Massacri e manovre in Medio Oriente

Il massacro siriano

L'anno scorso, mentre il computo delle vittime in Siria cominciava a superare quello di tutti i morti della “Primavera Araba” messi assieme, abbiamo scritto un articolo (1) che analizzava le origini di quella crisi e le radici sociali del regime di Assad. Abbiamo registrato che il tipo di massacro perpetrato dallo Stato non era qualcosa di nuovo. Abbiamo scritto:

Nel febbraio 1982, la Fratellanza Musulmana organizzò una sollevazione di 5000 uomini armati contro il padre dell'attuale Assad, Hafez, nella città di Hama. In risposta, l'esercito circondò la città, la privò di acqua, elettricità e linee di telecomunicazione, e cominciò a bombardarla. Non una sola persona sarebbe potuta sfuggire e viene riportato che infatti l'esercito uccise perfino sostenitori del regime. Ben 20.000 persone potrebbero essere morte in quella strage. Il messaggio era chiaro e fu compreso. Ogni resistenza sarebbe stata trattata senza pietà. Da allora, fino a questo marzo, ci sono state solo voci intellettuali a sollevarsi in segno di protesta contro la corruzione del regime e la stagnazione dell'economia. Gli attuali moti in luoghi diversi sono scoppiati quando il regime ha arrestato una decina di bambini per aver disegnato graffiti anti-regime a Daraa.

Da allora, il numero delle vittime nell'attuale bagno di sangue ha superato le 5500 (sulle basi di stime conservative) mentre andiamo in stampa. La strategia del regime ad Homs è una ripetizione di quella usata contro Hama in 1982. Ossia, la distruzione di qualsiasi persona o cosa che si muova nelle aree che si presume siano basi della “Free Syrian Army”. La stessa è applicata in svariate altre città siriane, dai sobborghi di Damasco ad Aleppo.

Giochi imperialisti

Sono stati prodotti fiumi d'inchiostro da parte della “comunità internazionale”, ma ben poco è stato fatto finora per porre fine alla miseria di milioni di persone. Le ragioni sono abbastanza chiare a chiunque abbia una visione marxista e riconosca che la cosiddetta “comunità internazionale” è solo la facciata diplomatica delle rivalità imperialiste. I giornali occidentali assegnano la responsabilità delle continue violenze interamente a carico del trio della SCO (Shanghai Cooperation Organisation, che comprende Russia, Cina ed Iran). Nella prima settimana di febbraio, la Cina e la Russia hanno posto il veto su un cosiddetto piano di pace del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che era stato proposto dalle monarchie islamiche sunnite del Consiglio di Cooperazione del Golfo, attraverso la Lega Araba. Questo piano chiedeva le dimissioni di Assad come primo passo verso un dialogo con l'opposizione siriana. Di conseguenza, la risoluzione è fallita e l'intensità del bombardamento di Homs è aumentata con terribili risultati.

La posizione della Russia è che ora rimpiange di essersi astenuta sulla mozione per la creazione di una “no-fly zone” in Libia, usata dalla NATO per lanciare attacchi aerei e spostare l'equilibrio a danno del vecchio alleato della Russia, Gheddafi (2). Non è disposta ora a vedere la stessa cosa usata contro Assad, un alleato molto più stretto e di importanza più critica. La Russia ha una base militare in Siria e fornisce armi al regime. Se Assad cadesse, la Russia perderebbe l'ultimo alleato nel mondo arabo e come consolazione gli rimarrebbe quasi solo il legame con l'Iran, un alleato molto incostante.

