Dal Venezuela

Note critiche alla concezione strategica e tattica delineata dalla commissione politica del comando del dipartimento politico n. 12, nel suo documento inviato al comando nazionale del MIR.

Introduzione

Il documento qui pubblicato è stato inviato a PROMETEO dal gruppo venezuelano INTERNACIONALISMO, e lo pubblichiamo anzitutto perché concordiamo nell'impostazione generale di lotta anticapitalistica su tutti i fronti (imperialismo americano. russo con servi cubani, cinese) e perché rappresenta una felice eccezione opposta al coro trotskysteggiante (non importa se posadista, cioè filocinese, o filorusso-castrista) dette «sinistre rivoluzionarie» sudamericane. Notevole in particolare la opposizione al partigianesimo guerrigliero a sfondo nazional-interclassistico, di cui in Venezuela è massimo esponente il MIR (Movimento di Sinistra Rivoluzionaria), costituitosi su una base «castrista», fagocitato da elementi trotzkysti e - salvo te polemiche con Castro ed il PC ligi alla linea «coesistenziale» moscovita ed alle sue oscillazioni - solidale con la politica stalinistica di blocco di classi eterogenee nella finale prospettiva di uno scontro Sud (campagna) contro Nord (città) America, politica questa che castro-moscoviti ora riprendono ora abbandonano, mentre Pechino se ne è fatto massimo banditore - ed in questa direzione si è orientato il nucleo MIR di cui nel testo il gruppo INTERNACIONALISMO, la cui collocazione rivoluzionaria costituisce un bersaglio tanto governativo, quanto frontista (analogamente alla posizione del P.C. Int. ai tempi partigianeschi e post-resistenziali?, testimonia l'insopprimibitità, ove permanga il capitalismo imperialista, statale o meno, di sia pure embrionali poli rivoluzionari autentici, così come la forza di penetrazione e di adesione alla realtà del leninismo, che vive in una tanta difficoltosa situazione internazionale ed in tanta mancanza di organizzazione e legami, difeso da gruppi controcorrente forse ignoti l'un l'altro, e comunque per ora scarsamente comunicanti. Perché solo una impostazione, quella bolscevica autentica, può rispondere adeguatamente allo sfruttamento ed all'oppressione imperialista, ovunque presenti con lo stesso volto.

Il «movimento comunista» venezuelano è in crisi, e ciò non rappresenta, né una caratteristica peculiare del «movimento rivoluzionario» del Venezuela - al contrario, è l'evidenziarsi di un conflitto interno dello stalinismo mondiale - , nè una novità per la pubblica opinione. Ormai, il proletariato venezuelano sfruttato, metropolitano o agricolo, è abituato, se :non a disconoscere addirittura o ignorare del tutto i fatti a lui attinenti, a sorbirsi i «clichés» prefabbricati dalla borghesia dirigente, ed a maneggiare i libelli «teorico-polemici» (autentici monumenti del confusionismo interessato) con cui la borghesia stalinista imbottisce il cranio ai militanti. La stampa governativa, indipendente, di opposizione legale, parla concordemente della crisi dei Partiti illegali, cercando, per i suoi fini, di sottolinearla con particolare crudezza, al tempo stesso dandone una versione arbitraria e tendenziosa. Gli stessi Partiti illegali non hanno potuto, come volevano, occultare questa crisi, che è sfuggita al loro controllo, li ha sopraffatti e preceduti sì da scuotere base e quadri medi, che hanno rispecchiato con somma evidenza le contraddizioni che dilacerano il cosiddetto (impropriamente) «movimento marxista» venezuelano. Una volta scoppiata la crisi, con la polarizzazione del PCV e del MIR come due diverse manifestazioni della stessa distorsione eminentemente controrivoluzionaria del marxismo, la confusione non ha potuto che accrescersi ulteriormente: insieme agli epiteti di «capitolari, avventurieri, revisionisti, ecc.» che i due Partiti si scambiano reciprocamente, si presentano sulla scena posizioni interne di ribellione dei rispettivi militanti in disaccordo con la linea delle loro organizzazioni.

