La crisi americana

Prima di iniziare l'analisi economica basata principalmente sui dati, vediamo di definire i caratteri fondamentali della crisi attuale.

Queste tesi e questi caratteri ritorneranno e saranno ricorrenti in quasi tutto l'articolo e per i dati più significativi ci riferiremo espressamente a questa premessa, facendo notare come la situazione attuale si ricalchi fedelmente in essa.

Analizzando la situazione possiamo dire che il capitalismo è ormai da tempo entrato in una fase di "crisi permanente". (1)

Questa fase è caratterizzata da alcuni dati ricorrenti in quasi tutti i paesi a capitalismo avanzato in cui le situazioni diventano patologiche e i rimedi di politica economica attuati servono solo ad attenuare questa crisi perenne che poi torna ad esplodere con maggior vigore.

Ma in cosa si differenzia la crisi permanente dalle altre crisi? E quali sono i suoi tratti fondamentali?

Abbiamo visto (vedi nota) che la crisi permanente non implica la perdita della ciclicità, ciclicità che è insita nella stessa struttura capitalista, ma significa che il "trend", la linea di tendenza dell'andamento dell'economia capitalistica è discendente e avvicina sempre più il capitalismo al suo crollo finale.

In questo momento storico l'alta composizione organica del capitale e l'elevato grado di tecnica raggiunto hanno abbassato e ridotto i margini di profitto dei capitalisti che solo con altissimi saggi di sfruttamento sono riusciti a ottenere notevoli profitti, ma tutto ciò ha portato a inflazionare fino all'asfissia i mercati interni dei paesi capitalisti che ormai non sono più in grado di assorbire completamente la produzione, facendo quindi giungere la sovrapproduzione, specialmente agricola, a livelli particolarmente elevati, per cui, per avere dei maggiori profitti, i capitalisti preferiscono distruggere parte del prodotto e rivendere il rimanente a prezzi più alti.

Tutto ciò porta l'economia capitalista in uno stato patologico di stagflaction (cioè di stagnazione e di inflazione contemporaneamente) per cui mentre la produzione rimane stagnante, i prezzi salgono alle stelle, perché in questo modo i capitalisti cercano di procurarsi sovrapprofitti, ma così facendo incorrono in problemi di realizzo non trovando sufficiente domanda per assorbire il prodotto, e con ciò si ritorna all'inflazione dei mercati e così il cerchio si chiude senza alcuna possibilità di scampo.

Per questo per l'economia capitalista si creano enormi problemi di accumulazione, in quanto al capitalismo per vivere non basta che sia prodotta una certa quantità di plusvalore ma occorre che sia realizzato e soprattutto reinvestito per dare nuovi profitti; vi è una costante caduta del saggio di profitto. I paesi imperialisti cercano quindi di procurarsi dei soprapprofitti esterni esportando capitali, investendo nei paesi sottosviluppati, a cui dicono invece di fornire aiuti, perché minori sono le spese salariali e perché, a causa della minor composizione organica del capitale, più alti sono i margini di profitto. (2) I mercati dei paesi cosiddetti socialisti funzionano anch'essi come serbatoio di profitti e plusvalore.

Questi sono i principali caratteri della "crisi permanente" e risultano in questo momento particolarmente evidenti, testimoniando della incapacità del capitalismo di risolvere le sue contraddizioni, e fanno risaltare la necessità che ha ogni paese capitalista cli esportare la propria crisi, di esportarla facendone ricadere il peso e le conseguenze sugli altri paesi, contribuendo così a far vacillare sempre più tutto il sistema capitalistico nel suo complesso.

Per di più in questo momento il labile e precario equilibrio mondiale si è definitivamente rotto e i paesi capitalisti tentano di allontanare da loro la crisi, consapevoli ad ogni modo che la situazione si va ormai rapidamente deteriorando.

L'esame della situazione ci dice che oggi più che mai si sente la necessità di un partito mondiale che sappia dare uno sbocco rivoluzionario a questa crisi che altrimenti il capitalismo risolverà, quasi sicuramente con una guerra, perpetrando per altro tempo il suo dominio fatto di oppressione e di sfruttamento.