E l'Occidente, come al solito, gioca un ruolo ancora più ipocrita. Quando va bene a loro, le potenze occidentali possono ignorare i convenevoli dei vincoli legali internazionali (come nell'invasione dell'Iraq nel 2003, che ebbe luogo senza un chiaro mandato ONU) (3). Ma la Siria non è la Libia. Non ha petrolio “sweet crude” in abbondanza e quindi non c'è una opportunità immediata da sfruttare. E il regime di Assad, fino ad un certo punto, è utile anche all'Occidente e ad Israele. Certo, esso sostiene gli Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, ma è anche un regime stabile che ha soppresso brutalmente l'odiato fondamentalismo islamico. Non è una grossa minaccia, in quanto è stato in ritirata, in termini imperialisti, per un decennio (spinto fuori dal Libano e costretto a cercare un rapporto migliore con l'Occidente). Dato che già l'Iraq e la Libia mostrano segni di instabilità in conseguenza delle azioni occidentali, l'idea di mantenere al potere il regime di Assad ad alcuni non pare tanto negativa. Ancora meglio se uno riesce a dipingere i suoi rivali imperialisti come causa reale dei massacri, mentre tutto quello che fa è incrociare le braccia e spargere lacrime di coccodrillo per le vittime della brutalità dei Ba'athisti.

Le sanzioni come arma

Naturalmente l'Occidente dirà che, con il ritiro degli ambasciatori e il continuo rafforzamento delle sanzioni, stanno facendo tutto quel che possono per mettere pressione a Damasco, ma le sanzioni richiedono molto tempo per dare dei risultati. Oggi non viene sollevato un caso “umanitario” per andare contro le norme della diplomazia internazionale. Non c'è nemmeno una grossa campagna di propaganda sul bisogno di democrazia in Siria. Dopotutto, come mostra l'Egitto, la democrazia nel mondo arabo può avere la spiacevole conseguenza di favorire i fondamentalisti islamici più che i secolaristi. È anche un po' difficile che uno possa giocare la carta della democrazia, quando i suoi principali agenti nella Lega Araba sono i monarchi assoluti sunniti dell'Arabia Saudita e del Quatar. L'invasione saudita del Bahrain, l'anno scorso (4), ha dimostrato quanto fossero devoti alla democrazia; tuttora costituiscono la base della strategia statunitense in Medio Oriente.

Quel che emerge con rinnovata chiarezza dal racconto dell'orrore che sono gli eventi siriani, sono le linee di frattura nel quadro imperialista internazionale. Iran, Russia e Cina sono in posizione contrapposta rispetto all'Occidente e agli alleati arabi. Al tempo stesso, il Medio Oriente viene riportato al centro delle tensioni imperialiste. In gioco sullo scacchiere, non c'è solo la Siria ma tutto l'equilibrio della zona . Gli sforzi iraniani per acquisire l'energia atomica hanno portato le tensioni internazionali ad un picco ancora più alto. I servizi segreti israeliani stanno alzando la posta sostenendo che l'Iran stia spostando le sue infrastrutture di ricerca nucleare nelle profondità del sottosuolo in modo da essere immune agli attacchi aerei come quelli lanciati da Israele contro i siti nucleari dell'Iraq nel 1980. La Turchia non sta a guardare, mentre Arabia saudita, Qatar, Inghilterra e Usa muovono, nemmeno tanto nascostamente, le loro pedine.

Quo Vadis Siria?

Nel termine immediato, sembra che l'agonia della popolazione siriana continuerà. Sia i leader russi che quelli iraniani si sono recati a Damasco per tentare di aiutare Assad nella ricerca di una via d'uscita dall'empasse. Non sappiamo cosa si siano detti. Sappiamo che gli iraniani (o almeno la fazione di Khamenei) hanno mandato anche i più grossi generali delle forze di elite - i “Quds”, Guardiani della Rivoluzione - per dare indicazioni su come gestire i “disordini” (dopo i loro “successi” contro il Movimento Verde in Iran nel 2009). Ciò è di cattivo auspicio per i siriani, e non solo quelli attivamente coinvolti nell'opposizione, come può testimoniare la popolazione di Homs.

Ma in questo modo il regime di Assad sta bruciando le proprie navi. La maggior parte dei siriani è preparata a tollerare anche il regime repressivo dei Ba'athisti, ma fin quando questo garantisca una certa stabilità e non interferisca con le attività economiche delle popolazioni locali. Questi fattori sono stati entrambi spazzati via negli ultimi undici mesi. A partire da una crescita del pil del 6% nel 2009, quest'anno si è arrivati ad una caduta pari al -6% e oltre, mentre l'inflazione sta crescendo in maniera drastica dal 2% del 2009 ad un livello a due cifre quest'anno (7). Probabilmente, le sanzioni renderanno la situazione solo peggiore, a meno che la Russia non diventi straordinariamente generosa nel suo supporto. Sulla base delle performance passate, questo è molto poco probabile.

