Elementi per la critica alla risoluzione della CCI sul periodo di transizione

Sebbene non si intenda qui trattare completamente il problema dello stato di transizione (dalla società capitalistico-borghese alla società comunista) affrontiamo criticamente la risoluzione adottata dalla CCI al suo ultimo congresso del giugno 1979 sul medesimo problema e riportata sul numero 18 della International Review della Corrente.

Per quanto riguarda le nostre precise posizioni rimandiamo ai nostri documenti fondamentali ed in particolare allo Schema di Programma del 1944 e alla Piattaforma Politica del 1952. Il fatto stesso che si rimandi a tali documenti significa che per noi il problema dello Stato di transizione é fondamentalmente risolto da ben più di "qualche anno" e non può essere da noi considerato in alcun modo come "questione aperta". Se cioè tale problema é sempre meritevole di diffuse trattazioni accessorie o di ulteriori definizioni, sempre e comunque di carattere accessorio, le risposte ad esso, nelle loro linee fondamentali, emergenti dalla trascorsa esperienza storica, sono per noi definitive e discriminanti per le forze politiche atte alla direzione del movimento proletario.

Quanto di seguito diremo ha dunque il valore di riproposizione di queste stesse nostre posizioni in raffronto critico ad una impostazione errata e alle sue errate conseguenze teoriche. Ha dunque anche il valore di un contributo concreto alla discussione chiarificatrice fra le forze della sinistra comunista. Le divergenze fra le organizzazioni impegnate nel lavoro da noi avviato con la iniziativa delle Conferenze Internazionali, sono il terreno essenziale sul quale esse stesse devono confrontarsi nella ricerca della via che conduce alla costruzione del partito internazionale del proletario.

Ciò vale soprattutto quando tali divergenze si verificano su temi essenziali alla piattaforma stessa, al modo d'essere , cioè, di quel partito che formalmente si é tutti d'accordo nel voler costruire.

Per comodità nostra e per risparmio di costosi spazi, l'esame critico verrà condotto in riferimento diretto al testo della risoluzione della CCI. Riporteremo per quanto possibile il testo stesso, ma raccomandiamo comunque che la lettura di ciò che segue sia condotta in raffonto diretto con la risoluzione citata, se non altro a giustificazione dei molteplici "ritorni".

All'accapo 1) é affermato che lo Stato

avrà il compito di garantire i progressi di questa società di transizione sia contro ogni tentativo interno od esterno di restaurare il potere delle vecchie classi sfruttatrici, sia di mantenere la coesione della società contro ogni disgregazione del tessuto sociale risultante da conflitti fra le classi non sfruttatrici ancora esistenti.

Questa affermazione sottintende la nozione di uno Stato organo della società. È un concetto falso, battuto già da Marx ed Engels. Essi si batterono per tutta la vita contro il concetto tipicamente borghese della funzione dello Stato, come elemento di mediazione fra le classi. Questo concetto é esattamente quello espresso dalla CCI nell'ultima parte del periodo citato (mantenere la coesione della società ecc.).

Di qui infatti si evince che per la CCI lo Stato non é più l'organo di dominio di una classe sull'altra. Esso torna bensì ad essere lo strumento di mediazione fra le classi, l'elemento organizzatore della società esattamente come nelle concezioni battute già nel XIX secolo.

Il fatto che lo stato di cui si parla é lo Stato uscito dalla rivoluzione proletaria, non é sufficiente a giustificare una sua così nuova definizione e d'altra parte, la risoluzione della CCI non dà alcun altro elemento a giustificazione.

Al contrario, l'origine rivoluzionaria e proletaria dello Stato fa si che esso limiti le sue funzioni alla eliminazione della borghesia e dei rapporti economici e sociali capitalistici secondo gli esclusivi interessi della classe operaia, e alla amministrazione e pianificazione "delle cose" (Lenin). Alleanze tattiche con altre classi, distinte dal proletariato, si rendono possibili e concepibili soltanto sulla base degli interessi proletari. Che tali classi siano non sfruttatrici é solo la condizione elementare sulla quale può fondarsi la valutazione della opportunità, nel momento e nella situazione data, di una alleanza quale quella cui il proletariato russo fu costretto nei confronti del contadiname.

Cosa significa stato di transizione? Significa che a tale stato é negata dalla realtà delle cose l'altra funzione tipica di ogni Stato che lo ha preceduto: garantire la riproduzione e la conservazione delle condizioni di sfruttamento di altre classi da parte della classe di cui lo Stato é strumento.

La funzione dello Stato é sempre stata infatti duplice: da una parte garantire la classe dominante da soprassalti della classe sconfitta che l'ha preceduta (borghesia contro aristocrazia feudale - stato borghese che distrugge le sopravvivenze dell'ordinamento feudale e aristocratico che lo ha preceduto); dall'altra garantire le condizioni di dominio e di sfruttamento della classe dominante sulle classi sfruttate (borghesia contro proletariato - stato borghese a difesa del rapporto di sfruttamento della borghesia sul proletariato).

Ogni stato precedente storicamente lo Stato Operaio é strumento di dominio di una classe sfruttatrice. Il proletariato é invece classe sfruttata, l'ultima classe sfruttata. Il suo Stato non ha da garantire nessun sfruttamento da parte del proletariato su qualunque altra classe.

La cancellazione dalla storia dei rapporti di sfruttamento fra le classi, la cancellazione dunque delle classi stesse, esaurisce dunque i compiti politici dello Stato (amministrazione dei rapporti fra gli uomini). Con ciò lo Stato Operaio cessa di essere Stato per mantenere le sole funzioni di amministrazione delle cose. Qui, e solo qui é la vera ragione della definizione di semi-stato che i marxisti applicano allo Stato Operaio.