Fatta questa premessa, cominciamo ad esaminare questa situazione in modo concreto; la crisi attuale è di natura, e ha un carattere, strutturale ma la stampa e i quotidiani italiani e mondiali hanno dato risalto soprattutto alla crisi monetaria, ci sembra di conseguenza logico fare un breve quadro generale della situazione monetaria.

Il sistema monetario attuale è basato sugli accordi di Bretton Woods del 1944 e viene chiamato "gold standard exchange".

Questo sistema si basa sulla convertibilità di tutte le monete in dollari e sulla convertibilità dei dollari in oro, fermo restando il prezzo dell'oro in 35 dollari l'oncia; questo rapporto è evidentemente fiduciario e si basa sulla convertibilità dei dollari in oro.

Ma i deficit crescenti della bilancia dei pagamenti americana, dovuti al tentativo americano di mantenere il predominio mondiale sia economico che politico con numerose guerre, ricordiamo la guerra nel Vietnam, il conflitto mediorientale, e con una politica espansionistica e di dominio come quella della Nato, hanno minato la forza del dollaro, che è diventato una moneta sospetta; le riserve auree degli Stati Uniti sono scese infatti da 22,8 miliardi di dollari nel 1950 a 17,81 miliardi di dollari nel 1960 e ai 10 miliardi circa attuali. (3)

In questo momento l'America ha perso la sua concorrenzialità sui mercati mondiali e per cercare di ristabilirla, chiede che tutte le altre nazioni paghino un prezzo; ora si sta litigando su questo prezzo. Una delle condizioni chieste era la rivalutazione delle principali monete europee e dello yen, ma le rivalutazioni chieste dal Fondo Monetario internazionale, che è molto vicino al punto di vista americano, e le rivalutazioni di fatto sui mercati monetari controllati dalle Banche Centrali, che quindi rappresentano le rivalutazioni offerte dall'Europa e dal Giappone, sono per il momento molto distanti fra loro.

Moneta Rivalutazioni previste dal FMI Rivalutazioni sui mercati (31 ag.)
yen 17 % 5,3 %
marco 14 % 8 %
franco 8 % 4 %
sterlina 7 % 2,7 %
lira 6 % 2,5 %

I rimedi monetari proposti per una soluzione non portano niente di nuovo sulla scena mondiale (5), se non il riflesso della crisi economica in cui si dibatte il capitalismo.

La situazione monetaria americana si presenta grave anche perché gli Stati Uniti hanno ormai da tempo perso a favore della Germania il primo posto come paese detentore delle maggiori riserve monetarie, ed ora sono stati avvicinati notevolmente anche dal Giappone; tutto ciò porta notevoli difficoltà alla politica di predominio mondiale americana; se poi a ciò aggiungiamo la situazione economica, avremo un quadro completo.

Abbiamo detto che la crisi ha un carattere strutturale, esaminiamo allora la situazione economica dei paesi più permeati da questa crisi e in primo luogo la situazione americana.

Ricordiamo innanzitutto che la crisi americana non può, come si è detto da varie parti, essere stata determinata dalle lotte operaie degli ultimi tempi in quanto l'indice del costo del lavoro, che è strettamente legato alla maggiore o minore combattività operaia, è in America, prendendo il 1954 come base cioè uguale a 100, nel 1970 di 122; vi è stato perciò un aumento del 22 % in 16 anni, il che equivale all'1,3 % annuo circa; per inciso in Italia dal 1967 al 1971 il costo del lavoro è salito di circa il 54 %.

Rispetto a questo scarso aumento del costo del lavoro è invece salita notevolmente l'inflazione, in America i prezzi al consumo, col 1967 uguale a 100, sono aumentati del 21,8 % pari circa al 7 % annuo e gli investimenti sono rimasti stagnanti con una leggera diminuzione, scendendo dagli 80 miliardi di dollari del 1969 ai 77,8 attuali, con una flessione del 2,7 %. Questo viene a conferma delle tesi espresse all'inizio di questo articolo e testimoniano della patologia della situazione attuale del capitalismo.

Possiamo brevemente riassumere la situazione di crisi dell'economia americana con alcune cifre: la disoccupazione è pari al 6,2 %, in cifra globale i disoccupati sono oltre 5 milioni, 14 milioni e mezzo di operai sono in cassa integrazione, i poveri sono 25 milioni.

L'indice della produzione industriale è passato dai 111,5 dell'inizio del 1969 ai 102 dell'inizio del 1970 e ai 105 attuali.

