottenere senza l'esercizio della forza da parte degli sfruttati” (e la conquista del potere politico aggiungeremmo noi), è vana e già tentata centinaia di volte.

Salario garantito

Un movimento che si impegnasse, come propone COMBAT, su campagne per il salario garantito per tutti, oltre a cadere in un terreno non suo, ovvero in quello dell'opportunismo, oltre a diffondere illusioni tra i lavoratori, avanzerebbe – in quanto forza comunista – una rivendicazione anti-socialista.

Ci spieghiamo meglio. Una volta che il potere politico passa nelle mani della classe proletaria, il primo compito che si pone davanti è quello del superamento della divisione in classi della società, ovvero dell'abolizione del salario, per questo viene soppressa la proprietà privata dei mezzi di produzione che vengono posti sotto il controllo dei consigli proletari, socializzati. I consigli, sulla base della determinazione dei bisogni collettivi determinano il piano della produzione e, sulla base di questo, suddividono tutto il lavoro necessario, equamente, tra la totalità dei membri della società. A fronte dell'adempimento della parte di lavoro sociale spettante ad ognuno viene riconosciuto un “buono lavoro” che certifica la prestazione svolta e permette di appropriarsi dei beni di consumo necessari alla propria esistenza. Al di fuori di questa relazione, come sostenevano i compagni negli anni '20: “chi non lavora non mangia”. Quindi, nel socialismo, ad eccezione degli anziani, dei bambini e degli inabili al lavoro in genere, non c'è nessuna corresponsione di beni di consumo se non contro prestazione lavorativa. Il “salario garantito” invece introduce una logica differente: chiunque ha diritto ad accedere ai beni di consumo indipendentemente dal fatto che presti la sua parte di lavoro sociale.

Sia chiaro, questa rivendicazione, potrebbe essere più che legittima, sopratutto in territori ad elevata disoccupazione, qualora fosse espressione di settori reali di classe e non degli esperimenti tattici di minimali avanguardie politiche, il fatto è che, come tutte le rivendicazioni all'interno del quadro capitalista, anche questa incorpora dei limiti. Il compito dei comunisti non è quello di scrivere tale rivendicazione sulla propria bandiera, bensì, quello di appoggiare e sostenere le lotte proletarie che nascessero su tale base, indicandone contemporaneamente i limiti e lavorando affinché maturi la coscienza che l'unico modo per soddisfare i bisogni di tutti e di ognuno è il passaggio del potere politico nelle mani dei lavoratori, per la realizzazione del socialismo. Il compito dei comunisti è e sarà quello di dire ai proletari: giusto che lottiate per difendere il salario, il posto di lavoro e le vostre condizioni, siamo con voi, ma non illudiamoci, questo sistema non garantirà mai un salario dignitoso per tutti i proletari. Il compito dei comunisti è quindi di dimostrare che il lavoro salariato è sfruttamento – anche quando è sganciato dalla prestazione lavorativa! –

invece che della parola d’ordine conservatrice un equo salario per un’equa giornata lavorativa, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario _soppressione del lavoro salariato.

K. Marx, Salario, prezzo e profitto, 1865

Un altro limite di tale parola d'ordine è il seguente: ammettiamo che in seguito ad una enorme mobilitazione si riuscisse a strappare qualcosa, in quel caso

  1. non solo i comunisti si sarebbero persi nel vasto fronte di chi si caratterizza per la richiesta del salario garantito, perdendosi nelle infinite diatribe (p.es. salario o reddito) che ne deriverebbero, finendo per caratterizzarsi per una determinata interpretazione di tale rivendicazione invece che per il programma dell'abolizione del salario, ma
  2. se questa rivendicazione si affermasse in occidente, come farebbe fronte a tale enorme impegno economico la borghesia se non incamerando extra-profitti attraverso l'ulteriore e selvaggio sfruttamento dei proletari della periferia per drenare fondi da destinare al salario garantito dei proletari della metropoli, al fine di addormentarne la conflittualità? È esattamente il privilegio che ha avuto per oltre un secolo l'aristocrazia operaia occidentale, la quale si schierò apertamente contro il proletariato periferico pur di non perdere i propri micro-privilegi accumulati negli anni.

Certo, se si nega la caduta del saggio del profitto, allora si può anche ipotizzare che il capitale possa cedere, sotto una forte pressione proletaria, una quota parte dei propri profitti senza intensificare lo sfruttamento del proletariato periferico.