Ma, sinché é tale, lo Stato Operaio é lo strumento politico di dominio e di lavoro rivoluzionario di una classe, quella proletaria, che ha in sé, i termini, non solo della propria emancipazione, ma della liberazione dell'intera società da tutti i rapporti di sfruttamento.

Il primo punto del secondo accapo 2) conferma appieno le ragioni della critica precedente. Vi si precisa infatti che lo Stato

é al servizio della maggioranza della classi e degli strati sfruttati e non sfruttatori contro la vecchia minoranza dirigente.

Non si tratta dunque di uno stato proletario ma di uno stato amorfo, privo di precisi connotati di classe, che raccoglie nel suo stesso seno classi, e addirittura strati, diversi e persino portati a conflitti fra di loro.

Qui la controversia non sta tanto nel fatto che possano esistere dei conflitti fra il proletariato ed altre stratificazioni sociali diverse dalla borghesia sconfitta, nel periodo di transizione. Tali conflitti certamente esistono, "immanenti" alla diversità dei ruoli ricoperti nel processo di produzione e distribuzione medesimo - già all'interno della società capitalista - diversità, che, almeno nella prima fase post-insurrezionale, si ripresenta inevitabilmente. Altrettanto certo, dunque, e che tali conflitti debbano essere regolati. Ma, é qui é il punto, tale regolamentazione non avviene all'interno dello Stato, come arena di semplice mediazione fra uguali, ma attraverso lo Stato, ovvero mediante lo Stato quale strumento degli interessi proletari che in ultima analisi ma solo in ultima analisi, sono coincidenti con quelli dell'intera societa.

Gli interessi del contadiname (propriamente inteso, ad esclusione dunque dei proletari agricoli) sono diversi nell'immediato da quelli del proletariato ed in buona misura sono ad esso antagonisti. La mediazione degli interessi contadini con quelli proletari, e dunque comunisti, é possibile solo nel senso di concessioni tattiche da parte del proletariato nell'ambito di una lotta economica condotta comunque alla classe contadina e tesa alla sua eliminazione come classe. Ma le concessioni tattiche presuppongono un potere concedente. E questo potere é quello del proletariato, autonomamente organizzato nel suo stato, libero da condizionamenti interni da parte degli stessi contadini.

Cosa si intende per contadiname? Si intende l'insieme di lavoratori della terra slegati da rapporti salariali, e quindi proprietari o affittuari. Questa stessa condizione li fa tendere, per quanto loro possibile in base alle disponibilità e capacità individuali, alla instaurazione di rapporti di sfruttamento con altri lavoratori, nel momento stesso in cui tendono alla assunzione di mano d'opera in proprio mila terra in proprietà o alla proprietà della quale aspirano. È dunque evidente che il contadiname é una classe distinta, con interessi propri e distinti da quelli del proletariato. In questo senso poco importa che non si tratti di classe storica, portatrice cioè di proprie teorie e prassi sociali. Anzi, é questo uno dei motivi per i quali il contadiname è sempre stato riconosciuto dai marxisti come una classe tendenzialmente portata alla alleanza con la borghesia, che ha sempre avuto perciò facile gioco a valersene nella affermazione stessa del proprio dominio.

Ipotizzare la presenza nello Stato di transizione del contadiname può significare solo due cose, quindi:

  • o la preparazione scientemente controrivoluzionaria delle condizioni per la sconfitta - e in partenza - dello stato di transizione come tale;
  • o una deplorevole ignoranza delle classiche posizioni marxiste ampiamente verificate da una plurisecolare esperienza storica.

Il secondo punto del secondo accapo é un tentativo di glissare lo scoglio attraverso la enunciazione secondo la quale lo Stato

non é emanazione di una società e di rapporti di produzione stabili, ma al contrario di una società la cui caratteristica permanente é una costante trasformazione a scala maggiore di qualsiasi altra cosa nella storia.

Siamo così all'espediente verbale, magniloquente ma solo apparentemente dialettico. Attraverso cosa infatti si realizzerebbe tale trasformazione resta un mistero. Al marxismo risulta che tale trasformazione sia attuata dal proletariato che si serve per questo dello strumento più potente: il suo semi-stato. Altrimenti resterebbe da spiegare la necessità medesima di uno Stato espressione di tutto ciò che non é direttamente borghese, ma anche quelle classi e strati che - come il contadiname - sono per lo più il tramite di una politica borghese. L'unico soggetto attivo della trasformazione rivoluzionaria - a meno di cadere nel vortice delle nuove scoperte circa inediti soggetti rivoluzionari - é il proletariato. Dunque lo Stato, o é espressione del potere proletario e strumento di trasformazione secondo gli interessi e il programma proletario oppure non serve (per gli anarchici) e nasce morto (per i confusionari alla CCI).

Ma é esattamente la concezione dello Stato come espressione del proletariato e suo strumento di trasformazione nella società ad essere rigettata dalla risoluzione in esame, che al punto seguente recita:

esso (Stato) non può identificarsi con nessuna classe dominante, perché non esiste una tale classe nella società nel periodo di transizione.

Sarebbe sufficiente per chiudere. Ma ci armiamo di santa pazienza e seguitiamo, considerando questa perla come uno dei tanti infortuni.

Se é vero che nel periodo di transizione non esiste una classe detentrice di un potere economico fondato sullo sfruttamento di altre classi, é anche vero che il proletariato deve assumere, all'atto stesso della rivoluzione, la direzione completa dell'economia. Con ciò il proletariato si fa classe dirigente dell'economia, fondandosi sulla forza che gli deriva dalla coniugazione del suo potere politico con il suo essere di classe produttrice. Di più, la rivoluzione é esattamente l'atto attraverso il quale la classe operaia si fa classe dominante, almeno stando a Marx.

