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Home ›Come l'accordo Fiat-General Motor ridurrà i costi e soprattutto i salari
Investire per ridurre i costi e per restare competitivi
L'accordo prevede la costituzione di due società joint-venture paritetiche: la prima riunirà le attività nei settori power-train (motori e trasmissioni) e la seconda nel settore degli acquisti e approvvigionamenti di componenti dai subfornitori. La dislocazione prevista è quella delle aree europee e sud americane, meno "costose" per quanto riguarda l'uso della forza-lavoro. È soprattutto qui che si realizzerà il massimo risparmio sui costi accentuando ai limiti estremi la concorrenza fra i fornitori esterni di componentistica.
La competizione in tutto l'indotto auto si annuncia, infatti, sempre più feroce. Fra General Motors, Ford, Daimler-Chrysler, Toyota e Renault Nissan si è creato un portale Internet mondiale da cui passeranno tutti gli ordinativi riguardanti le forniture, anche per la Fiat. Si compra e si vende all'asta in ogni parte del mondo, nel preciso momento del bisogno e per definite quantità sia di prodotti che di servizi necessari per le specifiche fasi del ciclo industriale.
Lo stesso decisivo strumento di pressione e condizionamento si presta per essere usato sui concessionari, minacciati di...estinzione anche se fin qui ancora nulla è stato realizzato. Sia per gli acquisti che per le vendite, dunque, si avranno meno costi e più margini di profitto, per lo meno finché il mercato tira. Da notare in proposito che il potenziale produttivo mondiale è oggi di 70 milioni di vetture a fronte di una vendita di 50 milioni. Questa overcapacity globale dell'industria automobilistica - e che secondo analisti di Autofacts è l'equivalente del prodotto di 100 fabbriche di montaggio con 130 miliardi di dollari "sprecati" - destabilizza i mercati abbassando i margini di profitto. Siamo fra l'altro a livelli doppi, come eccesso di capacità di produzione, rispetto a quelli di dieci anni fa, e il Gap è destinato a restare immutato per i prossimi anni. Quanto alla Fiat, il suo tasso di utilizzazione degli impianti è di poco superiore al 50%.
Ma il bello deve ancora arrivare. Nella seconda metà del 2001 il nuovo modello Fiesta della Ford potrà essere costruito in 12 ore invece delle 23 prima necessarie. Quindi la Ford ha già annunciato la riduzione di un turno di lavoro nello stabilimento di Dagenham e sta valutando se chiudere completamente la sua maggiore fabbrica in Gran Bretagna. I proletari in esubero, sicuramente, non acquisteranno la nuova Fiesta, ma probabilmente venderanno anche la loro vecchia auto...
Con le continue espulsioni di lavoratori dai processi produttivi industriali, con le riduzioni salariali ovunque imposte dal capitale e i minimi salari elargiti ai lavoratori a tempo determinato nei servizi (new economy compresa), non si vede proprio quali reali possibilità di espansione possa avere il mercato automobilistico (a parte la sua reale utilità), e non soltanto quello.
Le aste via Internet
In America si chiamano "Borse per scambi di merci e servizi"; B2B, business to business, cioè fra aziende, e B2C, Busines to consumer; vendita diretta online, rispondendo così direttamente a precise richieste dei clienti. Un mercato "virtuale" via Internet che modificherà profondamente anche le organizzazioni aziendali, le relazioni fra le imprese e fra le imprese e i fornitori. Le ottimistiche previsioni degli esperti borghesi stimano risparmi che abbasserebbero i prezzi delle auto anche fino al 14%, restituendo margini di profitto che oggi sono a livelli molto bassi. Come esempio negativo si citano i profitti netti della Ford, solo 4,2% sulle vendite del '99, anno considerato come record. In alcune aree, come quella europea, sia Ford che GM opererebbero addirittura con profitti zero.
La GM ha subito negli anni '90 imponenti processi di ristrutturazione che hanno tagliato 135.000 posti di lavoro. Gli attuali profitti annui sono risaliti fino a toccare i 5 miliardi di dollari; esattamente, guarda caso, la somma di salari "risparmiata" con le espulsioni di forza-lavoro...
Ma anche per la GM il problema principale rimane sempre quello di incrementare ulteriormente la produttività, e per questo ci si prepara a sperimentare quei metodi di produzione che già negli anni Settanta furono proposti in sostituzione della catena di montaggio. Si tratta del "famoso" sistema delle isole, cioè gruppi di operai e tecnici addestrati con operazioni diverse a realizzare specifici assemblaggi, sull'esempio della Toyota. Al tutto si aggiungerà probabilmente una riduzione dei salari di circa il 20% rispetto ai livelli contrattuali e introducendo speciali bonus legati alla produttività. Un esperimento, questo, già tentato qualche anno fa e poi sospeso a causa di un mercato saturo, ma comunque approvato dal Sindacato Uaw (United Auto Workers).
Questo è ciò che offre, nella migliore delle ipotesi, il capitalismo. Che sia un modo di produzione e distribuzione ormai da relegare in soffitta fra le cose vecchie e inutili, non dovrebbero esserci più dubbi. Ed anche l'accordo Fiat-General Motors ne è una riprova.
La nostra alternativa
A questo punto, qualcuno potrebbe chiederci: va bene, ma voi che cosa proporreste? Ecco la risposta, possibile e concretamente realizzabile, di fronte al gigantesco sviluppo tecnologico e scientifico che avanza ormai come una valanga inarrestabile:
- L'attuale modo di produzione e distribuzione sopravvive soltanto piegando l'uso delle forze di produzione materiali e della forza-lavoro dei proletari ad un'unica esigenza: il profitto a qualunque costo. Si produce non ciò di cui noi abbiamo bisogno ma soltanto - sotto forma di merce da vendere solo a chi può comperarla - ciò che procura un profitto, una quantità di denaro superiore a quello impiegato nella produzione e nel commercio.
- Sempre meno forza-lavoro è necessaria per produrre quantità sempre maggiori di beni: invece di dividere il lavoro e distribuire i prodotti fra tutti gli uomini e le donne, i giovani e gli anziani, il capitalismo è costretto a far lavorare troppo milioni di proletari e a lasciarne senza lavoro (e senza "reddito") altrettanti. Oppure a far lavorare "precariamente" gli uni e gli altri, se e quando ottiene un profitto, con un salario sempre più ridotto.
Non è una "scelta cattiva"; il capitalismo è quello che è, costretto a salvaguardare l'unica molla che lo tiene in piedi, il profitto; non è migliorabile o "riformabile": è un modo di produzione e distribuzione storicamente giunto alla fine delle sue possibilità di sviluppo. Ogni giorno che passa diventa una gabbia insopportabile per le nostre condizioni di sopravvivenza.
Il capitalismo deve essere abbattuto e superato, sostituito da un diverso modo di produrre e distribuire che oggi è finalmente possibile con la socializzazione di industrie e servizi: la collettività si divide il lavoro necessario per produrre tutto ciò che le occorre a soddisfare i propri bisogni reali. La fine di ogni sfruttamento, oppressione e distruzione nel nome del capitale e del suo profitto, sarà - dopo l'antica società feudale e quella borghese (sia in versione democratico-liberale che stalinista) - la nuova società comunista.
L'organizzazione del proletariato per lottare contro il capitale e i suoi gestori, la classe borghese, e per gettare le basi di realizzazione del programma del comunismo: questa è la nostra risposta, questo è il compito che ci sta di fronte.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2000
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