Una conclusione

Abbiamo già detto dei rapporti amichevoli che intercorrono tra la variegata area dell’antagonismo e Rifondazione Comunista, rilevando come la cosa sia del tutto ovvia: sui nodi teorici fondamentali le realtà autorganizzate, che si pretendono anti istituzionali, si trovano perfettamente d’accordo con una forza che invece fa della difesa delle istituzioni - specialmente contro le macchinazioni della “Nuova Destra”- uno dei suoi punti caratterizzanti.

Basta scorrere anche solo velocemente le pubblicazioni facenti riferimento all’area di Rifondazione per rendersene conto.

Si può leggere così su Marx 101 n. 17 che:

“i centri sociali costituiscono un positivo esempio di costruzione di “zone liberate”, utili alla lotta politica e alla ricostruzione di una soggettività antagonista [e, più avanti...] che è assolutamente necessario aprire una forte iniziativa che coniughi la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario con la richiesta del salario minimo garantito.” (pag. 26)

E se c’è un appello ben chiaro alla necessità di lotte di massa (democratiche) rivolto alle “realtà antagoniste” per la difesa della Costituzione e per battere Berlusconi - non contro il sistema borghese nel suo insieme, si badi bene! - è perché, a ragione, i “sinistri” di Rifondazione vedono oggettivi punti di contatto con la pratica politica dell’ “antagonismo sociale”. Quest’ultimo, da parte sua, non si nega certo, come abbiamo, tra l’altro, avuto modo di sentire da un rappresentante del centro sociale Officina 99 di Napoli, il quale ha esplicitamente teorizzato una divisione del lavoro tra i centri sociali e i rifondazionisti: i primi si assegnano il compito di diventare punto di riferimento per i giovani dei quartieri “difficili” delle città, istintivamente refrattari alla politica istituzionale, delegando ai secondi la rappresentanza negli organismi statali (Modena, 21/08/1994, festa di Rifondazione).

D’altra parte c’è chi nel movimento degli autorganizzati va molto più in là e propone (oggi, allora di dovrebbe forse dire proponeva, visto che il cavaliere nero è solo un semplice deputato?) alleanze con tutti, anche con il PDS e oltre, pur di costruire un fronte comune contro la Nuova Destra governativa, facendosi carico, inoltre, delle difficoltà economiche dello stato nell’avanzare proposte che sono perfettamente compatibili, in linea teorica, con qualsiasi stato borghese, anche se suonano terribilmente rivoluzionarie. Un gran capo Cobas dice infatti che occorrerebbe imporre “la tassazione dei titoli di stato e una seria patrimoniale per alcuni anni, che consenta di coprire le spese per gli interessi di BOT e CCT” (Bernocchi, il Manifesto, 30/09/1994).

Tralasciando il “piccolo” particolare che quand’anche un governo delle sinistre (ma quali?) mettesse in pratica tale proposito, in meno di ventiquattr’ore i grandi capitalisti sarebbero tutti oltre confine, con il conseguente tracollo dell’economia, è la logica di fondo che rivela l’animo profondamente riformista o, se volete, controrivoluzionario di quel discorso. Infatti la preoccupazione principale è quella di mettere un freno al debito pubblico dello stato, per riportare i conti pubblici sui binari delle compatibilità economiche.

È la solita illusione dei riformisti di ogni tempo quella di voler insegnare ai capitalisti come gestire più razionalmente i loro affari credendo, da bravi borghesi piccoli piccoli, che esista un’astratta e neutra gestione dell’economia, quando in realtà per il capitale l’unica gestione possibile è quella che consente di sfruttare al massimo il proletariato, e il debito pubblico (merita leggere le pagine di Marx sull’argomento) è uno dei più classici sistemi per rapinare plusvalore, ossia la ricchezza prodotta dalla classe operaia.

Finché esisterà il modo di produzione capitalistico (e il suo stato) esisterà il debito pubblico, di cui a far le spese saranno sempre, indipendentemente dal suo ammontare, gli sfruttati.

Tralasciamo infine il lato “comico” di quegli sproloqui, che consiste nel volere la patrimoniale ma solo “per alcuni anni” (perché altrimenti la borghesia se ne avrebbe a male, presumiamo), per insistere sul fatto che interventi veramente decisivi nella sfera dell’economia avrebbero come conseguenza immediata effetti dirompenti su tutta la società.

Questo però potrebbe farlo solo un proletariato che ha ritrovato se stesso e, ritrovando se stesso, il proprio partito di classe; un proletariato che avendo conquistato il potere sotto la guida della sua avanguardia rivoluzionaria, interviene dispoticamente nell’ordine sociale capitalistico smantellandone pezzo per pezzo il meccanismo, per andare deciso e sicuro verso una società senza oppressione e sfruttamento, non più fondata sul reddito (anche garantito...), sul denaro, sul profitto, ma sul soddisfacimento dei bisogni degli esseri umani nel rispetto della natura: insomma, la società comunista!