Paradossalmente il bombardamento della popolazione in varie città della Siria sta minando uno dei pilastri su cui il regime si è retto finora - il fattore paura. Se sei pronto a venire ammazzato anche quando vai a fare spesa, non c'è niente di peggio che il regime possa farti. L'incentivo a rispondere con la lotta è quindi maggiore. Qui l'equilibrio delle forze è, naturalmente, decisamente sbilanciato contro i disertori dell'esercito, noti come “Free Syrian Army”. Con poche armi a disposizione (presumibilmente provenienti dal Qatar) e solo poche armi sottratte all'esercito regolare, questo è certamente un “conflitto asimmetrico”. Fintanto che il regime può far affidamento sui reggimenti scelti, costituiti in gran parte da Alawiti, la prospettiva di una imponente defezione non è probabile. Allo stesso tempo l'opposizione è divisa tra diverse fazioni litigiose, come il Consiglio Nazionale Siriano e il Comitato di Cordinamento Nazionale Siriano. I suoi dirigenti sono all'estero (in Turchia), con un ex ufficiale dell'esercito, il colonnello Riad al-Assaad, coordinatore del Free Syrian Army, che da lì chiama traditori gli ufficiali che hanno disertato più tardi (ma sono anche i più esperti). Secondo il Consiglio Nazionale Siriano, nessuna potenza straniera sta finanziando il loro progetto di portare armi in Siria ed affermano che tutti i loro fondi vengono da siriani in esilio. Affermazione falsa perché si hanno notizie pressoché certe che la Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar stanno armando i dissidenti del governo di Assad e che Inghilterra e Usa hanno inviato tecnici militari che addestrano in Turchia le milizie della Free Syrian Army.

Assente da tutto questo è un qualsiasi tipo di movimento di classe. Le fabbriche chiudono ed aprono continuamente, ma non perché i lavoratori stiano scioperando. Questo dipende apparentemente dal fatto che i padroni rispondono alle minacce che in successione arrivano loro sia del Free Syrian Army che dal regime. In generale, i lavoratori non sono coinvolti nelle azioni tramite scioperi e, in maniera poco sorprendente, non abbiamo ancora avuta notizia di qualche movimento autonomo dei lavoratori che stia prendendo piede. L'informazione è scarsa (tanto scarsa che la BBC sta implorando i blogger di inviare notizie), ma sembra che il nazionalismo, il democraticismo e lo jihadismo sunnita siano le ideologie dominanti nell'opposizione. Tutti i segni attualmente indicano che questo particolare disastro capitalista sia destinato a durare per diverso tempo.

In conclusione, per il momento, va ribadito l'assunto per il quale, non c'è possibilità di soluzione a queste crisi, lo stesso discorso vale, seppur in termini diversi, per l'esperienza tunisina ed egiziana, se le tensioni sociali rimangono sul terreno dello scontro tra fazioni borghesi indigene, a loro volta rappresentative di interessi imperialistici internazionali. O il proletariato siriano, al pari di quello del Nord Africa, inizia ad alzare la testa, a organizzarsi nelle sue avanguardie con un programma politico rivoluzionario, fuori e contro le trame imperialistiche e gli egoismi delle proprie borghesie, oppure tutto finirà con un bagno di sangue ancora più vasto di quello che il capitalismo è riuscito a fare dall'inizio di questa "Primavera Araba".

AD, CWO, 2012-02-16

(1) leftcom.org

(2) leftcom.org

(3) Per di più, il governo russo non ha dimenticato il fatto che Bush e Blair abbiano distorto una risoluzione dell'ONU per giustificare l'invasione dell'Iraq. Per questo motivo, oggi non avallerà nessuna risoluzione sulla Siria.

(4) Per la nostra analisi, vedi leftcom.org

(5) Vedi David Gardner “West must move to exploit the tide turning against Iran”, Financial Times 2012-02-07.

(6) leftcom.org

(7) Vedi “Syria's political crisis shatters dreams of business growth”, Financial Times 2012-02-07.

Comments

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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.