Per gli Usa è profondo rosso

I dati appaiono inconfutabilmente chiari: la bilancia commerciale USA ad aprile segna un nuovo record negativo ed il disavanzo che già a marzo di quest'anno era di 46,6 miliardi ad aprile si attesta sui 48,5 miliardi di dollari. Proiettando questo dato su base annua in dicembre 2004 il deficit commerciale potrebbe superare i 496 miliardi di dollari confermando così, ed in negativo, il trend già manifestatosi nel 2003. Per essere considerata dai più, dai fautori convinti delle teorie neoliberiste, la locomotiva dell'economia mondiale, e lo è, la performance non è delle più confortanti. Questo gap nel commercio USA consegue ad un aumento del 5% circa delle importazioni e di una ben più modesta crescita delle esportazioni che, nonostante il dollaro debole, fanno segnare un + 2,6%.

Volendo analizzare in che modo è strutturato questo deficit possiamo rilevare come esso dipenda nell'essenziale dall'aumento della domanda di beni di consumo e dalla importazione di petrolio. Per completezza d'informazione verifichiamo come nei confronti dei partner commerciali gli USA hanno modo di registrare un surplus negli scambi solo con Australia, Egitto, Hong Kong e Singapore mentre il deficit caratterizza gli scambi con la Cina, con la UE, col Giappone, coi paesi OPEC, col Messico e col Canada. Se dovessimo mettere a raffronto questo disavanzo con la loro produzione industriale vedremmo subito che gli USA attualmente dipendono per il 10% del loro consumo industriale da beni la cui importazione non è compensata dall'esportazione di prodotti nazionali. È un processo questo che ha tempi molto rapidi se consideriamo che appena dieci anni fa questo disavanzo era ancora del 5% e se consideriamo soprattutto che alla vigilia della grande depressione del 1929 circa la metà della produzione manifatturiera mondiale era concentrata negli Stati Uniti. Il dato che risalta maggiormente è quindi rappresentato da una situazione debitoria rivolta ai quattro angoli del mondo che pone gli USA in una situazione sempre più difficile sia nel contesto attuale sia in una situazione a venire che potrebbe subire notevoli sconvolgimenti. La ripresa che ha segnato questo ultimo periodo è stata trainata dall'aumento dei consumi interni e resa possibile dai bassi tassi d'interesse praticati dalla Federal riserve. A sostenere maggiormente questo flusso di importazioni sono stati i settori delle auto, dei prodotti alimentari e della ristorazione. I dati forniti hanno il pregio di fotografare una situazione che potrebbe, anche in tempi brevi, modificarsi se son vere le illazioni secondo cui la Federal riserve potrebbe decidersi per un rialzo del tasso d'interesse, necessario, secondo alcuni, a bloccare i rischi di un aumento dell'inflazione, con effetti penalizzanti che si farebbero sentire in quasi tutti i settori compreso quello immobiliare la cui bolla speculativa ha avuto modo di alimentarsi solo grazie ai mutui a tassi bassissimi e tutto ciò andrebbe ad incidere sulla spesa dei consumatori con ricadute sul PIL. Per quanto riguarda le importazioni di petrolio la lettura del dato statistico va fatta tenendo conto delle aumentate esigenze americane specialmente se rapportate alla quota di petrolio made USA, che è in via di progressivo esaurimento, ma soprattutto sulla politica petrolifera in genere (quantità da estrarre, prezzi, nuovi impianti) portata avanti dai paesi che aderiscono all'OPEC. Le prospettive, in tal senso, sono tutt'altro che rosee. I paesi OPEC, che già estraggono al limite delle loro capacità produttiv, hanno fatto già intendere, per bocca del ministro venezuelano del petrolio Ramirez, che l'era del petrolio a buon mercato potrebbe essere finita. Se a questo deficit commerciale si assomma quello federale allora la miscela diventa esplosiva. Lo stesso Paul Krugman, assertore convinto del libero commercio quale unico strumento in grado di governare le disuguaglianze tra ricchi e poveri stigmatizza l'uso ossessivo delle spese militari per rilanciare la produzione e l'occupazione rieditando una sorta di keynesismo che possiamo definire keynesismo militare con la lodevole differenza, però, che Roosvelt finanziava la produzione e lo stato sociale mentre i "neocons" attuali tagliano le tasse ai ricchi e intascano i surplus derivanti dai profitti di guerra (vedi Halliburton, la Bechtel). Mancando strumenti in grado di incidere strutturalmente questo squilibrio avr come effetto l'aumento dei tassi d'interesse allargando il debito degli USA con l'estero (su 3500 miliardi di dollari di debito in circolazione,1400 miliardi sono in mano di investitori cinesi e giapponesi). Perdurando questa situazione di indebitamento strutturale gli investitori stranieri potrebbero dileguarsi e venendo meno i capitali esteri l'eventuale crescita non sarebbe in grado di ripianare il debito. Ne conseguirebbe un basso tasso di occupazione e quindi una crisi economica reale. Per cui quando leggiamo o sentiamo i cosiddetti "masticatori del nulla" che blaterano di ripresa, ripresina con tanto di ancoraggio temporale vien da chiedersi se si ha a che fare con persone prese da ebbrezza fideistica o da persone che, a bella posta, cercano di nascondere una realtà molto seria e preoccupante. Scambiare certe riprese di carattere congiunturale e per questo ineluttabilmente limitate nel tempo come segnali, tendenze che il capitalismo si avvia a una nuova fase di duratura espansione vuol semplicemente dire che della realtà che ci circonda s'è capito proprio poco.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.