Il primo passo della rivoluzione operaia sta nel costituirsi del proletariato in classe dominante.

Manifesto dei Comunisti

È ancora Marx a specificare che

il proletariato (non altri) profitterà del suo dominio politico per concentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, ossia del proletariato stesso organizzato come classe dominante.

Sulla scorta degli stessi insegnamenti di Marx, e delle esperienze storiche attraversate, noi possiamo oggi affermare che non é sufficiente che si concentrino i mezzi di produzione nelle mani dello Stato perché ciò non é di per sé contrario agli interessi complessivi del capitale e può essere, --come si appresta a diventare anche fuori di Russia, - la forma di esistenza del capitale stesso e del suo dominio. Con ciò noi andiamo avanti, rispetto a un punto e ad una formulazione. Ma negare che lo Stato sia qualcosa di diverso che la organizzazione del proletariato in classe dominante e cioè qualcosa di più vago, comprensivo di altre classi già allora individuate come non rivoluzionarie, significherebbe arretrare, ovvero precipitare nella ideologia idealista borghese o, più malinconicamente, nella vacuità più assoluta.

Se non esiste, come afferma la CCI, classe dominate e dirigente, si deve ammettere che questo misterioso Stato di transizione sopravvive e svolge i suoi compiti secondo un programma che non é quello della classe operaia ma di una ammucchiata informa di classi e strati uniti contro la vecchia società dalla sola forza delle idee e dell'odio anticapitalista, che é anche lui una idea. C'è chi teorizza apertamente simili piacevolezze. Le fa però a partire dalla tesi secondo la quale la classe operaia si é dissolta nella società, ha perso i suoi connotati precisi inoculando la sua carica eversiva in strati della società fino alla stessa borghesia, sotto la spinta di una oppressione sempre più sottile e totale del capitale stesso. Forza motrice di questo processo di dissolvimento del proletariato e insieme di allargamento dell'area rivoluzionaria ad altri "soggetti" sarebbe l'assolutizzazione del dominio capitalista stesso e della sua oppressione sulla società. Per chi teorizza questi estetismi, consegue che la rivoluzione é l'atto liberatorio dell'intera società dal comando oppressivo del capitale, al quale atto seguirebbe immediatamente la più o meno armonica organizzazione della "comunità", indipendentemente da una divisione in classi ormai superata.

Qui almeno c'é coerenza, c'é il gusto (un po' perverso), la capacità e il coraggio di scatenare il proprio cerebro da intellettuale esteta della storia fino alle ultime conseguenze, poco importa poi che la borghesia possa servirsi attraverso le sue ali radicali anche di simili teorizzazioni per disarmare la classe operaia e le sue lotte.

Ma la CCI, alla quale per ora manca tale "coraggio", non sembra disposta saltare così radicalmente la barricata.

Deve allora spiegare ai suoi militanti ed a tutto il movimento comunista perché mai viene a mancare una classe dirigente e dotata di tutti i mezzi della direzione, prima fra tutti lo Stato. Deve spiegare perché la classe rivoluzionaria guida e compie la distruzione dello Stato borghese, come prima tappa del processo rivoluzionario, dopodiché lascia ad altre classi, ad altri "strati" la continuazione di quel medesimo processo, abdicando allo Stato.

La classe operaia "guida e compie la distruzione dello Stato borghese". Vale la pena di soffermarsi un attimo. Sul fatto che la classe operaia sia involta in prima persona all'opera di distruzione non ci sembra né contestato (dalla CCI) né opinabile. Ma cosa significa che guida, anche, l'atto di distruzione? Innanzitutto significa che a tale atto partecipano effettivamente strati di altre classi non semplicemente assimilabili al proletariato. Ebbene il fatto essenziale é che tale partecipazione all'atto, tale coinvolgimento nella sovversione, avviene sulla base del programma comunista, del programma di classe del proletariato comprende la distruzione dello Stato borghese, in diretta connessione con il fatto che solo il proletariato trova le condizioni della propria emancipazione, della affermazione dei propri interessi, nella distruzione dello Stato borghese. Storicamente, tutte le altre classi, che come tali si riducono ormai solo al contadiname (essendo gli altri strati di popolazione assimilabili all'una o all'altra delle classi fondamentali) non necessitano della distruzione della società borghese per la difesa dei propri interessi. Si tratti del contadiname, si tratti della piccola borghesia commerciale o artigiana, la loro difesa come classe o strati di classe sta tutta all'interno dello Stato capitalista e solo nei momenti drammatici della crisi catastrofica del sistema possono essere trainati sul terreno rivoluzionario in grazia della alleanza tattica che il proletariato può realizzare nel momento in cui il capitale nega loro ogni salvezza. Ma é dunque il proletariato che, sulla base del proprio autonomo e definito programma rivoluzionario stringe tali alleanze. Il fine immediato é l'ammasso e l'organizzazione delle forze d'urto della rivoluzione, il fine ultimo é l'assimilazione di queste stesse forze sia sul piano politico sia sul piano più direttamente economico sociale, al campo socialista. L'uno e l'altro fine sono conseguibili alla sola condizione, però, che il proletariato eserciti sempre la propria direzione, che la marcia in avanti dello Stato uscito dalla rivoluzione procede secondo il programma comunista, di classe proletaria.

Che lo Stato sia lo strumento delle trasformazioni rivoluzionarie dopo l'atto insurrezionale é dimostrato anche dalla storia della stessa borghesia che, nella sua fase ascendente come classe al potere si é servita proprio del suo Stato per operare quelle trasformazioni economiche e sociali necessarie alla affermazione del modo di produzione capitalista come sistema universale ed esclusivo nel mondo.