La bilancia commerciale è per la prima volta in passivo dal 1893 ed è passata da 7 miliardi circa di attivo del 1963 ai 745 milioni di dollari di passivo attuali.

La bilancia dei pagamenti è risultata in passivo nel 1970 di 10,7 miliardi di dollari e di 11,3 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 1971, realizzando così un passivo record.

Il mercato americano è ormai saturato e nel settore agricolo questo è ancora più evidente; per quanto riguarda il granoturco la produzione attuale è di 52.995.381 tonnellate; il consumo interno è di 27.406.392 tonnellate; l'esportazione di 19.773.312 tonnellate per un totale di 47.179.704 tonnellate; vi è già quindi rispetto al totale una sovrapproduzione di 5.815.680 tonnellate; ma se a questi aggiungiamo 29.732.661 tonnellate messe come riserva oppure depositate presso le casse granarie dello Stato otteniamo una sovrapproduzione di 35.548.346 tonnellate annue.

La situazione non è diversa per il grano, dove la sovrapproduzione è di 45.435.000 tonnellate e lo stesso può dirsi per il riso come per gli altri cereali e per gli altri prodotti agricoli. (6)

Il piano Nixon si propone di far pagare agli altri paesi dell'area occidentale concorrenti degli Stati Uniti, in pratica l'Europa del MEC e il Giappone, il costo della crisi americana; il prezzo chiesto era di 13 miliardi di dollari di attivo nella bilancia dei pagamenti americana; ora sembra che questo prezzo si sia ridotto a 11 miliardi di dollari, e dato che la bilancia dei pagamenti americana è attualmente in passivo di 11,3 miliardi di dollari ciò equivale a chiedere 22,3 miliardi di dollari agli altri paesi; questo prezzo dovrebbe essere pagato e rivalutando tutte le monete degli altri paesi concorrenti e diminuendo le esportazioni verso gli Stati Uniti.

In più il governo Nixon ha cercato di dare nuovo impulso alla domanda interna, al mercato interno ormai sovraccarico; eliminando l'imposta di consumo del 7 % sull'acquisto di automobili ha liberalizzato circa 7 miliardi di dollari per il consumo; l'esenzione di 50 dollari dalle imposte federali sul reddito liberalizzerà circa 2 miliardi di dollari, ma questi nove miliardi sono ben poca cosa rispetto al prodotto nazionale lordo di cui non rappresentano neppure l'1%.

Più importanti dovrebbero essere per l'economia americana gli accordi economici con la Cina, che seguiranno al viaggio di Nixon (7), e con cui i capitalisti americani potrebbero avere maggiori profitti, ma dove sarebbero reinvestiti questi profitti? L'aumento della produzione interna americana inflazionerebbe solo di più il mercato; in industrie di esportazione si dirà allora, dimenticando che l'economia americana resta una economia di tipo prevalentemente chiuso (8), in cui l'export è di poco superiore al 4 % del prodotto nazionale lordo, in cui cioè è più importante il mercato interno dei mercati esterni e a cui manca una vasta base di medie e piccole industrie dedite esclusivamente all'esportazione come invece ha, ad esempio, l'Italia la cui economia è notoriamente aperta, e in secondo luogo per poter esportare merci l'America deve ottenere le rivalutazioni che chiede agli altri paesi, rendendo così le sue merci concorrenziali sui mercati mondiali; in questo caso la crisi si sposterebbe sugli altri paesi che dovrebbero reagire chiudendosi alle merci americane, rendendo sempre più cronica la crisi; come si può facilmente vedere i caratteri della "crisi permanente" si riflettono perfettamente nella situazione americana attuale.

L'economia dei paesi concorrenti: il Giappone

Il principale concorrente degli Stati Uniti è oggi il Giappone che ha una economia in costante espansione, e che, essendo strutturato con una economia prevalentemente aperta, invade con le sue merci i mercati internazionali.