In tal modo si formano nel PCV le posizioni di Douglas Bravo, che, insieme con quelle di Fabricio Ojeda nel FLN, nascono semplicemente dall'estrinsecarsi di una reazione interna allo stalinismo, che non esce però dallo stalinismo, ed anzi, escludendo soluzioni effettivamente e legittimamente marxiste, servono solo a confondere, sviando l'attenzione dall'unica posizione valida di fronte agli stalinisti, i quali, pur falsificando tutta la teoria rivoluzionaria, ardiscono presentarsi come i suoi legittimi ed effettivi rappresentanti.

Presentiamo ora una nuova scissione della sinistra, che questa volta riguarda il MIR impegnato nella «guerrilla». Il Distretto Politico N. 12, in un documento inviato al Comando Nazionale del MIR, ha espresso e formulato posizioni contrarie alla linea politica di questo Partito. Riteniamo che il documento in questione abbia un interesse particolare, in quanto riguardante argomenti non ancora toccati dai dibattiti svoltisi in seno ai Partiti illegali, con in più la critica di concezioni state finora il «pane quotidiano» del movimento stalinista in genere. Anche così, però, questi elementi non riescono ad uscire dal guscio stalinista, e, pur ritenendo molta zavorra riformista-guerrigliera del MIR, si rivelano con elementi di positività. È una manifestazione, la loro, che non dà al proletariato l'unica vera risposta, che non rischiara i militanti delusi, che, incoscienti, confusi, impotenti, vedono come dal programma classista se ne è fatto l'irrisione più grottesca e gigantesca. Perché l'unica risposta vera di classe è quella di combattere, in pratica ed in teoria, a fianco degli interessi internazionali della classe operaia.

Pertanto è necessario che noi rispondiamo al detto documento, per chiarire i punti oscuri ed aiutare questi militanti, che cercano e bramano una risposta vera, a conseguire l'indispensabile demistificazione.

Capitalismo ed imperialismo, paesi coloniali e semi coloniali

Trattando nel loro documento questo importante tema, i militanti in questione considerano che:

«... il trapasso dall'imperialismo al Socialismo avverrà mediante una rivoluzione progressista, cioè: nella misura in cui il proletario prenda il potere nei paesi della periferia imperialista, sottraendoli all'imperialismo stesso, come sistema, le contraddizioni di classe nei paesi sviluppati si manifesteranno in tutta la loro vastità ed intensità, ed in questi paesi si porrà all'ordine del giorno la rivoluzione proletaria»

Per formulare il problema in questi termini, credono di basarsi sulla celebre teoria leninista dello «anello più debole». Ma fermiamoci un momento su questo punto.

Viene dedotta dalla posizione dello anello più debole» una postulazione basilare, cioè che le rivoluzioni socialiste nei paesi avanzati non possono prodursi finché non si siano realizzate in quelli arretrati.

Questo è menscevismo alla rovescia. Infatti i menscevichi, in nome di una pretesa «ortodossia marxista» non volevano riconoscere la rivoluzione proletaria, prodottasi non in Inghilterra, bensì in Russia. Adesso invece si stabilisce una nuova «ortodossia leninista per cui la rivoluzione socialista può incominciare soltanto alla periferia.

Ogni dogmatismo è fonte sicura di errore. Lenin non fissò mai una «legge» dell'«anello più debole». Avrà valore di «legge» piuttosto il classico principio marxista, per cui il nodo delle contraddizioni si trova nel centro della produzione, dell'accumulazione e della lotta di classe, dove si trova anche la soluzione: il proletariato più concentrato ed educato alla prassi rivoluzionaria, secondo una teoria rivoluzionaria. Ma questa «legge» è sottomessa, durante lo sviluppo della crisi internazionale, a condizioni immediate imprevedibili a priori, il che può determinare le esplosioni rivoluzionarie in qualsiasi paese, anche arretrato.