Come si vede la definizione della crisi è un passaggio indispensabile ad una corretta definizione di ciò che si deve e non si deve fare. Se non c'è caduta del saggio del profitto, l'unico limite posto alle rivendicazioni proletarie è la forza rivendicativa stessa del proletariato, che potrà conquistare posizione su posizione fino a porre il problema del potere. Ma questo è il gradualismo di Bernstein, di Gramsci, dell'operaismo, dell'Autonomia degli anni '70: tutte tradizioni che con la rivoluzione comunista non hanno niente a che vedere. Siamo ancora così sicuri che sia compito dei comunisti, in questa fase storica, “costruire un vero movimento di dimensioni nazionali sul salario garantito”? E se – in generale – i comunisti avranno un giorno un seguito tale da riuscire a smuovere le masse proletarie fino a dettare l’agenda delle lotte, perché allora non dirigere la classe verso l’abolizione del lavoro salariato, anziché verso la conquista del salario per tutti? Se non si chiarisce la questione della crisi, si rischia di cadere in errori pesanti:

In molti casi … la crisi diventa un alibi per dar vita a ristrutturazioni, riorganizzazioni interne, esternalizzazioni, fughe di capitali all'estero e dismissioni funzionali ad aumentare ulteriormente i profitti,

tutto vero, ma è altrettanto vero che la crisi detta una direzione, che è quella della compressione del salario, per questo, in determinati frangenti, questa rivendicazione può essere anche la migliore dalla quale partire, ma il ruolo dei comunisti non è mai quello di appiattirsi o addirittura caratterizzarsi con essa, bensì quello di sostenere la lotta da un lato, indicarne il limite dall'altro. In questo caso nel socialismo, non prima, tale parola d'ordine si realizzerà pienamente attraverso la riduzione della giornata di lavoro per tutti. Oggi, purtroppo e nella grande maggioranza dei casi, significherà un barattare parte del salario pur di mantenere il posto di lavoro.

Crediamo di poterci fermare qua.

Prima di concludere ci permettiamo di invitare gli estensori ad utilizzare concetti e metafore diverse dagli orti, orticelli, sette e catacombe che attraversano tutto il documento ed il dibattito interno a COMBAT, concetti sicuramente utili a delimitarsi verso l'esterno, ma che rischiano di allontanare – attraverso la logica del “nemico esterno” – l'attenzione dai problemi sui quali invece COMBAT dovrebbe, a parere nostro, focalizzare l'attenzione. Inoltre:

  1. ci pare che attraverso tale retorica faccia breccia un contenuto anti-organizzativista secondo il quale compito dei raggruppamenti è sempre la lotta per la lotta, mai il crescere, radicarsi nella classe, del proprio “orticello”. Compagni, magari crescessero questi orticelli! Anche solo per avere “qualcosa in mano” quando ognuno dovrà buttare sul piatto della bilancia del futuro Partito lo scioglimento della propria struttura;
  2. il monito appare alquanto contraddittorio: perché COMBAT ha dato vita ad un nuovo “orticello” – anziché impegnarsi a conoscere meglio, confrontarsi e collaborare con organizzazioni già esistenti?
  3. come abbiamo cercato di dimostrare, i problemi politici sono ben'altri e non risolvibili attraverso l'attribuzione di etichette da mettere ad altri, evitando così di focalizzare le proprie di contraddizioni.

Concludiamo riprendendo e facendo nostro il titolo del documento che abbiamo fin qui commentato: “Per l'unità dei comunisti rivoluzionari!”, riteniamo che oggi tale unità sia più necessaria che mai. Ma crediamo che l'unico modo attraverso il quale dare vita a questa unità sia attorno ad una strategia rivoluzionaria chiara e definita.

Solo tale unità potrà avere la capacità di invertire la tendenza, di rappresentare una reale alternativa, di non essere risucchiata nel vuoto delle mille esperienze già tentate e ritentate. Per l'unità dei rivoluzionari attorno al programma ed alla strategia della rivoluzione comunista, ponendo al centro della discussione la nostra piattaforma teorico-politica, chiamiamo i compagni di COMBAT, e tutte le forze che si pongono seriamente su questo terreno, al confronto.

Lotus

(1) Per approfondire questo tema: “I comunisti sono un elemento esterno alla classe?”, Prometeo n. 9, 2013.

(2) Cfr. Il libro appena uscito, Settant'anni contro venti e maree, storia documentaria del Partito Comunista Internazionalista dalle origini ad oggi, ed. Prometeo.

(3) Per approfondire il tema consultare, tra gli altri: Esperienze e insegnamenti sulla linea della ricostruzione del partito di classe, opuscolo, Ed. Prometeo; Ricostruendo il partito di classe, Prometeo, serie VI, n. 4 (anche sul sito web); Movimento, classe e partito, Prometeo, serie VI, n. 18 (anche sul sito web); il nostro lavoro per il partito internazionale del proletariato, Capitolo 5 del libro Contro venti e maree, Ed. Prometeo.

Martedì, June 17, 2014

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.