L’antagonismo sociale si stempera nel democratismo borghese

Della lotta contro la destra, anzi, la Nuova Destra, dello schieramento borghese è stato fatto uno dei cavalli di battaglia da parte della “autorganizzazione” e uno dei punti di collegamento con una forza esplicitamente riformista, cioè Rifondazione comunista, con la quale ha amoreggiato e amoreggia, come dimostrano prese di posizione in comune e la firma apposta al documento del “Polo” di cui si parlava sopra. La cosa non ci sorprende affatto, visti la confusione e lo stravolgimento - già sottolineati più volte- del marxismo su tutti i più importanti aspetti del capitalismo e della storia della lotta di classe in questo secolo.

Sul ruolo dello stato, secondo alcuni “occupato” dalla nuova destra, si assume pari pari l’ideologia borghese, in quanto esso sarebbe un organo al di sopra delle “parti sociali” preposto alla tutela dei cittadini e delle loro “esigenze di libertà e di democrazia” (Rossoperaio, maggio 1994, pag. 2).

La teoria comunista secondo la quale la macchina statale è solo ed esclusivamente lo strumento della classe dominante per mantenere il suo dominio e amministrare al meglio lo sfruttamento delle classi dominate, è completamente calpestata.

Chi si ricorda che la democrazia borghese è, se le condizioni lo permettono, il mezzo preferito dalla borghesia per rafforzare la sua oppressione di classe, perché si fa credere agli sfruttati che non sono sfruttati, che hanno gli stessi interessi fondamentali (la patria, l’economia nazionale) dei ricchi e dei potenti, in definitiva che le differenze di classe, pardon, sociali, scompaiono di fronte al fatto che prima di tutto si è cittadini?

Allora si può anche scendere in piazza per difendere la Costituzione o stringere alleanze con chi la difende e con essa le regole di santa democrazia; ma in che cosa consiste per noi questa democrazia? Semplicemente che

“agli oppressi si permette una volta ogni tanti anni di scegliere quale dei rappresentanti della classe dominante li rappresenterà e li opprimerà nel parlamento.” (Lenin, Stato e rivoluzione, ed. Savelli, pag. 102)

Solo se gli oppressi, schierandosi sul proprio autonomo (questo sì) terreno di classe, mettono seriamente in discussione l’oppressione democratica, la borghesia sceglie il fascismo, cioè la repressione aperta, senza veli, per perpetuare il suo dominio; tutto ciò. senza tener conto del fatto che il fascismo, come gestione da parte dello stato capitalista delle leve fondamentali dell’economia, dagli anni trenta in poi di questo secolo, è un dato permanente del sistema economico-sociale capitalistico, sia in veste democratica che fascista.

Al di là, infatti, delle ciance sul liberismo, sul libero mercato ecc., oggi il capitalismo non potrebbe sopravvivere senza l’intervento dell’apparato statale nelle questioni essenziali di politica economica.

Non è forse vero, tanto per rimanere “in casa nostra”, che l’Italia “nata dalla Resistenza” ha ereditato (rafforzandole le principali istituzioni economiche dell’epoca fascista? E come mai oggi, e non solo in Italia, più si parla di privatizzazioni, di disimpegno dello stato dall’economia, più esso, in tutte le sue articolazioni (sindacati compresi) è impegnato anima e corpo nella gestione dell’economia capitalista nel tentativo di pilotarla fuori dalle tempeste della crisi strutturale del ciclo di accumulazione?