È giusto dire che solo la Rivoluzione Socialista pone fine allo sfruttamento di un paese da parte di un altro paese, e ciò non di meno bisogna trattare con molta cautela la formula dell'inseparabilità dalla Rivoluzione Socialista della Liberazione Nazionale. Questa viene posta come obiettivo a sè stante, e con ciò si conserva il concetto stesso di «nazione» (una cosa è dire che la rivoluzione socialista sopprime ogni oppressione nazionale, ed un'altra ben diversa cosa dire che libera la nazione). La rivoluzione socialista non è la liberazione delle nazioni, bensì la soppressione di queste stesse nazioni. La nazione, come concetto e come struttura politico-economica è di origine borghese e con la società borghese sparisce anch'essa.

Questo concetto di «nazione liberata» conserva l'idea e lo pseudo-problema della relazione tra paesi «liberati e socialisti». Come per il socialismo non esiste il problema delle culture nazionali, ugualmente è un falso problema quello delle relazioni economico-politiche fra nazioni, in quanto che il socialismo non riconosce nazioni, bensì regioni facenti parte di una sola federazione dei produttori. La persistenza di questi «problemi» in una fase post-rivoluzionaria non fa che provare la persistenza sul terreno economico e politico borghese, non socialista. Oltre a ciò, ogni conservazione di tali formule giova a rafforzare la mistificazione borghese che abbrutisce la coscienza operaia.

I redattori del detto documento, affrontando il tema dell'imperialismo, manifestano una concezione fondamentalmente falsa e pericolosa. Secondo loro infatti

«... quando la lotta si sviluppa senza la presenza in prima persona dell'imperialismo (invasione od occupazione) ha carattere di guerra civile rivoluzionaria, laddove, di fronte al diretto intervento imperialista, essa si trasforma in guerra nazional-rivoluzionaria»

Alla luce della dottrina marxista questa idea appare profondamente erronea. La guerra nazional-rivoluzionaria è di origine borghese, anzi costituisce una caratteristica storicamente fondamentale della rivoluzione borghese. Il proletariato non conosce, né può conoscere questo tipo di guerra, in quanto classe esistente all'infuori di ogni frontiera nazionale per i suoi interessi storici. Le sue lotte armate costituiscono sempre la guerra civile del proletariato internazionale, cui teatro non può essere che la terra intera. Il trionfo del proletariato in cm paese deve essere considerato soltanto come l'occupazione di un settore sottoposto alla direzione del proletariato internazionale, non a quella esclusiva degli operai di questo dato settore.

Quest'idea delle guerre nazional-rivoluzionarie perpetua e sviluppa l'idea di un esercito nazionale permanente. Il proletariato rifiuta una forza armata di tal genere, e proclama l'armamento generale del popolo. L'organizzazione armata, che può essere necessaria durante la guerra civile, è comunque sempre organizzazione classista ANAZIONALE. Bisogna insistere sul fatto che la lotta armata rappresenta la forma culminante della lotta di classe, e non un elemento di suscitazione ed evocazione di questa lotta.

Seguendo lo sviluppo, nel documento, della questione nazionale, notiamo che questo è caratterizzato da continue contraddizioni, da una gran confusione teorico-politica dominata dall'influsso staliniano.

Pur riconoscendo correttamente che «la rivoluzione proletaria risponde a cause oggettive profonde trascendenti l'ambito nazionale», gli estensori del testo in esame introducono il concetto nazionalistico e borghese di PATRIA, con la stessa esaltazione e lo stesso romanticume propri dell'attuale social-sciovinismo (movimento stalinista internazionale), e con ciò ovviamente s'ignora la chiarissima opinione di Marx, per cui «gli operai non hanno patria». Se questa contraddizione è palese, ancor più chiara è la sublimazione del confusionismo cui pervengono parlando di un «campo di paesi liberi che costruiscono il socialismo». Ora? e dove? Insinuare quest'idea, è ingenuità confinante col cinismo, sostenere il mito dei paesi «comunisti» attuali è rendere il miglior servizio alla borghesia stalinista. Ciò significa collaborare attivamente all'intensa attività di falsificazione del marxismo, disconoscendo nella sua essenza la teoria del proletariato e dimenticando infantilmente che le teorie nazionaliste della sinistra venezuelana autoproclamantesi marxista - non sono frutto di una sua geniale elaborazione, bensì eredità preziosissima dello stalino-krusciov-maoismo. Infatti criticare le teorie del MIR attribuendo loro un carattere di originalità ed indi, pendenza, quasi fossero nate «per opera e grazia dello spirito santo», e non fossero filiazione delle teorie staliniste, e segnatamente di quelle «ispirate» a Mao, è fare uno sbaglio madornale e grossolano oltre ogni dire.