Il "miracolo" dell'economia giapponese è dovuto, primo, ad un altissimo saggio di sfruttamento; prendendo come base il 1965 uguale a 100, la produttività del lavoro è salita nel 1970 a 188,3 con un aumento dell'88,3 % in cinque anni; secondo, ad un alto indice di produzione; prendendo sempre il 1965 come base, la produzione è più che raddoppiata con un aumento del 121 % in cinque anni. Accanto a tutto ciò vi era un bassissimo saggio salariale, ma negli ultimi quattro anni l'aumento salariale reale è stato del 39,5 % con un saggio di aumento molto simile a quello degli altri paesi capitalisti, con un risveglio quindi della combattività degli operai giapponesi che negli anni scorsi era stata molto bassa.

Il Giappone finora ha registrato saggi di profitti industriali stimati del 12-13 % e il prodotto nazionale è di oltre 60.000 bilioni di yen di cui quasi la metà è opera cli investimenti pubblici.

Il Giappone, per non perdere la sua competitività sui mercati mondiali, si era sempre opposto alla rivalutazione dello yen (9) e il 4 giugno scorso aveva varato un piano in otto punti in cui si toglievano le barriere non tariffarie al commercio internazionale, si eliminavano gli sgravi fiscali all'esportazione e si prendeva l'impegno di liberalizzare l'entrata e l'uscita di capitali, ma tutto ciò non è bastato agli Stati Uniti che con la soprattassa del 10 % cercano di imporre al Giappone una ampia e massiccia rivalutazione dello yen, e che sia così ampia si spiega col fatto che la svalutazione del dollaro rispetto all'oro è di circa il 25 % (il prezzo dell'oro in dollari sul mercato libero è passato dai 35 dollari per oncia della parità ufficiale a 44 dollari).

L'inflazione in Giappone è rilevante nei prezzi al consumo, in cui si è passati, sempre col 1965 come base, ai 130,2 dell'aprile del 1970, ma molto contenuta nei prezzi all'ingrosso, notoriamente prezzi d'esportazione in cui dai 100 del 1965 si è passati ai 110,1 attuali, e si ritiene che l'aumento del 1971 sarà solo dell'1,2 %; questo testimonia una volta di più la definizione dell'economia giapponese rivolta prevalentemente alla esportazione e che la soprattassa di Nixon ha duramente colpito, in quanto il 31 % del commercio estero giapponese, pari a 5,983 miliardi di dollari, va negli Stati Uniti.

Il Giappone ha anche una altissima percentuale di forze di lavoro sul totale della popolazione; infatti nel 1970 su una popolazione di 102.747.000 le forze di lavoro erano 50.400.000, di cui 8.990.000 impiegati in agricoltura; la disoccupazione era dell'1,14 % con 570.000 disoccupati, questo senza i sottoccupati e secondo le statistiche ufficiali.

Per dare un'esatta misura della competitività giapponese esaminiamo la bilancia dei pagamenti e la bilancia commerciale: la bilancia dei pagamenti da un attivo di 2058 miliardi di yen nel 1963 è passata a un attivo di 4839 miliardi di yen nel 1970; la bilancia commerciale è passata da un passivo di 166 miliardi di yen nel 1963 a un attivo di 4019 miliardi di yen nel 1970.

Cosa succederà ora all'economia giapponese? Sia la rivalutazione, sia la soprattassa la colpiscono profondamente ed è quindi facile prevedere che il blocco conseguente delle esportazioni giapponesi porterà il Giappone in una grave crisi deteriorando ulteriormente la stabilità del fragile equilibrio capitalista.

Passiamo ora ad esaminare la situazione economica di alcuni dei paesi del MEC, l'altro grande concorrente degli Stati Uniti; l'economia europea è strettamente legata all'economia americana e ne risente ora i contraccolpi. Specifichiamo innanzi tutto che l'unione fra i sei paesi del MEC non ha portato, e non poteva portare, alla completa integrazione economica dei paesi aderenti; le politiche economiche dei sei rimangono molto distanti fra loro e sono ben lungi dall'assicurare una certa stabilità alla comunità economica europea; questo contrasto è più vistoso se si considerano la Francia e la Germania che coesistono per pura convenienza.

Più innanzi esamineremo l'economia tedesca e quella italiana con un brevissimo accenno alla situazione francese e inglese che comunque si inseriscono nel quadro tracciato all'inizio della "crisi permanente". Ricordiamo anche che dalle misure americane risultano colpite l'87 % delle esportazioni del MEC negli Stati Uniti per un importo di 5,785 miliardi di dollari.

