Il nuovo muro di Gaza

Le vane aspirazioni nazionalistiche palestinesi strette da due muri, quello israeliano e quello egiziano, in nome dell’imperialismo americano

Il governo egiziano ha iniziato a costruire un muro sotterraneo al confine della Striscia di Gaza per impedire il passaggio di armi e generi alimentari dall’Egitto ai territori palestinesi. Il muro, lungo 12 chilometri, ha una profondità di dieci metri, è costituito da pali di acciaio speciale, che non può essere sciolto dal calore, non può essere perforato, è praticamente indistruttibile e concepito per impedire la costruzione di tunnel che colleghino i confini della penisola del Sinai con i territori della Striscia di Gaza all’altezza del valico di Rafat, unica via di collegamento tra le due aree. La struttura prevede anche l’allagamento sotterraneo del terreno, con acqua di mare, per rendere ulteriormente difficoltoso qualsiasi tentativo di superare lo sbarramento.

L’intento di Mubarak è quello di isolare Hamas all’interno della Striscia isolandola dall’Egitto, impedendo qualsiasi forma di approvvigionamento. La scusa, perlomeno quella formale, è che nelle ultime manifestazioni dei sostenitori di Hamas, si sarebbero prodotti degli sconfinamenti e che, attraverso quella zona, passano i rifornimenti di armi ai fondamentalisti palestinesi. Tutto vero, ma la primaria questione è che il Presidente dell’Egitto intende indebolire il vicino Hamas per contenere l’opposizione interna che a quella esperienza si ispira. Fa contemporaneamente un favore all’alleato Israele e al suo mentore americano che sborsa ogni anno, a fondo perduto, ben tre miliardi di dollari al governo di Mubarak, e, quando è il caso, pretende un ritorno politico ai suoi aiuti economici.

L’opera, che verrà completata entro un anno, aggraverà le già precarie condizioni di vita di un milione e mezzo di palestinesi che vivono nella Striscia. Molte Associazioni internazionali, dopo l’operazione “piombo fuso” del dicembre 2008-gennaio 2009, orchestrata dal Governo israeliano, che ha lasciato sul campo centinaia di vittime civili, residui tossici da armi chimiche - tanto che già si registrano incrementi di malattie linfatiche, tumori e nascite di bambini deformi - hanno lanciato l’allarme per la grave emergenza umanitaria. L’economia a Gaza è praticamente inesistente, il 90% della popolazione è disoccupata, quei pochi schiavi salariati (al nero) che prima andavano in Israele a svendere la loro forza lavoro, oggi sono costretti ad una sorta di segregazione geografica ed economica. La città di Gaza è diventata una fogna a cielo aperto in cui tutte le malattie epidemiche trovano il migliore humus per svilupparsi e per dispiegare i loro devastanti effetti.

La notizia nella notizia è che il muro è finanziato dal Governo americano, ci lavorano i tecnici di Obama affinché il lavoro venga fatto ad arte, che funzioni a dovere e che resista nel tempo. Certamente non è una sorpresa, ma la presenza americana ai confini della Striscia impone un paio di osservazioni.

La prima è che il presidente Obama, in campagna elettorale e nei primi mesi successivi, aveva dichiarato che uno dei suoi obiettivi prioritari in termini di politica estera, sarebbe stato quello di portare la pace in Medio Oriente. Ciò gli avrebbe garantito una immagine vincente, un prestigio internazionale riguadagnato alla critica posizione a cui era arrivata l’immagine degli Usa sotto la doppia amministrazione Bush e, soprattutto avrebbe rilanciato le aspirazioni imperialistiche americane nell’area. Il progetto iniziale, tentato con adeguata determinazione, consisteva nel convincere, non senza le dovute pressioni politiche ed economiche, il Governo di Tel Aviv ad accettare il progetto dei due popoli e due stati. La risposta di Netaniau è stata negativa, stizzita, quasi arrogante nel ribadire il concetto che di Stato palestinese non se ne doveva nemmeno parlare e che Israele, per continuare ad essere il fedele alleato degli Stati Uniti, doveva essere rafforzato e non indebolito da politiche internazionali che, se nell’immediato potevano giovare all’immagine degli USA, nel lungo termine avrebbero penalizzato Israele e, con esso, la stessa presenza politica americana nell’area. Detto fatto, l’amministrazione Obama ha ripiegato sull’opzione due, quella di sempre, accontentandosi di sostenere le necessità dello storico alleato, di continuare a finanziarlo ed armarlo, di proteggerlo dalle “insidie” integraliste di Hamas ed Hezbollah, a loro volta strumenti nelle mani di Siria e Iran. In questo quadro matura il progetto del muro di Gaza, l’impegno americano di finanziarlo e di costruirlo in nome di una sicurezza che si consumi a favore del suo alleato N.1, Israele, e del suo alleato N.2, l’Egitto, contro gli altri mini imperialismi dell’area. Si è solo passati da una possibile, ma poco praticabile, nuova strategia a quella più affidabile e meno rischiosa, la solita, a cui il Presidente Obama sembra essersi adeguato, non fosse altro che per la sua più praticabile affidabilità. La fantomatica “linea Bush” della lotta al terrorismo riprende fiato su tutti i fronti, Afghanistan e Iraq compresi, con l’unica differenza che per la precedente amministrazione l’impegno militare era concepito come fase d’attacco per gli interessi politici, strategici ed energetici americani, sotto quella di Obama, sembra ripiegare sulla linea di una strenua difesa per non perdere le posizioni acquisite, ancorché traballanti e di difficile soluzione. Le devastanti conseguenze della crisi economica e finanziaria che ancora oggi travagliano il quadro politico americano, hanno tolto molto pelo all’imperialismo di Washington , ma non il vizio che, al contrario, ha subìto quel perverso impulso che solo può garantirgli la sopravvivenza. Per i disperati di Gaza, per il martoriato proletariato palestinese, al pari di quello di tutta l’area, la condanna è sempre quella di dover subire lo sfruttamento e le pressioni delle ambizioni nazionalistiche delle proprie borghesie e i feroci giochi imperialistici delle vecchie e nuove centrali economico-finanziarie legate allo sfruttamento e al controllo delle materie prime energetiche e non solo.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.