Dopo di ciò, i signori membri del Dipartimento N. 12 perseverano nel romanticismo, e si lagnano amaramente affermando:

«... un Partito di questo genere (Partito d'avanguardia della classe operaia) non esiste in Venezuela, ed il nostro Partito, che aveva la possibilità di raggiungere questa meta, è stato bloccato e frustrato nei suoi intenti da una Direzione che gli impedisce di avanzare, purificandosi dei suoi vizi ed errori teorico-politici»

Poveretti! Incolpare la direzione della mancata trasformazione del MIR in un autentico Partito di classe, significa che i firmatari del documento non hanno capito l'ABC della costruzione del Partito rivoluzionario. Il Partito di classe del proletariato non può scaturire dalla scissione di un Partito borghese, né risultare da frazioni di analoghi Partiti. Solo la lotta per la distruzione, pura e semplice, di questi Partiti può liberare gli elementi operai che in essi si sono smarriti. Tutti gli innumeri trucchi, intrighi, tutte le manovre, infiltrazioni ecc., anche se non effettuati con l'intento di conquistare simili Partiti, bensì per strappar loro un po' per volta, a brandelli, gruppi di elementi da integrare nel Partito di Classe, rappresentano - nel migliore dei casi - illusioni pericolosissime: ed in realtà riescono solo a trattenere gli elementi operai all'interno di queste organizzazioni della classe nemica. Il problema non è di accusare questo o quello, perché il MIR NON POTEVA ESSERE ALTRA COSA DI QUELLO CHE È: un partito borghese la cui funzione sta nel portare la confusione tra gli operai, sviandoli dalla lotta di classe. Mantenendo la critica sul piano della «colpa», il documento evita di affrontare il problema vero, nasconde sotto un radicalismo parolaio ciò che bisogna fondamentalmente capire nella questione, e per ciò stesso contribuisce a diffondere ulteriori illusioni su di un possibile raddrizzamento del MIR o di qualsiasi altro Partito affine.

Concezione del Partito

Già in precedenza, trattando per sommi capi la questione del MIR come Partito, mostrano un'ottusità tutta particolare, pur riscattandosi in certi tratti con un livello politico più elevato, per esempio quando definiscono il Partito così:

«Un Partito veramente rivoluzionario deve affrontare il compito di portare le masse a prendere coscienza della necessità di prendere il potere, educandole a tale scopo: perciò il problema dei legami con la massa è questione di primaria importanza»

Il che è valido come concezione generale, ma rimane pur sempre astratto, sul piano meramente teorico. Porlo come problema pratico, secondo quanto fa il documento, è grossolana confusione. Problemi di questa sorta possono venir posti e risolti praticamente solo da un vero Partito di classe, che non esiste. Il problema attuale non verte sull'attività del Partito, ma sulla spiegazione teorica delle cause della sua attuale inesistenza, e dell'impossibilità di questa esistenza.

Sul piano politico-pratico, il problema che si pone è: quali compiti hanno i rivoluzionari in quest'epoca di reazione, ed in qual modo possono realizzarli?

Ma in genere tutte le posizioni del documento non corrispondono alla realtà, perché partono dall'affermazione dell'imminenza nel Venezuela della presa del potere da parte di rivoluzionari (si parla addirittura molto seriamente di «guerra civile») il che è fondamentalmente falso, così per il Venezuela come per tutti gli altri paesi.