"En resumé", o si ammette che il programma comunista é portato dalla sola classe operaia, che può trovare alleati nella sua affermazione, ma che ne resta unica detentrice (non si parla qui degli individui che al possesso del programma e della conoscenza comunista giungono attraverso il tradimento della propria classe di origine) e allora la classe operaia dovrà servirsi del suo Stato per portare a compimento la sua opera. Oppure si ipotizza che il programma comunista, l'eliminazione delle classi, l'abolizione del lavoro salariato possano essere nel periodo di transizione l'obbiettivo di quelle altre classi e strati del cui coacervo lo Stato sarebbe espressione - e allora bisogna spiegare perché diavolo queste classi diventerebbero rivoluzionarie e comuniste solo dopo l'insurrezione. Oppure (dato ciò per assurdo) bisogna ammettere che non é vero che il proletariato é la sola classe rivoluzionaria, portatrice di un programma di liberazione dell'intera umanità - con tutte le tristi conseguenze di ciò. D'altra parte non manca certo al mondo chi afferma tanto, anzi la migliore intellettualità borghese si cimenta proprio in queste "dimostrazioni" - come già accennato.

Monopolio delle armi?

Il terzo punto del secondo accapo conclude "in crescendo" la serie di novità in campo di teoria dello Stato di transizione:

In contrasto con gli stati nella società passate, lo Stato di transizione non ha il monopolio delle armi.

Innanzitutto rileviamo la contraddizione flagrante: da una parte la CCI decreta che lo Stato non é proletario, non é cioè il proletariato organizzato in classe dominante, e con ciò abdica anche al ruolo di catalizzatore della coscienza con cui o secondo la quale lo Stato dovrebbe agire, dall'altra decreta che quello stesso Stato, con cui sia il proletariato sia la CCI non avranno nulla a che fare, non deterrà il monopolio delle armi. C'è di che restar confusi. Rilevata la contraddizione, cerchiamo di sbrogliare le carte.

La rivoluzione si fa quando il proletariato vince sul piano militare (in teoria potrebbe bastare la detenzione del monopolio delle armi, quelle dell'esercito comprese, e la sua ostentazione senza gran sparatorie, poi va sempre a finire che un poco queste armi hanno anche da essere usate, ma non é cosa che qui conti). Più precisamente per riallacciarsi a quanto sopra, la rivoluzione si fa quando le armi sono pronte a sparare nella direzione indicata dal programma comunista del proletariato, anche se fisicamente detenute anche da strati diversi della popolazione.

Che fine fanno tali armi!

Ci si dovrebbe aspettare che restino nelle mani del proletariato al di fuori dell Stato (e in realtà, come vedremo, la CCI parla di organi proletari armati). Ma che strano Stato é quello che lascia ad altri il monopolio delle armi? E viceversa non é forse chi detiene il monopolio delle armi ad essere Stato? Evidentemente, tesi come quelle in esame salpano dalla confusione e alla confusione approdano. Ma proseguiamo.

Per tutte queste ragioni i marxisti hanno parlato di un semi-stato quando si riferivano all'organo che sorgerà nel periodo di transizione.

Qui non sappiamo se siamo in presenza di una beata ignoranza o di semplice mala-fede.

Abbiamo riferito più sopra, in critica al primo accapo della risoluzione, del perché i marxisti (e particolarmente Lenin), abbiano sempre parlato di semi-stato. L'ultima affermazione, quindi, della CCI é semplicemente una... novità (ed evidentemente le tendenze "innovative" si fanno sentire con forza in questa organizzazione). Qui comunque non si tratta di difendere un "conservatorismo" astratto, bensì di rigettare assolutamente concetti o principi in insanabile contrasto con il corpo di dottrina consolidato del marxismo. Lo Stato di transizione é sempre stato considerato e resta un semi-stato semplicemente perché gli manca la funzione di difesa del privilegio di sfruttamento di trasformazione rivoluzionaria della società secondo gli interessi ed il programma di una classe,quella proletaria, peraltro coincidenti con la estinzione stessa dello Stato. Tutto quanto la CCI ha precedentemente rifiutato come caratteristiche dello Stato di transizione é ciò che caratterizza il ruolo stesso del semi-stato. Nella migliore delle ipotesi dunque, per la CCI viene addirittura a mancare qualsiasi Stato.

Stato rivoluzionario e stato conservatore

La rivoluzione prosegue affrontando il problema "d'altra parte".

D'altra parte - dice - questo Stato mantiene ancora un certo numero di caratteristiche degli Stati passati. In particolare esso sarà ancora il guardiano dello status-quo, il cui compito sarà codificare legalizzare e sancire un sempre esistente ordine economico, dargli una forza legale che deve essere conosciuta da tutti i membri della società.

La confusione continua impazzendo. Se quanto affermato può obbedire, e di fatto obbedisce, alla tesi già vista della CCI secondo la quale lo Stato di transizione non sarà stato proletario, non ha però alcun fondamento, né storico, né tanto meno politico.

