Opportunismo vecchio e nuovo in difesa del capitale

Dal 1945 ad oggi la politica sindacale ufficiale si è preoccupata di mantenere la divisione della classe operaia nei compartimenti stagni delle categorie settoriali con una conseguente condotta di lotta di tipo corporativistico, sulla base delle "contrattazioni" per categoria fra sindacati e industriali.

La parola d'ordine della lotta articolata ha tradotto nella prassi la teorizzazione dello spezzettamento e quindi dell'indebolimento della potenza globale delle masse operaie. I Sindacati social-opportunisti si rifiutano, in questo quadro di impostazione sindacale tipicamente trade-unionista, di raccogliere tutto il potenziale di forza del proletariato su piattaforme rivendicative di interesse generale e di convogliarlo su un indirizzo di lotta globale, la sola capace di incidere profondamente nel tessuto economico della società capitalistica. Anche i poppanti sanno che il capitale può resistere per mesi e mesi ad una lotta settoriale, o meglio ancora aziendale, mentre rischierebbe una crisi generale sotto i colpi di una offensiva di classe allargata in tutti i settori industriali.

La forza del social-opportunismo, e quindi della borghesia, in questa azione di contenimento e di deviazione della retta linea politica di classe, appare ancora notevole. Il ricorso, ad esempio, allo sciopero generale nazionale, deformato e snaturato dal largo preavviso e dalla forma di "union-sacrée" patriottica, avviene unicamente in appoggio alle manovre di ristrutturazione riformista tipicamente borghese, nella forma e nel contenuto, quali sono state la "lotta" per le pensioni prima e quella per la casa dopo. Il tutto nel contesto di una tattica politica manovriera in funzione parlamentare o... sotto-parlamentare.

Ciò è apparso evidente nell'autunno caldo dello scorso anno che ha visto in agitazione per i rinnovi contrattuali milioni e milioni di lavoratori di categorie fondamentali quali gli edili, i metalmeccanici, i tipografi, i bancari, i ferrotramvieri, ecc., e dove le centrali sindacali, in una orgia di demagogia e di retorica verbale, si sono ben guardate dall'unificare e coordinare il fronte di lotta proletario favorendo anzi nella realtà dei fatti addirittura delle incomprensioni e degli antagonismi fra le diverse categorie.

Le forze politiche e sindacali che dominano attualmente il movimento operaio e che comprendono l'intero schieramento del centro-sinistra parlamentare (DC, PSU, PSI, PSIUP, PCI) e della terna sindacale (CGIL CISL -UIL) non hanno e non possono avere altro da proporre nè sul piano tattico nè su quello fondamentalmente strategico.

Nessun partito, nessuna organizzazione sindacale del fronte democratico parlamentare ufficiale, si pone come obiettivo dichiarato o nascosto la crisi del capitalismo, la fine della attuale società che nella sopravvivenza del capitale, in forma privata o statale, della merce e del salario garantisce lo sfruttamento dell'uomo, le ingiustizie e le ineguaglianze sociali.

Questi partiti, questi sindacati, non vogliono e non potranno mai volere altro che un "migliore", un "più giusto", un "più equo" funzionamento del meccanismo economico della società capitalistica. Sono cioè gli infermieri, non i becchini, di un sistema economico e di una organizzazione sociale che, scossi da contraddizioni insanabili e da crisi sempre più profonde, non hanno altro da offrire che miserie e lutti per le masse lavoratrici.

Non possono voler altro che questo per la semplice ragione che essi non costituiscono una forza politica rivoluzionaria ma bensì conservatrice: l'attacco frontale al capitalismo presuppone un programma ideologico ed economico ben definito e conseguente alla distruzione stessa delle basi strutturali e sovrastrutturali della attuale società.

Le "riforme di struttura", le "correzioni razionali" attraverso la cosiddetta "programmazione democratica" di fenomeni marginali del sistema, le promesse illusorie di compartecipazione agli avanzi del grande banchetto capitalistico, costituiscono l'unico bagaglio, vera e propria zavorra, col quale l'avanguardia politico-sociale del capitalismo intraprende l'ultimo tentativo di strangolamento della ribellione proletaria e di riverniciatura del più che decrepito baraccone borghese.

Questa linea politica opportunistica ed obbiettivamente controrivoluzionaria, viene portata avanti a fianco del processo che tende alla completa integrazione del sindacato nel sistema, nel momento stesso in cui questo si trova immerso in uno stato di crisi potenziale il cui "tamponamento" si rende possibile solo attraverso un complesso processo di riorganizzazione e di ristrutturazione del meccanismo industriale e produttivo, a livello concorrenziale sul piano europeo e internazionale. Tenendo debito conto delle diverse e contraddittorie fasi di sviluppo, questo fenomeno è presente oggi in tutte le economie nazionali. La dura ed inesorabile legge del profitto - imperante in Occidente come in Oriente e fondamentale pilastro dei sistemi economici capitalistici che ovunque stringono nelle catene della schiavitù e dello sfruttamento le masse operaie - costringe il capitale privato e statale ad una disperata, frenetica corsa verso l'intensificazione dei ritmi di produzione e verso il vertiginoso aumento della massa totale della produzione mercantile.

Ne consegue la necessità imperante di aggiogare, con le minime concessioni possibili, la maggioranza della classe operaia a questa fase della agonizzante vita del capitale, e nessuno strumento è certamente più adatto a tale compito delle organizzazioni sindacali, fintantoché esse siano in grado di controllare e di influenzare con una politica social-opportunistica e tradeunionistica le masse operaie.

