Due lotte una sola lezione

Lo scorso inverno e la scorsa primavera, abbiamo visto nascere ed esaurirsi due notevoli episodi della lotta di classe in Italia, da cui si possono trarre insegnamenti di valenza generale. Ci riferiamo alla lotta degli autoferrotranvieri milanesi e a quella degli operai della Fiat SATA di Melfi.

Nel lungo silenzio a cui ci aveva abituati il proletariato nostrano, entrambe queste lotte rappresentano certamente un segnale di risveglio che, di fronte alle continue aggressioni padronali e all'asservimento sempre più sfacciato dei sindacati agli interessi del capitale, doveva prima o poi farsi sentire. Un risveglio che, nel caso dei tranvieri milanesi, ha visto i lavoratori sfuggire al controllo della triplice, autorganizzarsi nelle assemblee di stabilimento e rompere le catene "legali" ideate per neutralizzare l'arma dello sciopero, e che, nel caso di Melfi, ha visto gli operai condurre una durissima lotta di tre settimane fatta di blocchi, scioperi e picchetti, tale da costringere le forze dell'ordine borghese a fronteggiarla coi manganelli.

L'importanza, il peso che hanno avuto questi due episodi, nonostante abbiano riguardato solo una minoranza del proletariato italiano, lo si può dedurre anche dalla ferocia con cui i politicanti e i pennivendoli di regime hanno attaccato, compatti, "gli scioperi selvaggi" dei tranvieri milanesi e "le forme di lotta non democratiche" degli operai di Melfi. I lavoratori che alzano la testa? Non sia mai!

Anche se alzare la testa non significa ancora lottare fino in fondo sul terreno di classe contro il padronato e i suoi agenti.

Ci sono dei limiti, infatti, che entrambe queste lotte non hanno superato e che invece è assolutamente necessario infrangere per maturare una strategia di lotta che possa davvero porsi fuori dalle maglie del sindacalismo e dalle compatibilità del capitale. Innanzitutto, sia i tranvieri di Milano che gli operai di Melfi non sono riusciti ad estendere il fronte di lotta (anche se la mobilitazione dei tranvieri ha riguardato, per un certo periodo, anche altre città), il conflitto è rimasto fondamentalmente isolato e quindi votato a essere riassorbito con alcune concessioni contrattuali, più o meno misere rispetto al grado di lotta raggiunto.

Il mancato allargamento del fronte di lotta trova d'altronde la sua causa prima nella bassa reattività del proletariato, che, faticando a riconoscersi come classe e a liberarsi finalmente dal giogo sindacale, si mobilita ancora in modo molto frammentario.

Riteniamo altresì che la lotta degli autoferrotranvieri abbia un merito in più rispetto a quella degli operai di Melfi; il merito, dall'alto significato politico, di essere stata condotta fino all'ultimo dalle assemblee spontanee dei lavoratori senza la mediazione dei sindacati, e così questi ultimi si sono trovati - tutti, anche quelli di base - a dover rincorrere le mobilitazioni cercando, invano, di conquistarne il controllo. A Melfi, invece, nonostante la risolutezza e la grande combattività espressa dagli operai, la FIOM è riuscita a mantenere la direzione della lotta fino a determinarne la chiusura con risultati ben al di sotto di ciò che bisognava pretendere dopo una battaglia così aspra e così lunga.

Questi, comunque, sono solo i primi passi del difficile cammino che i proletari devono fare per uscire dalla gabbia del sindacalismo e per dare vita ai propri organismi assembleari: ai lavoratori comunisti il compito di seminare, lungo questo cammino, la necessità di uscire anche dal capitalismo.

Frodo

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.