Tutti gli stati sin qui succedutisi hanno attraversato una fase rivoluzionaria nella quale essi hanno svolto un ruolo appunto rivoluzionario eliminando i vecchi rapporti sociali, trasformando le strutture economiche sociali e politiche. La borghesia si diede un proprio stato diverso dal prece dente proprio perché teso alla eliminazione dei rapporti sociali da quello difesi. Anche lo Stato borghese, come tutti gli altri, é sorto con lo scopo di trasformare la società secondo le linee confacenti gli interessi della classe dominante. Compiuta questa funzione rivoluzionaria tutti gli stati hanno sempre mantenuto la proprie peculiare funzioni di conservazione e difesa del rapporto di sfruttamento di una classe sull'altra. Non diversamente si é comportato il primo stato, per esempio, nella antica Grecia, a meno di... reinterpretare il chiarissimo scritto di Engels in proposito. A titolo di esempio e a proposito di trasformazioni:

L'organamento della Costituzione Gentile giunse ad un disordine tale che già al tempo eroico fu necessario porvi rimedio. Fu introdotta la Costituzione attribuita a Teseo (nasce cioè il nuovo Stato - n.d.r.) Il cambiamento consisteva soprattutto nella istituzione di una amministrazione centrale in Atene, vale a dire che una parte degli affari sinora amministrati dalle tribù furono dichiarati affari comuni e passati al consiglio comunale sedente in Atene.

Una trasformazione rivoluzionaria si compie ad opera di uno Stato. Infatti,

con ciò era dato il primo passo allo sfacelo della Costituzione Gentile...

Engels "origine della famiglia, della proprietà privata dello Stato"

Se tutto questo vale per la successione degli Stati nella "civiltà occidentale" della cosiddetta comunità antica, non meno vale per le diverse forme di comunità primitiva che percorsero prima della conquista imperialista del mondo, un diverso cammino nei modi di produzione e di organizzazione sociale..

Ci riferiamo per intenderci, alle civiltà cui dette vita il modo di produzione asiatico (dall'antico Egitto, alla Cina, all'India...).

Intendiamo dunque che é una costante della storia delle società la funzione di strumento di trasformazione rivoluzionaria che ogni Stato assume nella sua prima fase. Lo Stato proletario esaurisce la propria esistenza con l'esaurirsi di questa funzione, al contrario degli stati che lo hanno preceduto, che invece continuano nel ruolo di strumenti di conservazione dei rapporti di sfruttamento di classe.

La CCI invece pretende che caratteristica originaria e permanente, ed unica funzione, di ogni stato sia la conservazione; attribuisce questa e solo questa funzione anche allo Stato di transizione e con ciò assimilando a qualsiasi altro, lo considera come fattore concorrente, se non antitetico, alla sua funzionalità al processo rivoluzionario medesimo.

Si noti bene che qui sta il nocciolo di fondo della discussione, ciò che segue, infatti, che per la CCI é conferma delle sue tesi iniziali, non può essere respinto "sic et simpliciter", contenendo un fondo di verità che sta ai rivoluzionari valutare nella sua giusta portata.

Il "conservatorismo" dello stato

Nel periodo di transizione lo stato tenderà a conservare lo stato di cose esistente,

continua il documento che abbiamo in esame. Ciò non é errato in assoluto. Tutto sta ad intendersi sull'uso del termine stato. Se si intende con ciò l'insieme delle persone inserite nello Stato, i particolari istituti organizzativi ai quali esse concorrono, l'affermazione é certamente vera. La funzione dello Stato borghese, (rispettare, difendere e rappresentare gli interessi generali di classe della borghesia), é un dato oggettivo e reale come oggettiva e reale é la resistenza di taluni organi, del corpo burocratico nel suo insieme,a tutte quelle modifiche e "innovazioni" anche lievi che la conservazione borghese stessa richiede all'interno del proprio stato e nei rapporti fra queste e "il pubblico".

Da una parte tale affermazione é semplicemente banale, dall'altra é gravida di pericoli... idealisti, se svolta nell'ambito di una impostazione idealistica. In altri termini, per gli idealisti, di ogni genere e grado, le "tendenze innate dell'uomo" (peraltro retaggio della stessa divisione in classi della società) assumono il ruolo di motori della storia, di basi ultime della determinazione sociale. Ne consegue che per gli idealisti di ogni genere e grado i fenomeni in cui certi "modi di essere" (ancora - per noi storicamente determinati) non si limitano ad esistere e a pesare sul terreno di appartenenza - quello della sovrastruttura, della soggettività - ma diventano il tratto distintivo della società e della sua storia.

Di qui e solo di qui si può partire per giungere ad affermare che lo Stato o é semplicemente un nemico sempre e comunque (come dicono gli anarchici) o che lo Stato deve essere controllato dalla dittatura del proletariato (come dice la CCI).

Ciò però non significa assolutamente che non operi anche la tendenza della struttura statale a ergersi al di sopra delle classi stesse in forza della tendenza borghese (destinata a scomparire solo gradualmente nel lungo periodo di costruzione reale del socialismo) degli uomini inseriti in organismi di potere a mantenere i propri privilegi ed il proprio "prestigio".

Il problema reale é "rendere impossibile l'allargamento ed il potenziamento d'ogni burocrazia" e anzi consentire "la sua graduale soppressione".

Non é un caso che si citi qui direttamente dalla nostra piattaforma del '52. Ma, d'altra parte non esistono ricette magiche che diano la garanzia, tanto é vero che la pretesa ricetta nuova della CCI si risolve di fatto nella eliminazione degli attributi di classe dello stato stesso e nella "soppressione" della sua necessità. E a questo proposito vale la pena citare ancora dallo Schema di programma del nostro partito del lontano 1944:

Lo Stato, sopravvivenza borghese della quale il proletariato non può fare a meno di servirsi per eliminare i residui di una società divisa in classi, ma di cui deve affrettare la dissoluzione, tende tanto più a sopravvivere e a rafforzarsi, invece di deperire, quanto più si isola dal moto del proletariato internazionale, pretendendo di costruire nel proprio ambito il socialismo e di contrapporsi come stato operaio agli stati borghesi sull'arena internazionale.