Ma il ruolo assegnato dalla borghesia alle organizzazioni sindacali nel processo economico di accumulo del massimo profitto, nella fase imperialistica dello sviluppo capitalista, è di tale portata ed importanza che a lungo andare costringe lo stesso sindacato, e le forze politiche che lo dominano, a scoprire sempre più apertamente le ragioni e i contenuti conservatori della sua linea di condotta e le finalità controrivoluzionarie della sua strategia. L'opportunismo è costretto sia dal concatenarsi degli avvenimenti che dalla dinamica delle ricorrenti contraddizioni economiche del sistema, a vuotare fino in fondo il sacco del tradimento arti-proletario, scoprendo il proprio gioco in termini di aperto sostegno e dichiarata difesa della società capitalista.

Nella sua forza attuale sono più che evidenti i segni premonitori di quella debolezza che lo travolgerà una volta esaurita ogni possibile manovra di contenimento e di deviazione della protesta e dell'attacco proletario.

Quanto reale sia questa prospettiva ci appare dall'atteggiamento che partiti e sindacati hanno assunto di fronte alla prima manifestazione di crisi di sovrapproduzione che la struttura economica dominante sta attraversando in questi mesi, dopo un periodo di apparente stasi benesseristica e proprio nel bel mezzo di quel processo ristrutturativo del capitalismo che abbiamo più sopra esaminato.

In una situazione se non catastrofica certo di estrema gravità per l'economia borghese, che vede l'esplodere in superficie di contraddizioni fondamentali di tutto l'apparato produttivo che costituiscono la riconferma della esattezza scientifica della dottrina economica marxista e la validità del suo programma rivoluzionario di classe, i migliori amici della borghesia stessa per l'ennesima volta si dimostrano proprio quelle forze che si arrogano il diritto storico di rappresentanza del proletariato socialista.

Il chiodo fisso del social-opportunismo è sempre quello: incapace di afferrare i termini esatti della crisi economica del sistema, spaventato dalle conclusioni rivoluzionarie che ne scaturirebbero, esso si offre come "consigliere", come "dipanatore dei nodi del sistema" con l'unico obbiettivo che il "superiore interesse nazionale" esige: "ripresa produttiva qualificata" e "piena utilizzazione delle risorse produttive".

La farmacia sindacale offre tonici al capitale e promette rapporti

nelle fabbriche: "La conflittualità - si legge in un documento di "mobilitazione energica e tempestiva" della terna sindacale - è destinata ad attenuarsi man mano che i ritardi e gli squilibri nella società e nelle aziende saranno superati".

E così il segretario generale della FIOM, Trentin, vede la "crisi industriale": "Vengono al pettine una serie di nodi strutturali che investono sia il rapporto fra produzione e consumo, sia l'estensione e la dislocazione della capacità produttiva delle imprese, sia i limiti raggiunti dalla produttività del lavoro date le sue attuali forme di organizzazione"; e sullo stesso tema ripete l'onorevole "compagno" Amendola: "se si vuole ottenere un aumento della produttività, è necessario mettere in piedi una nuova organizzazione del lavoro".

Di fronte alla prima, spontanea ribellione delle masse operaie colpite dalle conseguenze più immediate della crisi, in un clima di incertezza e di insicurezza qual è quello che caratterizza l'attuale livello di coscienza generalmente raggiunto dalla classe proletaria, tutto l'immenso apparato "repressivo" di cui dispone l'opportunismo nazional-comunista, è più che mai impegnato ad impedire quel salto di qualità nella maturazione della coscienza di classe che segnerà la vera ripresa politica di tutto il movimento rivoluzionario.

Distogliere l'attenzione del proletariato dal problema cardine della sopravvivenza o meno del sistema dello sfruttamento capitalistico, dell'impossibilità di una qualsivoglia sua rigenerazione, della maturazione storica di una nuova, rivoluzionaria organizzazione economica e sociale, che non nella "riforma" ma nella distruzione del sistema trarrà le possibilità del proprio sorgere: ecco l'impegno che accomuna l'intero fronte controrivoluzionario e riunisce le apparenti divergenze politiche della classe borghese.

Quando si parla di "riequilibrio dello sviluppo del Paese"; di "lotta per la riforma e la modifica delle strutture economiche, cioè di modifiche del modo come è organizzata la produzione, il processo di accumulazione, il meccanismo degli investimenti"; o si afferma che "la crisi dell'economia italiana si può risolvere con le riforme, cambiando cioè i meccanismi dell'accumulazione, gli indirizzi degli investimenti, il rapporto tra consumi privati, spesso improduttivi, e consumi sociali", non solo si agisce in qualità di conservatori e di rattoppatori del capitalismo e dei suoi malanni, ma più di tutto e soprattutto quali peggiori traditori della classe operaia e negatori feroci della rivoluzione comunista.

Le schiene curve sotto il giogo del capitale, i proletari aspettano che si "metta in piedi" una nuova organizzazione del lavoro per aumentarne la produttività e che si "modifichi" per meglio rafforzarlo il "modo di accumulare il profitto": è l'ultimo traguardo che offre loro il capitalismo, con i suoi cani da guardia, nella folle corsa verso la sua definitiva distruzione.

David

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.