Ottant'anni fa l'assassinio di Matteotti - Ma il mandante fu il petrolio

Nel celebre inizio di "Stato e rivoluzione", Lenin dice che i rivoluzionari, dopo la morte, spesso vengono trasformati in santini inoffensivi - pillole soporifere da somministrare agli sfruttati per addormentarne le coscienze - da quello stesso potere che, da vivi, li aveva ripagati con calunnie e persecuzioni.

Qualche volta accade lo stesso ad alcune figure del movimento operaio, che, pur militando tra le file del riformismo, per onestà, disinteresse e attaccamento alla causa del proletariato, sono infinitamente superiori a chi le commemora e pretende di interpretarne l'insegnamento. È il caso di Giacomo Matteotti, di cui ricorre l'ottantesimo della morte.

Come tutti sanno, Matteotti era uno degli esponenti più in vista di quel socialismo riformista sul quale in buona parte ricade la gravissima responsabilità di aver arginato l'ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra, permettendo in tal modo alla borghesia di riprendersi dallo spavento, di riorganizzarsi e di passare al contrattacco col fascismo. Tuttavia, ad onore personale di Matteotti vanno ascritti un'intransigente opposizione classista al primo macello imperialista - anche in netta polemica coi "padri storici" del riformismo, che, specialmente dopo Caporetto, chiamavano alla difesa della patria - e un'altrettanto radicale opposizione al fascismo, correttamente individuato come originale strumento di una borghesia che, per difendere i propri privilegi di classe, non esitava a combinare l'uso della violenza statale con quello formalmente extra-statale degli assassini in camicia nera. Anzi, la sua battaglia contro la gentaglia al servizio degli agrari era così determinata, che non solo gli attirò ripetute aggressioni e bastonature, ma, poco prima di morire, lo spinse a criticare aspramente il mortifero e codardo legalitarismo del suo partito (il PSU), che diffondeva a piene mani il veleno della passività e della rassegnazione. Con questo, non vogliamo dire che stesse passando al comunismo, ma solo che le sue critiche tendevano a rivedere seriamente la strategia e la tattica del movimento socialista nel suo insieme.

È certo, invece, che Mussolini volle eliminare uno dei suoi più accaniti avversari, che, per di più, forte delle sue competenze giuridico-finanziarie, aveva documentato cifre alla mano come il salvataggio di banche e grandi imprese, la privatizzazione delle assicurazioni sulla vita, dei telefoni, di certe reti ferroviarie, l'abolizione della sovrattassa sui profitti di guerra ecc., andassero di pari passo con la voragine nei conti pubblici (spacciata per pareggio), nonché, soprattutto, con il forte immiserimento dei salari operai e con l'aumento della tassazione per il lavoro dipendente. Insomma, tutte cose che, nella sostanza, hanno fatto, fanno e faranno i politici, di qualsiasi schieramento, presenti alle cerimonie ufficiali di commemorazione del martire socialista trasmesse in televisione.

Per molto tempo si è ritenuto che Mussolini avesse ordinato di far sparire Matteotti solo per chiudere la bocca a chi denunciava le violenze sistematiche delle camicie nere durante le elezioni della primavera del 1924, che avevano dato la maggioranza assoluta ai fascisti. Da qualche anno, però, alcuni storici, dopo approfondite ricerche, danno per buona la tesi, che circolava già allora, ma dai più considerata poco credibile per la mancanza di documenti specifici che il risultato elettorale era stato falsato da numerosi brogli. Anche Bordiga, nel suo rapporto al V congresso della III Internazionale, avanzava dubbi - legittimamente, vista l'assenza, allora, di riscontri significativi - sull'attendibilità della cosa. In sostanza, Matteotti stava per mettere in piazza i panni sporchissimi del "duce del fascismo" e di alcuni altri figuri a lui molto vicini. Pare proprio che il deputato socialista avesse le prove della vendita sottobanco, a prezzi vergognosamente stracciati, di ingenti quantità di materiale bellico a un noto squadrista, che poi l'avrebbe rivenduto all'estero realizzando guadagni favolosi: si parlava di un milione e mezzo di lire dell'epoca! Lo squadrista era Dumini, il capo della banda che il 10 giugno del '24 rapì e assassinò Matteotti, e che, per inciso, tre anni prima aveva rapito Onorato Damen - fondatore del nostro partito - nel tentativo, fallito, di costringerlo al ritiro dalla lotta rivoluzionaria. Ma queste losche transazioni erano noccioline rispetto all'altro ben più esplosivo "conflitto di interessi", che vedeva coinvolto in prima persona Mussolini. Infatti, la Standard Oil (in italiano ESSO), attraverso la sua controllata Sinclair Oil, manovrava con il solito sistema delle mazzette affinché il "Duce" le concedesse l'esclusiva per le ricerche petrolifere in Italia e, per questa via, anche il controllo del mercato italiano degli idrocarburi. Era, come si intuisce facilmente, una torta enorme, di cui una fetta discreta andava a Mussolini e, a scalare, un po' di briciole ai suoi degni scagnozzi.

Insomma, nella tragica vicenda di Matteotti c'erano già gli elementi fondamentali di un copione destinato ad essere recitato molte volte nei decenni successivi, in particolare in questi ultimi anni, un copione che vede nel petrolio il deus ex machina della situazione, il bandolo per sbrogliare un'intricata matassa.

L'assassinio del deputato socialista sancì dunque un'amicizia di ferro tra il fascismo e la "grande democrazia" statunitense, amicizia che durò fino alle soglie della seconda guerra mondiale, quando, per una serie di vicende, l'imperialismo straccione italiano si trovò schierato sull'altro fronte. Allora, Mussolini si trasformò in oppressore del suo popolo e agli americani toccò di riportare la democrazia, spianandole la strada coi bombardamenti dei rioni popolari delle grandi città come accaduto poi a Panama, Belgrado, Kabul, Baghdad...

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.