Il lettore disattento, leggendo la rivoluzione della CCI ai punti che seguono potrebbe concludere che vengono lì esplicitate le tendenze alla sopravvivenza e al rafforzamento dello Stato e che quindi, in ultima analisi, si concorda. E invece il contrasto é profondo. Ed il contrasto non sta tanto nel riconoscimento di queste tendenze degli organi burocratico-amministrativi, che lo stato si deve comunque dare, quanto nel peso che a queste tendenze si attribuisce

Per noi esse sono presenti ed operanti, ma non caratterizzanti dal punto di vista di classe. Sono e sono state sempre presenti in ogni forma di stato, indipendentemente non solo dalle classi volta a volta dominante delle quali cioè lo Stato era strumento, ma perfino negli Stati, beninteso sempre di classe, propri a società a percorso storico diverso. La burocrazia dell'impero cinese, perfettamente organica allo Stato caratteristico del "dispotismo asiatico" costituì sempre un problema per il despota, nel quale si incarnava peraltro il potere della classe mandarinale stessa.

Forse che con ciò si può affermare che l'insieme dell'apparato statale costituiva qualcosa (un potere) diverso dal potere della classe superiore (per usare un termine confuciano) e riassunto in quello del despota?

Per la CCI, viceversa, le tendenze che potremmo definire "autonomistiche" della burocrazia di Stato diventano la caratteristica fondamentale dello stato stesso, come per l'idealismo anarchico. La CCI ne conclude che lo Stato é si necessario - a differenza degli anarchici - ma resta qualcosa di diverso dalla organizzazione di potere del proletariato. È così che per la CCI, la formulazione in base alle quale la classe rivoluzionaria non può identificarsi con lo Stato nel periodo di transizione - dietro la intima ambiguità vuole in realtà significare, come altrove esplicato, che lo Stato non é della classe operaia.

Dopo di ciò la risoluzione passa ad "argomentare" la già incontrata tesi secondo la quale il proletariato non sarebbe classe dominante "né in società capitalista né nella società di transizione".

Durante il periodo di transizione esso (proletariato) non possiederà né la proprietà economica né alcuna altra proprietà, neppure collettivamente, esso lotterà per l'abolizione dell'economia e della proprietà.

Già questa formulazione é quantomeno scorretta. Se é vero infatti che socializzazione significa eliminazione di ogni e qualsiasi rapporto di proprietà, é altrettanto vero che non tutti i settori produttivi, non tutti i mezzi di produzione potranno essere di botto socializzati, all'atto stesso della presa del potere. Torniamo così al problema contadino. Resterà la terra in proprietà ai contadini? La risoluzione non lo dice ma possiamo supporre che direbbe no. Può d'altra parte essere ovunque ed in qualunque situazione socializzata? Il semplice buon senso dice che no, che permarranno zone e situazioni dove la socializzazione della terra é uno degli obiettivi intermedi dello stesso periodo di transizione. A chi va la terra? Allo Stato che ne sarà dunque proprietario. Il proletariato allora lo si può considerare come non proprietario, neppure collettivamente, solo alla condizione che lo Stato sia lo Stato dei contadini. In altri termini, o il proletariato si presenta nel rapporto con i contadini come il proprietario delle terre, attraverso lo Stato, oppure lo Stato la farà da padrone con l'intervento dei contadini stessi, con tanti saluti alla socializzazione. Viceversa le terre saranno socializzate attraverso un processo lungo il quale il Proletariato dovrà scegliere i più adeguati modi di rapportare sé stesso, come classe, e il proprio programma alla classe contadina.

Tuttavia, al di là della imprecisione, l'affermazione della CCI contiene un fondo di verità: é vero infatti che il proletariato lotterà per l'abolizione della proprietà. Ma ciò non significa affatto quel che vuol far credere la risoluzione in esame, e cioè che il proletariato non é classe dominante.

Se sull'insieme dei rapporti economici e sociali non domina il proletariato che é l'unica classe ad avere per programma storico l'abolizione della proprietà e della conseguente divisione in classi della società, allora quei rapporti economici e sociali non potranno mutare in alcun modo.

O si accede alla tesi idealista secondo la quale é l'insieme degli uomini, finalmente riconoscentesi in una nuova e superiore "Gemeinwesen" affermatasi nel seno stesso del capitalismo, a volere una nuova società e nuovi rapporti, oppure si deve riconoscere che al dominio di fatto della borghesia, conseguente ai rapporti economici e sociali caratteristici della società capitalistica, si deve contrapporre il dominio politico ed economico del proletariato, della classe cioè storicamente antagonista alla borghesia e la sola capace di spezzare quei rapporti medesimi.

Tendenzialmente mancando di proprietà il proletariato, come lo si può considerare dominante in senso economico? L'inghippo, per la CCI, sta tutto in questo amletico problema. Le società sin'ora esistite hanno visto il dominio economico accompagnarsi alla proprietà, al fatto che coloro che esercitavano quel dominio erano anche coloro che ai mezzi di produzione essenziali, nell'area e nel tempo considerati, erano legati da rapporti di proprietà. Per la CCI e per i dialogici consegue che, venendo meno i rapporti di proprietà, vengono meno anche i rapporti di dominio. La dittatura del proletariato si trasformerebbe allora in una dittatura basata sulla sola volontà di un diverso futuro, e comunque non sulla materiale possibilità di disporre di mezzi di produzione.

Viceversa la realtà é ben altra. Vengono meno, con i limiti già indicati, i rapporti di proprietà sui mezzi della produzione industriale, ma non per questo viene meno il dominio che su di essi deve esercitarsi da parte della classe operaia. Questo é possibile solo in forza della particolarità stessa della rivoluzione proletaria rispetto a tutte le altre rivoluzioni che l'hanno preceduta, in forza del fatto che per la prima volta la classe rivoluzionaria é anche la classe direttamente impiegata sui mezzi di produzione.

