La crisi fra Russia e Georgia si acuisce - 1a parte

Il vento dell’est porta solo guerra

Radici dell'indipendentismo in Ossezia del Sud e Abkhazia

Le ragioni apparenti degli attriti, che non hanno mai permesso a Russia e Georgia di intrattenere relazioni particolarmente buone, sembrerebbero risiedere nel separatismo dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, due regioni georgiane tradizionalmente legate alla Russia. Come vedremo in seguito, altre ragioni - soprattutto il controllo delle riserve energetiche del bacino del Caspio, nonché delle reti di trasporto e delle rendite collegate - sono invece alla radice dei problemi.

Proprio nelle due regioni citate la situazione, già critica, rischia di aggravarsi. In Ossezia del Sud il 12 novembre si è tenuto, contemporaneamente alle elezioni presidenziali, un referendum per sancire l’indipendenza della regione dal governo di Tbilisi. Il referendum, non riconosciuto a livello internazionale, al pari di uno analogo organizzato nel 1992, ha visto il 99% dei votanti favorevoli alla secessione e la conferma di Eduard Kokoiti come presidente dell’auto-proclamata repubblica. (1)

In Abkhazia, invece, l’indipendenza è stata rivendicata il 6 dicembre a Sukhumi, con una manifestazione di 35 mila persone. Lo stesso giorno la camera bassa del parlamento russo, in due pronunciamenti separati, ha sostenuto la necessità di tener conto delle richieste di indipendenza in Abkhazia, così come del referendum in Ossezia del Sud. (2)

Il ministro degli esteri georgiano, Gela Bezhuashvili, aveva già in precedenza ammonito la Duma che ciò sarebbe stato “un errore molto grave”, ma il presidente della Commissione Parlamentare per la Difesa e la Sicurezza, Givi Targamadze, è arrivato a dichiarare in tv:

Tener conto della questione o prendere decisioni su di essa sono due cose diverse. Possiamo dire apertamente che se le autorità russe prenderanno tali decisioni, ciò sarà considerato dalla Georgia come una dichiarazione di guerra. (3)

Sia l’Abkhazia che l’Ossezia del Sud - assieme all’enclave musulmana dell’Ajaria, dove tuttora è presente una base militare russa - avevano reclamato la propria autonomia già negli anni immediatamente successivi alla disintegrazione dell’Unione Sovietica, in una sanguinosa stagione di conflitti etnici (quando tra l’altro fece la sua prima apparizione sulla scena il famigerato Basayev, allora a fianco dei paramilitari russi). Con 25-30 mila morti e 250 mila rifugiati (in un paese di 4,5 milioni di abitanti), la situazione si è placata solo quando il dispiegamento di truppe russe, intervenute sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha imposto un ordine più congeniale a Mosca. (4)

Diversi commentatori sostengono che per chiarire l’evoluzione delle vicende nel Caucaso bisogna osservare ciò che succede in Kosovo. (5)

La sua eventuale indipendenza costituirebbe infatti un precedente internazionale contro il principio della non ingerenza, prevalso finora e che, ad esempio, fu invocato dalla Russia per mettere a tacere le critiche per i metodi adottati contro i ribelli ceceni. Il fatto che Putin, nonostante i legami con la Serbia, possa acconsentire all’indipendenza del Kosovo, per far valere poi gli stessi principi nelle dispute con la Georgia, non deve tuttavia essere sopravvalutato: gli interessi in gioco nel Caucaso sono enormi e i giocatori sono tutti disposti a farsi beffe della cosiddetta “legalità internazionale”.

La “Rivoluzione delle Rose”

La situazione è peggiorata repentinamente nel 2003, quando la Rivoluzione delle Rose ha sostituito il debole e corrotto governo di Shevarnadze con quello dell’ultra-nazionalista Saakashvili, un cambio di regime preparato e foraggiato soprattutto dagli Stati Uniti, che per l’occasione avevano trasferito a Tbilisi anche Richard Miles, già ambasciatore a Belgrado all’epoca delle manifestazioni di piazza che avevano portato alla destituzione di Milosevich.

Negli anni seguenti il fiume di finanziamenti USA è rimasto in piena. Ai 130 milioni del biennio 2004-2005 si sono sommati i 30 milioni del 2006, come “aiuti alla sicurezza”. Altri 295,3 milioni di dollari sono stati ottenuti dalla Georgia nel quadro del Millennium Challenge Corporation, un programma di sostegno ai “paesi emergenti che dimostrano una capacità di efficace governo”. Naturalmente i finanziamenti “meno ortodossi” rendono gli aiuti complessivi difficilmente quantificabili, ma secondo alcuni addirittura superiori al miliardo di dollari. (6)

Ciò ha avuto un grosso impatto sulla Georgia, un paese con un pil stimato attorno ai 6,4 miliardi di dollari nel 2005 e il 54% della popolazione che, secondo le statistiche del 2001, vive sotto la soglia di povertà. (7)

Ciò soprattutto ha permesso al governo di Saakashvili di ammodernare e potenziare le forze armate, aumentando in questi anni le spese militari del 143%, e di usare toni piuttosto minacciosi nei confronti della Russia, impensabili senza il sostegno degli stati Uniti. (8)

Guerre commerciali

Nel corso del 2006 gli eventi hanno subito una ulteriore accelerazione. Già in gennaio si erano avute le prime avvisaglie, con il sabotaggio del gasdotto Mozdok-Tbilisi e di un elettrodotto nelle vicinanze. Il risultato è stato particolarmente severo per i georgiani, che si sono trovati senza riscaldamento ed energia proprio nei giorni più freddi. Del sabotaggio Russia e Georgia si accusano tuttora a vicenda.