La lotta di guerriglia ed il problema contadino

Trattando la questione della guerriglia, fanno un volgare plagio delle teorie dei loro capi stalinisti del MIR, solo rovesciando i termini campagna e città. Sostengono che la visione di una rivoluzione che vada dalla campagna alla città è falsa in Venezuela, a causa della correlazione di forze sussistente tra campagna e città in questo paese: argomento, questo, che al massimo può avere una funzione secondaria nella confutazione di simile posizione. Ma se poi, come risulta dal documento stesso, si considera che in presenza di un'altra «correlazione di forze» questa visione possa essere valida, si commette un'aberrazione teorica vera e propria. La campagna in nessun'epoca ed in nessuna parte può liberare la città. Solo il proletariato può essere la classe dirigente di una rivoluzione socialista. Per quanto, in un dato paese, sia numericamente ridotto, è il proletariato ad assumerne ivi la direzione, in quanto distaccamento del proletariato internazionale. La forza sociale non va misurata sul piano nazionale, ma su quello internazionale: il documento se ne dimentica completamente. Il Venezuela, oppure Honolulu, non sono altro che settori di un'economia mondiale le cui contraddizioni mondiali determinano e consentono la rivoluzione socialista. È un punto di partenza, questo, che non va mai perso di vista.

L'esempio della Cina e di Cuba non è valido, ed anzi dimostra ulteriormente che la concezione di una rivoluzione procedente dalla campagna alla città può caratterizzare detta, rivoluzione solo come non-proletaria o antiproletaria.

Dicono anche che:

«... è indispensabile il legame dell'avanguardia con questi contadini (poveri), per condurli alla lotta. Ciò in base ai loro interessi materiali di classe e con un programma chiaro e spiegato. Attualmente l'unica forma possibile dell'effettuazione di un simile lavoro di conduzione, di guida rispetto alla lotta dei contadini poveri, è la lotta armata per bande guerrigliere».

Quand'anche il proletariato sia costretto a tener conto degli interessi materiali immediati dei contadini poveri, il compito che si prefigge non è certo la realizzazione degli «interessi di classe» del contadiname.

È assolutamente falsa l'affermazione per cui l'

«unica (!!) forma possibile... di conduzione, di guida rispetto alla lotta dei contadini poveri, è la lotta armata per bande guerrigliere»

Tanto in campagna che in città, la rivoluzione socialista non ricorre alla strategia ed all'organizzazione guerrigliera: la sua forma peculiare, corrispondente al suo contenuto, è la lotta armata delle masse (forma suprema della lotta di classe) e non dei gruppi alla macchia che cercano di assimilare le masse nella propria lotta preesistente.

La forma guerrigliera è caratteristica delle lotte borghesi: esempi, la spagnuola contro l'occupazione napoleonica, e la «resistenza», della II guerra mondiale.

Continuando la trattazione della lotta di guerriglia e del ruolo di campagna e città, il testo in questione menziona di continuo il caso «esemplare» della Cina, e tutta l'argomentazione vien fatta dipendere dal postulato del carattere socialista della Cina. Ma chi ce ne garantisce l'esattezza? E se la Cina non lo è, che avviene di tutto questo edificio costruito sulla base dell'«insegnamento della rivoluzione cinese»?

En passant, sottolineiamo alcuni punti singolari:

1) Alla rivoluzione sconfitta del proletariato fa da seguito e sostituto una rivoluzione di ricambio, effettuata dalla classe contadina.

2) La rivoluzione socialista, sconfitta col proletariato, passa nelle mani di un'altra classe, con la quale trionfa (!!)

3) Il proletariato non è l'unica classe investita della missione storica di realizzare il Socialismo, poiché questo compito lo possono assolvere altre classi (!!)

4) La sconfitta della classe proletaria non è la sconfitta del suo partito 00

5) Questo partito di classe (?) alla sconfitta della classe stessa si pone alla testa di un'altra classe...

6) Ed a capo di quest'altra classe realizza gli obiettivi finali dell'altra classe appunto (!!!!).

Tutto ciò viene presentato e offerto all'accettazione della classe operaia come marxismo «bene inteso ed applicato secondo il criterio di MAO». È necessario leggere quanto scrive Engels nella «Guerra dei contadini» in merito allo scacco fatale del capo (Münzer) o del Partito di una classe che si pone a capo della lotta di un'altra classe.

Si afferma in seguito:

«la guerra civile rivoluzionaria che si sviluppa esclusivamente (!?) nell'ambito nazionale e non sul terreno continentale...»

Ma cos'è mai questa guerra civile limitata ad un solo paese, che si sviluppa e per ben otto anni?