La borghesia non era la classe produttrice nel senso del suo diretto e materiale impegno sui mezzi di produzione. Maturò in seno alla società aristocratica, come classe dominante in quanto classe proletaria.

Viceversa il proletariato deve conquistare il proprio dominio con la rivoluzione stessa.

La borghesia fece la sua rivoluzione nel momento in cui giunse a maturazione la contraddizione fra la sua proprietà e il suo dominio economico da una parte e il potere politico dall'altra. Viceversa il proletariato perviene alla rivoluzione in forza della contraddizione fra socializzazione del lavoro e proprietà privata dei mezzi di produzione. Entrambe le rivoluzioni (borghese e proletaria) spingono innanzi i mezzi di produzione (o meglio il rapporto di dominio uomo-natura), ma sono qualitativamente diverse rispetto alle posizioni "di potere" di partenza. Perché le trasformazioni dei rapporti economici e sociali avvengano, é però, sempre e comunque necessario che una classe spinga in quel senso con tutti gli strumenti che il suo essere dominante gli conferisce. Altrimenti non resta che attendere la maturazione dell'Uomo e della Gemeinwesen di tanti idealisti che, come spesso accade nell'attesa, si ritrovano al fianco di chi il potere lo esercita oggi, la borghesia.

Quale controllo

E veniamo al secondo argomento per il quale il proletariato non avrebbe nulla a che vedere con lo Stato di transizione.

Secondariamente il proletariato, la classe comunista, il soggetto che trasforma le condizioni economiche e sociali della società di transizione necessariamente insorgerà contro un organo il cui compito é di perpetuare queste condizioni.

Qui siamo semplicemente ad un corollario di una tesi sbagliata che é stata premessa: quella secondo cui lo Stato é solo un organo di conservazione. Avendola già trovata ed esaminata non abbiamo che da rimandare più sopra, solo aggiungendo, per buona pace della CCI, che certamente le masse operaie, organizzate nei soviet di fabbrica e territoriali avranno, si, da vigilare attentamente sul corretto funzionamento delle istanze amministrative, burocraticamente, gerarchicamente - se si vuole - superiori dell'apparato statale, secondo le stesse indicazioni di Lenin contro la burocratizzazione. È questo un compito che pensiamo acquisito dalla esperienza passata, ma che non dà comunque nella sua semplice formulazione la garanzia di una marcia vittoriosa verso il comunismo. L'unica garanzia é la internazionalità o la internazionalizzazione della rivoluzione, l'esistenza di concrete condizioni che neghino la patria socialista in quanto unico stato socialista. Non é un caso che la lotta per l'affermazione della teoria del socialismo in un solo paese si sia accompagnata alla burocratizzazione dello Stato e viceversa. Non é un caso che in Russia la "burocratizzazione" dello Stato, la identificazione degli apparati di Stato e di Partito, sia stata segnata dallo svuotamento di fatto dei Soviet quali organi di potere.

Apprendiamo poi dalla risoluzione che:

l'antagonismo fra il proletariato e lo Stato si manifesta sia a livello immediato sia a livello storico.

Svolgendo l'argomento la CCI esplicita in altra forma il suo più grave errore. Dice infatti:

Al livello immediato, il proletariato dovrà opporsi alle usurpazioni e alla pressione di uno Stato che é la manifestazione di una società divisa in classi antagoniste.

Ciò significa che per la CCI, ancora, lo Stato di transizione é una necessità storica, perché esistono le classi, ma non é lo strumento del proletariato. Il ragionamento appare essere questo: là dove ci sono state classi antagoniste é esistito uno Stato, quindi uno Stato dovrà esistere anche nel periodo di transizione. Quale poi sia stata la funzione complessiva degli Stati e quale dovrà essere la funzione dello Stato di transizione é problema che non riguarda evidentemente la CCI.

Vien da ricordare le lapidarie parole di Lenin di "Stato e Rivoluzione":

Ridurre il marxismo alla dottrina della lotta delle classi vuol dire mutilare il marxismo, deformarlo, ridurlo a ciò che la borghesia può accettare.
Marxista é soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta di classe sino al riconoscimento della dittatura del proletariato (...) L'opportunismo non porta il riconoscimento della lotta di classe sino al punto essenziale, sino al periodo del passaggio dal capitalismo al comunismo, sin al periodo dell'abbattimento della borghesia e del suo annientamento completo.
In realtà questo periodo é necessariamente un periodo di lotta di classe di un'asprezza inaudita, un periodo in cui le forme di questa lotta diventano quanto mai acute e quindi anche lo Stato di questo periodo deve essere uno Stato democratico in modo nuovo (per i proletari e non i possidenti in generale) e dittatoriale in modo nuovo (contro la borghesia).

Erano parole queste particolarmente rivolte all'opportunismo di destra, segnatamente al kautskismo, ma che possono oggi rivolgersi a questi nuovi opportunisti "di sinistra" che dalle medesime premesse cadono nella deviazione simmetricamente opposta.

Per la CCI, infatti, lo Stato é si il prodotto della lotta di classe, ma non é lo strumento di cui la classe dominante si serve in questa lotta, oppure lo é in regime capitalista e per la borghesia, non lo é più - passando a lievitare in cieli superiori alla meschina, materiale esistenza delle classi stesse - in periodo di transizione. Di fatto e al fondo la CCI non estende la teoria della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato e dello Stato dei consigli operai quale suo strumento.

Ma cosa succede a livello storico, secondo la risoluzione in esame?