In marzo, poi, la Russia ha imposto l’embargo sui vini georgiani, formalmente per la presenza di pesticidi e metalli pesanti. L’impatto sull’economia della repubblica caucasica è stato significativo, dato che la Russia ha sempre rappresentato un mercato privilegiato per i vini georgiani, assorbendo l’80% dell’intera produzione. A questa “guerra del vino” è seguita quella delle acque minerali, un’altra voce importante dell’export georgiano, e poi l’embargo su numerosi prodotti agricoli.

La Georgia, dal canto suo, sta tentando di ritorcere a sfavore della Russia le sue stesse iniziative, esprimendo un voto negativo sull’ingresso della Russia nel WTO (Organizzazione Mondiale del commercio), proprio quando sembrava superato lo scoglio principale, ossia il veto USA. Il 21 novembre Tbilisi ha reso noto che, in cambio di un voto favorevole, pretende il controllo del checkpoint Adleri-Leselidze tra Russia e Abkhazia, e del tunnel Roki tra Russia e Ossezia del Sud. Condizioni ovviamente inaccettabili per Mosca. (9)

La gola del Kodori

Il 25 luglio l’intervento di forze armate georgiane nella gola del Kodori, un’enclave abitata da svaneti in Abkhazia, ha reso ancora più tese le relazioni. I reparti georgiani, equipaggiati di mezzi militari d’ogni tipo, sono stati fatti passare per forze di polizia, in modo da non violare formalmente il cessate il fuoco in vigore nella regione. Negli scontri a fuoco, durati diversi giorni, ci sono stati parecchi feriti e un morto tra i civili. Sia il governo dell’Abkhazia che la Russia hanno protestato vivacemente e pretendono il ritiro senza condizioni delle forze di Tbilisi.

La “crisi delle spie”

Infine, l’escalation più evidente e preoccupante si è avuta quando, il 27 settembre, la polizia georgiana ha arrestato 4 ufficiali russi con l’accusa di spionaggio. La durezza della reazione di Mosca ha superato probabilmente le attese del governo georgiano: tutto il personale diplomatico è stato richiamato in patria e le truppe di stanza nella regione sono state poste in stato di massima allerta, con l’ordine di sparare a vista. Il rischio di un confronto militare è rimasto alto per diversi giorni, ma alla fine le minacce russe e le imponenti esercitazioni - della 136a brigata a Buynakskiy in Daghestan, e della flotta nel Mar Nero, proprio a ridosso della costa georgiana - sono bastate a riportare a più miti consigli il governo georgiano.

Nonostante il rilascio quasi immediato delle presunte spie, tuttavia la Russia ha mantenuto il blocco delle frontiere e di tutti i collegamenti, compresi quelli postali. La Georgia è rimasta quindi priva delle importanti rimesse dei lavoratori emigrati in Russia, che secondo alcuni varrebbero da sole fino al 20% dell’intero pil georgiano. (10)

A ciò sono seguiti la deportazione e il rimpatrio di centinaia di georgiani, residenti più o meno legalmente in Russia, e la chiusura di numerosi ristoranti e altre attività commerciali appartenenti a georgiani, per varie violazioni della legge. Anche lavoratori di etnia georgiana ma con regolare passaporto russo hanno riferito di essere stati fermati ripetutamente e trattenuti per estenuanti controlli. Sembra che addirittura alle scuole fosse stato chiesto di elencare gli studenti con un cognome dal suono georgiano, per sottoporre i genitori a controllo. In Russia risiedono circa un milione di georgiani, di cui 197.934 con cittadinanza russa, secondo il censimento del 2002. Per molti di loro si preparano tempi molto duri. Purtroppo non si intravede un destino migliore per tutto il proletariato della zona, visto che le tensioni non sono affatto risolte, ma anzi si acuiscono.

Continua sul prossimo numero: leftcom.org .

Mic

(1) M. Corso, E. Owen, “Georgia's South Ossetia: one unrecognized state, two unrecognized governments”, eurasianet.org .

(2) “Thousands rally for Abkhazia's indipendence”, rferl.org .

(3) Givi Targamadze: “Russia paved way for declaring war on Georgia”, regnum.ru .

(4) “Georgian-Abkhaz conflict”, en.wikipedia.org .

(5) P. Moore, “Kosovo: a precedent for frozen conlicts?” rferl.org .

(6) E. Piovesana, “La Georgia nel grande gioco”, peacereporter.net .

(7) “World Factsheet - Georgia”, cia.gov .

(8) Maurizio Blondet, “Georgia e casinò: Putin sempre più cattivo”, effedieffe.com .

(9) “Georgia: Premier outlines Tbilisi's stance on Russian WTO entry”, rferl.org .

(10) V. Yasmann, “Georgia: Moscow's Next Step In Spy Row”, rferl.org .

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.