Rigori e tagli, ma per i proletari

Una sola ricetta per destra e sinistra: colpire il mondo del lavoro

Dopo aver fatto la sua parte nell’allargare i buchi dei conti pubblici, la banda Berlusconi ha ceduto il testimone alla banda Prodi, la quale ha subito alzato il vessillo del rigore amministrativo. Scomparso il famoso attivo primario (da + 5% a - 0,5, al netto degli interessi per il debito che è vicino al 109% del Pil), aumentano gli esborsi per il servizio del debito stesso dopo gli ultimi rialzi del tasso di interesse di riferimento disposti dalla Bce nel tentativo, si dice, di frenare l’inflazione. Il famoso metodo-colabrodo Gordon Brown (taglio del 2% sulle spese di ministeri ed enti pubblici) applicato dal mago Tremonti, è miseramente fallito. Fra tetti fasulli, condoni edilizi e fiscali, finanza creativa, ecc., l’ultima finanziaria del centro destra ha scavato altri buchi per qualche migliaio di milioni di euro, dando modo a Prodi di dichiarare solennemente che ora, per forza di cose, occorre severità. Un po’ di fumo per la pubblica opinione (vi ricordate? auto blu dello staff ministeriale da “usare in modo sobrio e non ostentato, con scorte più snelle”....) e via libera ai soliti tagli, ovvero “una oculata gestione delle risorse”. Si comincia con la solita riforma del mercato del lavoro - la forza-lavoro come merce è la base del capitalismo - ovvero una sua ristrutturazione che “protegga il lavoratore ma non il posto di lavoro”. Massima flessibilità, con qualche piccola variante al Libro Bianco di Biagi nel tentativo di rendere più digeribile il rospo. Convincendo i proletari che esiste una “flessibilità buona”, necessaria per favorire la continua innovazione tecnologica (questo è il pensiero di... “sinistra”, vedi Treu e Mussi) e rilanciare la competitività, con qualche sussidio di carità strappato alle “eccessive garanzie” di chi ha ancora il privilegio di un lavoro fisso. Si faccia giustizia sociale dividendo svantaggi e “vantaggi” fra tutti i proletari: per chi non l’avesse ben capito, la “continuità dei rapporti di lavoro non significa garantire il posto fisso, obiettivo impossibile, ma sostenere il lavoro che c’è: prioritario è il ricreare quella coesione sociale necessaria a ridare fiducia al Paese”. Dopo tutto, se si vuole garantire ai lavoratori il “diritto” alle assenze per malattia, permessi e ferie (oltre che seguire il capitale nelle esigenze delle produzioni temporanee, stagionali, cicliche, di picco, ecc.), anche per la...”sinistra” la flessibilità diventa inevitabile. Insomma, di fronte a “cause specifiche”, chi oserebbe dire no al capitale e ai suoi “bisogni”?

Il problema è che anche il solo sfiorare rendite, evasioni fiscali, guadagni dalle bolle immobiliari, profitti e consumi di lusso, insomma ridistribuire il cosiddetto reddito per rendere “meno criminale, più giusto e umano” il capitalismo, significherebbe pur sempre togliere qualcosa a chi possiede e gode. A chi maneggia non soltanto ricchezza ma anche tutti gli strumenti per tagliare le mani a chi tanto osasse!

Dal cilindro non si possono estrarre che coniglietti di pezza e segatura, come la riduzione del cuneo fiscale con sgravi contributivi alle imprese e agli operai. Un costo, fino al 2009, di 11,54 miliardi di euro: di questi, 7 mld entreranno nelle casse delle imprese mentre il resto dovrebbe andare nelle buste paga degli operai, dalle quali finirà poi risucchiato in un modo o nell’altro (inflazione, tasse comunali e regionali, eccetera). Procede intanto l’operazione elemosina per le future pensioni: dopo aver rinchiuso certe “finestre” d’uscita, altro non rimane che far lavorare più a lungo gli anziani. La vita attiva fa bene alla salute! alla faccia delle innovazioni tecnologiche, della information technology che anziché diminuire il tempo di lavoro per tutti costringerebbe gli anziani a consumarsi in fabbrica (dove oltretutto gli imprenditori non li vogliono) e i giovani a rincorrere precarietà e flessibilità senza più alcun futuro. Quanto al trasferimento al carrozzone Inps di parte dei flussi del Tfr, si tratta di un prestito forzoso, da “finanza creativa”, che i lavoratori farebbero allo Stato invece che alle imprese. Queste, da parte loro, si dovrebbero impegnare in una ripresa del manifatturiero, quello evoluto, con alta produttività, tecnologia e... riduzione della mano d’opera.

Qualcuno invoca dal governo “il coraggio di stupire”; altri inneggiano al dimesso Re Silvio, che in fondo avrebbe dato ordine all’azienda Italia. Tant’è che il “reddito” del lavoro dipendente - nel 2004, in attesa di altri dati - figura al 40,7% del Pil, mentre la consistenza del totale delle attività finanziarie nazionali ha toccato nel medesimo anno i 9.600 miliardi di euro (7,1 volte il Pil). Al 15,3% del Pil ammonta il reddito per imprese e libere professioni, che denunciano redditi inferiori ai lavoratori o addirittura ai pensionati. (Dati Banca d’Italia). È così che si remunerano i cosiddetti fattori di produzione (lavoro, capitale e rendita) del dominante capitalismo. Dopo gli allarmi lanciati dal nuovo governatore della Banca d’Italia (una “deriva catastrofica” se si avverasse la previsione di un deficit pubblico al 12% del Pil entro il 2050), la “sinistra” fa finta di rompere le “incrostazioni corporative”: non certo quelle delle libere professioni ma quelle (?) dei proletari che si intestardirebbero nella “difesa del loro passato” o vorrebbero adagiarsi sugli ammortizzatori sociali e sulla previdenza pur di “lavorare il meno possibile...”. Altro che crescita, risanamento ed equità.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.