Esaminiamo brevissimamente la situazione francese; se il franco fosse rivalutato, l'economia francese tornerebbe al bassissimo livello del 1969, quando il franco francese fu svalutato dell'11,1 %; inoltre l'attuale ristagno produttivo francese testimonia della gravità della situazione economica se viene unito con un notevole tasso di inflazione.

La Germania è stata invece quella che con il Giappone ha rotto l'equilibrio economico mondiale e da lei gli Stati Uniti pretendono una notevole rivalutazione economica.

L'economia tedesca è all'interno del MEC l'economia trainante; esaminiamo ora una breve scheda dell'economia tedesca precedente alle misure americane con il 1962 come base; il costo della vita era di 128,9 con un aumento sul 1970 del 4,5 %, la produzione industriale era di 159 con un aumento del 5,1 % sul 1970, i prezzi industriali erano di 112 con un aumento sul 1970 del 5,1 % (notiamo anche per la Germania lo scarso aumento dei prezzi di esportazione in 9 anni), gli ordinativi all'industria erano di 185 con un aumento dello 0,5 % sul 1970, le vendite al minuto erano di 156,1 con un aumento del 10,7 % sul 1970, i disoccupati erano 206 mila contro i 198 mila del 1970 con un tasso di disoccupazione dello 0,7 %, i posti scoperti erano 701 mila contro gli 835 mila del 1970, le esportazioni mensili tedesche erano di 12,9 miliardi di marchi di cui il 9 è diretto verso gli Stati Uniti, le importazioni 11 miliardi di marchi con un saldo attivo di 1,9 miliardi di marchi; si comprende da questi dati quale sia la gravità della situazione per l'economia tedesca dopo la soprattassa americana.

Riepilogando:

- (marzo 1962 = 100) variazione sul 1970
Costo della vita 128,9 + 4,5
Produzione industriale 159 + 5,1
Vendite al minuto 156,1 + 10,7
Ordinativi all'industria 185 + 0,5
Prezzi industriali 112 + 5,1

Vediamo come si presenta la situazione economica dopo le misure americane.

Il prodotto nazionale lordo è diminuito in valore reale dell'1,5 % e si prevede cadrà anche globalmente; il costo del denaro è ora dell'11 % e il costo della vita è salito del 6 %; le commesse all'industria siderurgica, notoriamente industria trainante nell'economia capitalista, sono diminuite del 12 %.

Le esportazioni tedesche negli Stati Uniti hanno subito una rivalutazione di fatto del 25-27 %; nel settore automobilistico questa rivalutazione è ancora più accentuata e si aggira intorno al 35-37 %; se si pensa che la maggior parte delle esportazioni tedesche negli Stati Uniti è data da auto questo dato assume la sua giusta dimensione; ma l'economia tedesca è stata colpita anche nei confronti dei partners europei con una rivalutazione del 12-15 %.

Si può dire quindi che le economie tedesca e giapponese con i loro alti saggi di sviluppo facevano la parte del leone sui mercati mondiali e per di più la Germania, con 16,5 miliardi di dollari, aveva anche conquistato le maggiori riserve monetarie mondiali, incrinando fortemente il tradizionale predominio economico americano; quindi Nixon, per tentare di sanare l'economia americana e per conservare il predominio mondiale, ha attuato la sua "nuova politica economica" che niente ha da spartire, se non il nome, con quella di Lenin.

Sempre per richiamarci alla premessa sulla crisi permanente, prima di trattare della situazione italiana accenniamo all'Inghilterra, che aveva anticipato le misure di Nixon, pur non ponendo alcuna soprattassa, mancandole la situazione di forza da cui possono trattare gli americani; tutto ciò dimostra una volta di più se fosse necessario la patologia della situazione attuale.

Recentemente il cancelliere dello scacchiere Barber aveva ammesso che il declino degli investimenti, il declino dell'attività economica con contrazione della produzione era stato molto maggiore di quanto il governo inglese si aspettasse.

Il piano economico inglese, come quello americano, prevedeva una riduzione sulla tassa di vendita e notevoli incentivi all'industria oltre ad alleggerimenti fiscali per il 1971/72 di un miliardo e cento milioni di sterline.

Per di più vi era anche la limitazione volontaria (!) dell'inflazione che aveva un aumento annuo del 9 % al solo 5 %.

Vediamo ora la situazione italiana che ci interessa particolarmente.

