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Home ›La perdurante mistificazione dell’antifascismo
In questo senso, il fascismo è il modo di essere dell’ordine sociale borghese della nostra epoca, che va oltre i contingenti e stupidi aspetti folkloristici del Ventennio.
La canaglia al minuto, gli ottusi mazzieri dalle teste rasate, prodotto naturale delle squallide periferie urbane immerse in un acuto e disperante degrado sociale e di una piccola borghesia quasi sempre altrettanto squallida, costituiranno un serio pericolo solo se e quando il capitale verrà messo con le spalle al muro dalla lotta proletaria: allora quella lurida canaglia sarà la carne da cannone della reazione borghese, ma anche allora il vero nemico di classe rimarrà la borghesia tutta e non solo le sue squadracce.
Per adesso è molto più conveniente la concertazione tra governo, padroni e sindacato - esattamente cioè come si faceva nel sistema corporativo fascista - per svirilizzare le lotte operaie e gestire il quotidiano sfruttamento del proletariato.
Ci rendiamo conto che per molti di coloro che appartengono all’area “antagonista”, ciò che andiamo dicendo può essere difficile da digerire, in quanto espressione del solito settarismo sempre presente nel movimento operaio; ma se per settarismo si intende la difesa intransigente del programma rivoluzionario, cioè degli interessi immediatamente storici del proletariato, allora, in questo senso, siamo “settari” e “rigidi”, perché non siamo disposti a barattare la fedeltà ai principi, al comunismo, con la ricerca di presunte e furbesche scappatoie che non possono portare che al tradimento totale della classe di cui ci si pretenderebbe rappresentanti (o autorappresentanti).
La storia, cioè la realtà, come sempre è lì a dimostrare che le nostre non sono enunciazioni di pochi “suonati” individui, bensì il riflesso teorico di gigantesche lotte fra le classi e di immani tragedie storiche ma, come al solito, per accorgersene, basta guardarsi attorno togliendosi gli occhiali deformanti dell’ideologia borghese: allora si potrebbero fare scoperte dolorose, perché potrebbero cadere sacri miti ai quali ci si è abbandonati passivamente.
I comunisti, va da sé, non hanno bisogno di miti: valendosi di un metodo scientifico di analisi, devono essere disposti a sottoporre al vaglio scientifico della critica la realtà e il loro stesso operato, proprio per rendere sempre più affilate le armi con cui, prima o poi, chiuderanno definitivamente i conti con questa inumana società.
Non abbiamo paura quindi - anzi lo rivendichiamo come titolo di merito... comunista - di denunciare la Resistenza come uno degli episodi più tragici della storia del movimento operaio e uno dei più infami per quelle organizzazioni politiche “di sinistra” che hanno trascinato il fior fiore del proletariato a combattere una guerre non sua per interessi non suoi.
Che cosa è stata la Resistenza se non, oggettivamente, l’appoggio a uno dei due fronti imperialisti durante la seconda guerra mondiale?
Invece di denunciare il carattere imperialista del conflitto, cioè il fatto che il nazismo e il fascismo erano prodotti del capitalismo allo stesso identico modo che la “democrazia” occidentale, e che la guerra era l’unica via d’uscita imposta dalla crisi scoppiata nel decennio precedente, per cui “né un soldo né un soldato “ proletario dovevano essere offerti al mostro capitalista, i partiti “operai” si schierarono senza esitazione sul fronte alleato, ulteriormente legittimati dal fatto che in questo modo si difendeva anche la patria del “socialismo”, l’Unione Sovietica di Stalin.
Non solo, la lotta contro il nazifascismo veniva fatta passare come una lotta per la civiltà (ossia per un capitalismo dal “volto umano”, lo stesso che, sia detto per inciso, nelle colonie opprimeva brutalmente e massacrava quotidianamente) e sottovoce si lasciava intendere che la guerra partigiana sarebbe stata solamente il prologo della rivoluzione socialista - e d’altra parte era proprio questa l’intenzione della maggior parte dei “ribelli”.
Insomma veniva rispolverato l’interventismo democratico che allo scoppio della prima guerra mondiale “giustificò” il tradimento della maggior parte delle organizzazioni socialiste, contro il quale immediatamente si schierarono i pochi rivoluzionari rimasti fedeli, nonostante tutto, ai principi del comunismo.
Non più scioperi contro la guerra, ma contro la guerra nazifascista; non più fraternizzazione fra i proletari in divisa, ma guerra al tedesco in quanto tale (così come dall’altra parte si dichiarava guerra al russo o all’americano): è evidente che, completamente privati di ogni solidarietà classista, del più piccolo barlume di identità di classe, i proletari, su qualunque fronte, potessero anche trasformarsi in soldataglia brutale, dedita al massacro indifferenziato e alle peggiori efferatezze.
E chi, opponendosi alla guerra, era costretto a prendere la via della montagna e della guerriglia, non aveva altra scelta che schierarsi, nella stragrande maggioranza dei casi del tutto in buona fede, con il fronte alleato.
Le poche avanguardie di classe sopravvissute alle persecuzioni fasciste, staliniane, democratiche, non potevano fare molto per strappare la classe operaia all’influenza dei partiti stalinisti, i quali, mentre nel nord Italia spingevano la migliore gioventù proletaria a farsi massacrare, violentare, torturare da altri giovani spesso reclutati a forza nelle bande assassine di un fascismo ormai scaricato dalla borghesia, nel sud “liberato”, ossia occupato dagli angloamericani partecipavano a governi che sparavano su operai e braccianti in sciopero.
È noto a tutti poi che, appena finita la guerra, PCI e PSI si affrettarono a disarmare le formazioni partigiane - un proletariato armato è sempre pericoloso... - e furono determinanti nel fare accettare al proletariato pesantissimi sacrifici (disoccupazione, salari da fame, sfruttamento bestiale, emigrazione) per la “Ricostruzione nazionale”, ovvero per far ripartire il ciclo di accumulazione capitalistico. Per quelli che non ci stavano e continuavano a schierarsi su posizioni autenticamente comuniste, c’erano la calunnia, la galera e l’eliminazione fisica, come toccò ai comunisti internazionalisti.
Se la Resistenza non è stata dunque altro che un’atroce e tragica beffa al proletariato, perché rivendicarla? Perché rivendicare un generico e insipido antifascismo dentro il quale ci possono stare tutti, borghesia democratica compresa? Noi siamo antifascisti perché siamo anticapitalisti, perché vogliamo farla finita con un ordine sociale che genera alternativamente democrazia e fascismo a seconda delle sue necessità, fatto salvo il fatto che, ci teniamo a ribadirlo, nelle sue linee essenziali il capitalismo decadente è già di per sé fascista.
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