Si scambiano pii desideri per realtà di fatto. Prima si analizzava giustamente l'unità del sistema mondiale da cui bisogna partire per analizzare le situazioni particolari. Forse che la rivoluzione è una situazione particolare propria ad un unico paese?

Tutta la prospettiva della lotta armata è falsa, come quella che procede da una falsa analisi della situazione politica venezuelana.

Il documento critica determinate azioni militari, ignorando che tutta questa «guerra» è un'aberrazione, un'avventura funesta; si pretende che la lotta di guerriglia debba assicurare l'alleanza operaio-contadina, ma non si capisce che l'alleanza si effettua solo mediante una corretta enunciazione delle rispettive rivendicazioni concrete. Il metodo guerrigliero è un'alleanza creata indipendentemente dalle rivendicazioni, sia operaie che contadine. È una costruzione artificiale per una possibile «alleanza» ulteriore. È l'autoisolamento e degli operai e dei contadini.

Nel documento non si chiarisce se quest'alleanza debba essere realizzata «prima o dopo la rivoluzione»: sarebbe bene conseguirla prima, «ma, nel peggiore dei casi, si potrebbe farne a meno, per realizzarla in seguito». Pura ciarlataneria.

La lotta armata viene concepita: 1) «come un polo, un focolaio insurrezionale che dà contenuto e pratico esempio ad una linea politica effettivamente rivoluzionaria nei centri urbani - il nostro elemento fondamentale», cioè come un aperitivo per stuzzicare l'appetito del proletariato alla lotta rivoluzionaria, non come l'unico mezzo che il proletariato abbia per spezzare le strutture del potere ed esercitare la sua dittatura. 2) «...influisce (la lotta armata) sull'incremento delle contraddizioni di classe». Come se lo stesso fatto della lotta armata non rappresentasse il punto culminante delle contraddizioni classistiche della società capitalistica. 3) Come «esercizio» per i futuri quadri dell'«esercito rivoluzionario» (la masturbazione come esercizio all'adempimento dei doveri coniugali).

Analizzando le prospettive della lotta di guerriglia, rilevano un fatto per loro importantissimo, che fa loro «rizzare i capelli», in quanto che, secondo loro, costituisce una minaccia per la loro beata sicurezza: «non bisogna -- ricordano -- dimenticare il ruolo che può svolgere l'imperialismo yankee come nazione, e dobbiamo prevedere la possibilità di un'invasione - prima o dopo la presa del potere - da parte di questo imperialismo».

È romanticismo piccolo-borghese presentare la lotta di classe ed il suo culmine, la lotta armata, in termini militareschi: così, il delirio sull'invasione yankee e la lotta continentale costituisce un atteggiamento alla Simone Bolivar. Un'eventuale «invasione» yankee non sarà frustrata dall'«esercito continentale» dei guerriglieri o partigiani, bensì anzitutto dal proletariato nordamericano, dalla lotta di classe nei paesi più avanzati, tutti movimenti che si ripercuoteranno nello stesso esercito statunitense, talché i soldati saranno portati a schierarsi a fianco degli operai. La lotta «continentale», sogno di una borghesia che si pretende radicale, come il suo gran profeta Haya della Torre, non fa che sfumare il carattere di classe della lotta antimperialistà, trasformandola in lotta contro lo «straniero». Ammettendo la discutibile ipotesi di una rivoluzione nei paesi arretrati che dà occasione all'intervento degli USA, la sua sola contestazione valida non sarà la trasformazione di questo intervento in una guerra nazionale pancontinentale, bensì la fraternizzazione delle truppe. La prima soluzione è di tipo nazionale borghese, è un ricordo della «epopea della rivoluzione francese, di Bolivar e José Marti: la seconda invece è la soluzione della rivoluzione russa e del suo trionfo, realizzatosi allorchè la fraternizzazione trasformò l'esercito tedesco invasore in truppe rivoluzionarie, della rivoluzione tedesca.

Nel documento al contrario, oltre alla nota confusione ed alla rivalutazione dell'idea del nazionalismo pancontinentale, panamericano, troviamo l'idea «geniale ed originale» della realizzazione della rivoluzione socialista con le forme ed i contenuti borghesi delle rivoluzioni nazionali.

continua

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.