La bilancia commerciale italiana ha un passivo di 625,2 miliardi di lire nel 1971 contro i 714,7 del 1970; la bilancia dei pagamenti ha un attivo di 373 miliardi di lire contro il passivo di 359,8 nel 1970.

Malgrado la bilancia dei pagamenti sia attiva la situazione industriale italiana non si presenta rosea.

La produzione media giornaliera industriale è scesa del 7,7 % rispetto al luglio del 1970 e del 3,4 % rispetto al primo semestre del 1970.

Esaminiamo in particolare alcuni settori ponendo il 1966 come base.

Nel settore tessile si è scesi ai 103,1 del giugno del 1971 rispetto ai 118 del giugno del 1970; nel settore meccanico si è scesi ai 132,8 del giugno 1971 rispetto ai 142,6 del giugno del 1970; nel settore dei mezzi di trasporto si è scesi ai 123 del giugno 1971 rispetto ai 134 del giugno 1970.

Esaminiamo alcuni settori con il 1900 = 100:

Settore Giugno 1970 Giugno 1971 1971 su 1970
tessile 118 103,1 -11,9
meccanico 142,6 132,8 -9,8
mezzi di tr. 134 123 -11

I prezzi e il costo della vita sono aumentati sul luglio del 1970: prezzi al consumo del 4,9 %, prezzi all'ingrosso del 5,3 %, il costo della vita del 5,3 %.

L'aumento dei beni di consumo rispetto al 1° agosto del 1970 è stato netto.

I prosciutti e i salumi sono aumentati del 16-18 %, i formaggi sono aumentati del 20%, il latte dell'11%, gli ortofrutticoli del 15% (da notare che i prezzi al consumo sono aumentati, mentre i prezzi all'ingrosso, a causa della sovrapproduzione agricola, sono diminuiti dell'1,6 %), i capi di abbigliamento sono aumentati del 20-30 %. Questi dati continuano ad essere in netto peggioramento.

Registriamo inoltre che il debito pubblico italiano ammonta a 14.500 miliardi di lire pari al 24,9 del reddito nazionale e che inoltre le entrate fiscali sono state inferiori al previsto di 636 miliardi nei primi sette mesi del 1971 con una percentuale in meno sul previsto del 9,14 %, per cui presumibilmente anche le illusorie e demagogiche riforme (10) prevedibilmente non saranno attuate per mancanza di fondi.

Anche l'IGE ha dato 53 miliardi e 402 milioni in meno rispetto al previsto.

Che la situazione non sia facile per le industrie italiane, e specialmente per quelle d'esportazione, lo vediamo rilevando che solo negli ultimi mesi 118 aziende hanno chiesto l'intervento di salvataggio per evitare il fallimento della Finanziaria GEPI (leggi IRI, IMl, ecc.).

Vediamo ora la situazione delle forze di lavoro in Italia.

Le forze di lavoro sono 19.593.000 di cui 566 mila disoccupati pari al 2,9 % e 297 mila sottoccupati pari all'1,5 %, con una disoccupazione totale del '1,1 %.

Fin qui i dati ufficiali ma se esaminiamo meglio la situazione prendendo un solo settore, ad esempio quello industriale di cui abbiamo i dati, notiamo che su 8.284.000 occupati i lavoranti a tempo pieno sono 7.297.000, che 829.000 sono i lavoranti a tempo ridotto (meno di 32 ore settimanali lavorative) e 159.000 i disoccupati con un totale di 987.000 unità già superiore al totale di tutte le forze (li lavoro con una percentuale di disoccupazione o sottoccupazione pari all'11 % circa; facciamo notare poi come anche questi dati siano di fonte ministeriale e verosimilmente inferiori alla realtà, perché gli ultimi dati resi noti dalla stampa, portano a quasi 2 milioni il totale dei disoccupati; da questi dati sono esclusi gli operai in cassa integrazione che accrescerebbero notevolmente il totale, e che negli ultimi tempi sono andati talmente aumentando che le autorità preferiscono tacerne il numero. Togliamo dal "Giorno" alcuni dati significativi presi dall'indagine ISTAT:

Il fenomeno delle ore in meno lavorate nel 1971 si rispecchia macroscopicamente nei dati della Cassa integrazione guadagni. Le ore di mancato lavoro retribuite con il "salvadanaio" della Cassa sono già quest'anno, a fine settembre, circa 158 milioni (con la prospettiva di superare i 250 milioni a dicembre). Si rischia così di battere il record del 1965 (280 milioni), quando centinaia di migliaia di lavoratori restarono emarginati dal mercato del lavoro.

