Elezioni in Germania: non è cambiato proprio niente?

La tornata elettorale boccia la coalizione di governo ma anche i programmi della CDU

La tornata elettorale suppletiva svoltasi a Dresda ha modificato quasi niente l'esito del 18 settembre scorso. La CDU-CSU ha il 35,2%, la SPD di Schroeder si attesta sul 34,3%, ai Verdi l'8,1%, i liberali della FDP al 9,8% e il raggruppamento di Lafontaine all'8,7%. Da una prima lettura e considerato quanto i media e i sondaggisti davano già per scontato emerge che i "vincitori" della CDU hanno perso e gli "sconfitti" della SPD hanno contenuto i danni. La situazione postelettorale mostra tuttavia una realtà politica segnata da una certa impasse dato che, sostanzialmente, i due maggiori partiti sono alla pari e che, almeno a dar credito alle loro dichiarazioni, non scenderanno mai a patti col "sovversivo" Lafontaine. Si avanzano pertanto varie ipotesi di governo che vanno dalla Grosse Coalition (CDU-SPD) alla Ampelcoalition (SPD-Verdi-Liberali) o alla Jamaikacoalition (CDU-FDP-Verdi). Come è facilmente ravvisabile non viene neanche escluso il ricorso, a breve-medio termine, a nuove elezioni qualora queste ipotesi risultassero non percorribili. Sul perché gli esiti elettorali si siano presi la briga di mortificare proiezioni/speranze dei sondaggisti, per lo più incaricati da giornali conservatori quali lo Spiegel, Zeit o Stern, c'è da mettere a fuoco soprattutto quanto avvenuto in particolar modo a ridosso delle elezioni.

Un dato di fatto inoppugnabile è che il crescente disagio sociale di lavoratori, disoccupati, giovani, pensionati si è manifestato, a mò di riflesso di difesa, penalizzando il programma politico della Merkel (CDU) improntato ad un ultraliberalismo economico, teorizzato dal guru Paul Kirchhof, con cui imporre alla Germania strette e austerità ancor maggiori di quelle ascrivibili a Schroeder. È questo il motivo per cui la CDU non ha vinto e la SPD è stata ridimensionata con una perdita secca del 4,3%. D'altra parte questo campione di socialdemocraticismo prag-matico è colui che teorizza come l'economia non possa essere né di destra né di sinistra, facendola assurgere a categoria metafisica, e che a capo di un governo rosso-verde ha inanellato tutta una serie di prodezze, di senso smac-catamente antioperaio, sintetizzate al meglio dall'Agenda 2010 e dalla riforma Hartz IV. Con la prima si accentuavano ancor di più le concessioni fatte agli imprenditori: si riduceva il costo del lavoro del 15%, gli orari di lavoro venivano prolungati a 45 o 50 ore, si induceva praticamente il 30% della forza-lavoro verso il precariato. Si era, c'è da aggiungere, già provveduto a tagliare dell'8% l'aliquota massima e del 15% l'imposta sulle società di capitali, regalando centinaia di miliardi alle aziende più importanti. In quanto le pressioni degli industriali si facevano più pressanti e intanto che da parte sindacale esisteva una certa cointeressenza, ben simboleggiata dai cosiddetti "baroni dei CdF", ci si apprestava a varare il famoso Hartz IV, una riforma grazie alla quale i disoccupati diventavano "percettori di elemosine" e chi non aveva un lavoro da più di un anno era tenuto ad accettare un salario di 1 euro all'ora. Paradossale ma non tanto è che questa riforma prende il nome di un ex-sindacalista diventato poi dirigente (ma guarda un po'!!!) della Volkswagen previa indicazione della IG Metall (l'equivalente del nostro sindacato metalmeccanici). Su un organo di stampa sindacale il presidente della IG Metall poneva in risalto il malumore della base e stigmatizzava i tagli imposti da Agenda 2010 e, in conseguenza di ciò, il fatto che a sinistra si sarebbe aperto un vuoto poi prontamente colmato dalla "Linkspartei" di Lafontaine. È proprio la rapidità con cui tutto ciò è avvenuto che mostra quanto fosse montata la rabbia dei lavoratori. Ha giocato, sì, il timore verso i programmi ultraliberisti della Merkel, il che ha consentito a Schroeder, che con resipi-scenza finemente studiata ha ridato dignità a tematiche quali la giustizia sociale, un certo ricompat-tamento; ma ciò nonostante è emerso a galla un malcontento verso il partito del cancelliere che aveva già avuto modo di manifestarsi con una consistente dimi-nuizione degli iscritti e con la perdita di sette Laender. D'altro canto a fronte della riduzione del costo del lavoro, delle privatizzazioni delle poste, ferrovie e telefoni, della deregulation a tutto andare, ossia liberando risorse che, a detta dei padroni, avrebbero dato luogo a nuovi investimenti con ricadute positive sul mondo del lavoro, il tasso di disoccupazione (dato del 2004) è di 5 milioni di persone con una incidenza del 12% sulla popolazione attiva. Dato che si innalza al 30% per i Laender dell'est dove abbandono e miseria soprattutto giovanile la fanno da padroni. Una radicalizzazione, sebbene ancora sotto traccia, era da mettere in conto e di questo ha approfittato un politico scaltro come Lafontaine che è stato un po' l'artefice della cosiddetta "Linke", un'alleanza socialdemocratica di sinistra formata dal PDS (partito del socialismo democratico) presente soprattutto ad est e dalla WASG (alternativa per il lavoro e la giustizia sociale) nelle cui fila troviamo per lo più sindacalisti e socialdemocratici di sinistra. Questo raggruppamento cerca una sua visibilità che gli possa consentire di cogestire il potere e persegue a tale scopo una "economia sociale di mercato" recuperando quel che resta del cosiddetto "capitalismo renano". Al di là delle formulazioni fumose e fuorvianti resta il progetto di preservare la struttura capitalistica accentuando il ruolo dello stato nell'economia ma soprattutto tenere legati alla prospettiva riformistica i lavoratori sempre più delusi e arrabbiati. È tanto vera e autentica questa loro natura profondamente borghese che laddove sono al governo, insieme alla SPD, come a Berlino o nel Mecklemburg non si fanno scrupoli a chiudere asili o centri sociali o a privatizzarli e ad istigare, con intenti chiaramente razzisti ed a fini elettorali, contro gli immigrati o i nomadi.

La situazione, come si può evincere, presenta dei dati interessanti in quanto come già avvenuto in altre parti anche in Germania il proletariato tedesco non ci tiene più a rimanere fidelizzato, a firmare cambiali in bianco. Per adesso muove mozioni di sfiducia poi potrebbe anche mettere tutto in discussione ed è in una prospettiva di tal genere che risulta sempre più impellente la ricostruzione del partito di classe.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.