A livello storico la necessaria sparizione dello Stato nella società comunista che é una prospettiva sempre difesa dal marxismo, non sarà il risultato della dinamica dello stato stesso, ma il frutto della accresciuta pressione da parte del proletariato nel suo stesso movimento verso di essa, che progressivamente lo priverà di tutti i suoi tributi parallelamente ai progressi verso la società senza classi.

È un altro modo per esprimere la medesima deformazione del marxismo. Anche qui infatti lo Stato appare come qualcosa di completamente distinto e antagonistico al proletariato, come qualcosa contro il quale il proletariato si deve battere. Il nemico non sono cioè le tendenze sempre possibili alla burocratizzazione dei suoi apparati, presenti nelle sue strutture, nel materiale umano che le compongono, bensì il nemico é lo Stato stesso, le sue strutture che lieviterebbero al di sopra delle classi a regolare il rapporto fra di esse. Sarebbe dunque per questo che:

Mentre il proletariato dove usare lo Stato durante il periodo di transizione, deve mantenere una completa indipendenza da esso.

Ci si può chiedere come il proletariato può usare lo Stato di transizione mantenendosi del tutto indipendente da esso, ma sarebbe fatica sprecata. A meno di ammettere, cosa ancora ardua nel caso della CCI che sicuramente recalcitra, che per la CCI lo Stato si può usare indipendentemente dal fatto di esserne i detentori, il che porterebbe a melanconici approdi riformistici, di fatto controrivoluzionari.

D'altra parte si impone la banale osservazione che i detentori di qualcosa ben difficilmente, se non attraverso giochi verbali e formali possono dirsi completamente indipendenti da quel qualcosa stesso...

E ci avviciniamo alla conclusione. Abbiamo sin qui visto e sottolineato le deviazioni generali, teoriche, dal marxismo Ma nella conclusione, e solo lì nella risoluzione, troviamo le implicazioni per così dire, "pratiche".

Ribadendo che, nel senso su esposto,

la dittatura del proletariato non può essere confusa con lo Stato,

la risoluzione afferma che:

fra i due esiste un costante rapporto di forze che il proletariato dovrà mantenere a suo favore: la dittatura del proletariato é esercitata dalla classe operaia stessa attraverso i propri dipendenti organi unitari armati: i consigli operai.

Dal che si evince che gli organi della dittatura del proletariato sono una cosa, lo Stato un'altra. Chi eserciterà il potere legale, ancora tristemente necessario? Se sarà l'ipotetico stato della CCI la dittatura del proletariato sarà una ben strana dittatura. Se invece sarà la dittatura del proletariato si avrà un ben strano Stato. Poiché si continua a navigare nella più oscura confusione dobbiamo far noi delle ipotesi. L'unica ipotesi su cui un simile pasticcio può reggere, con tanti saluti comunque alla dittatura proletaria, é una divisione dei poteri secondo la miglior tradizione borghese. Esempio: lo "Stato" (sempre quello ideale della CCI) fa le leggi (potere legislativo); la dittatura del proletariato le fa eseguire (potere esecutivo) se gli aggrada. In questo disperato caso la CCI dovrebbe varare un centinaio di nuove risoluzioni per anticiparci i complicati rapporti. Se invece non é così ed il gusto del paradosso ci ha spinto oltre, ci risolva la CCI il bisticcio evidente.

Per noi lo Stato é la dittatura del proletariato, le sue articolazioni sono le articolazioni dei soviet, dal livello più basso al livello superiore, e i soviet sono i consigli operai, organi proletari.

Invece, ed ecco l'altra implicazione pratica delle teorie correntiste,

I consigli operai parteciperanno ai soviet territoriali (nei quali é rappresentata l'intera popolazione non sfruttatrice e dalla quale emanerà la struttura dello Stato) senza confondersi in essi, al fine di assicurare la sua egemonia di classe su tutte le strutture della società del periodo di transizione.

Abbiamo visto che per la CCI in linea teorica lo Stato non é strumento esclusivo della classe operaia. Qui vediamo che, in pratica, é espresso dalle "classi e strati" non sfruttatrici, e non dai consigli operai. La revisione é chiara e completa.

L'idea di soviet rappresentanti di una generica popolazione non sfruttatrice é direttamente mutuata dal democratismo borghese che con la rivoluzione proletaria non ha nulla da spartire e che dalla rivoluzione proletaria é sommamente avversato. Oltre che presentare la vistose contraddizioni già viste, lo Stato "della CCI" non sarà più l'espressione della classe dei produttori organizzata in classe dominante, ma l'espressione di una accozzaglia di strati popolari, asessuati, asettici che nello stato convergeranno in forza della residenza e della non proprietà dei mezzi di produzione. I consigli operai, non più struttura portante dello Stato eserciteranno non più la dittatura del proletariato, ma una generica egemonia che troppo da vicino ricorda l'egemonia gramsciana.

Ci resta solo da osservare, se non fosse chiaro da quanto precede, che la permanenza della CCI su queste posizioni la allontanerà progressivamente dall'arena del lavoro per la costruzione del partito internazionale del proletariato, in parallelo con l'accelerarsi di questo o quantomeno con l'approfondirsi della sua necessità.

Né é accettabile l'atteggiamento opportunista che vuole presentare questa risoluzione come un semplice contributo alla discussione su una "questione aperta".

La natura dello Stato di transizione é una questione chiave per il partito rivoluzionario, per il semplice fatto che é fondamentale per il partito la definizione del proprio compito e delle proprie funzioni nel periodo di transizione e rispetto allo Stato stesso.

L'insistenza medesima a considerare come aperta una simile questione, con il subdolo scopo di introdurre posizioni teoricamente e politicamente deviazioniste, si configura sempre più come una delle forme di opportunismo che é dovere dei rivoluzionari debellare per sempre dal proprio campo.

Mauro jr. Stefanini

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.