Per concludere questo articolo zeppo fino all'impossibile di dati, d'altronde necessari, tracciamo una panoramica delle prospettive che questa situazione di crisi schiude per il movimento rivoluzionario.

Non vi è dubbio che come per tutte le crisi anche la soluzione di questa, a meno di uno sbocco rivoluzionario precedente, sarà la guerra e se non vi sarà un forte partito comunista mondiale ancora una volta il capitalismo rimarginerà le sue laceranti ferite.

Oggi più che mai è l'ora dell'unione degli internazionalisti, che sono e rimangono l'unica forza capace di dare uno sbocco autenticamente rivoluzionario alla situazione attuale, perché più vicina è l'ora della lotta contro il capitalismo.


Le fonti dei dati riportati sono:

  • Buletin of the Federal Reserve
  • Agricultural American Yearbook
  • Annuario statistico giapponese
  • Mondo Economico
  • Successo
Pico

(1) La "crisi permanente" non implica la perdita della ciclicità della economia capitalista, in quanto proprio attraverso le crisi cicliche sua Maestà il Capitale si distrugge e si ricrea prendendo temporaneo, nuovo vigore, ma implica che l'economia capitalista ha imboccalo la china discendente e non riesce più a frenare il rallentamento del processo di accumulazione la caduta del saggio del profitto, sentendo sempre più la necessità di una guerra che. distruggendola, le ridia forza.

(2) Nei paesi sottosviluppati la produzione non viene effettuata sfruttando le riserve tecniche più avanzate, vi è quindi un maggior impiego di forza-lavoro che non di capitale, perciò il capitale impiegato grazie alla massa di plusvalore prodotto dai lavoratori può ricevere saggi di profitto altissimi rispetto ai saggi di profitto che ha attualmente all'interno dei paesi a capitalismo avanzato. Riportiamo a questo proposito il pensiero di Marx "Ciò che vale in un paese per differenti e successivi gradi di sviluppo, vale anche per differenti gradi di sviluppo contemporanei e coesistenti in diversi paesi". In un paese scarsamente progredito. in cui la inedia è formata dalla prima composizione del capitale, il raggio generale del profitto sarà del 66 2/3 %, mentre sarà del 20 % in un paese che ha raggiunto un grado assai più elevato di sviluppo.

(3) Le riserve americane di oro devono coprire almeno il 25 % della circolazione Interna, e il limite minimo è di 10 miliardi di dollari.

(4) ...

(5) I Diritti Speciali di Prelievo, il cosiddetto oro-carta. sono il più importante dei rimedi proposti. In pratica ciò vuol dire che invece di avere monete ancorate all'oro, ogni paese avrebbe disponibilità di prelievi monetari a seconda del suo grado di contribuzione presso il FMI, il tutto quindi basato su rapporti di forza e di potenza economica.

(6) I dati sulla sovrapproduzione agricola sono arrotondati alla tonnellata per il granoturco, un po' maggiore è l'approssimazione per quanto riguarda il grano.

(7) Già fin (l'ora alcune industrie americane esportano sul mercato cinese, fra di esse la General Motors.

(8) Solitamente un paese capitalista per cambiare la sua struttura economica, ad esempio da chiusa in aperta necessita o di una crisi profonda e generale che distrugga la maggior parte dei suoi mezzi produttivi o di una guerra che produce lo stesso risultato; poi l'economia viene ricostruita sulla base del nuovo modello.

(9) La rivalutazione di una moneta implica che le merci esportate dal paese che ha effettuato la rivalutazione diventeranno più care sul mercato mondiale- e che le merci degli altri paesi diventeranno più a buon mercato, provocando una contrazione nelle esportazioni dl quel paese.

(10) Il capitalismo non potrà mai dare delle vere riforme di struttura, ma non solo, solitamente non riesce a dare neppure le riforme che gli sono necessarie, per non rompere l'unità del fronte borghese. Quindi le riforme sono mediate dal contrasto fra i settori borghesi avanzati e quelli arretrati.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.