Sul corteo di Roma per la Palestina

Il 18 novembre scorso la manifestazione per la pace in Palestina ha visto a Roma la partecipazione di 20 mila persone (per gli organizzatori). Hanno aderito al corteo molte sigle, dai partiti di maggioranza Rifondazione e Comunisti Italiani , al Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori di Ferrando, ai centri sociali del Nordest, ai Cobas.

Gli strascichi polemici seguiti alla manifestazione sono stati provocati sia da episodi come i soliti slogan “10, 100, 1000 Nassirya” - e dall’incendio di tre fantocci raffiguranti un soldato americano, uno israeliano e uno italiano - sia dalla partecipazione di Diliberto e altri esponenti dell’Unione. Fassino ha definito gli autori degli slogan teppisti e imbecilli, Bertinotti ha parlato di frasi orribili e Prodi ha invitato la sponda sinistra del suo schieramento a smetterla di “giocare con la piazza”.

Qualche commento ci sentiamo di farlo anche noi. Sugli slogan c’è poco da dire se non che rappresentano l’aspetto folkloristico del problema. Non siamo ovviamente tra chi versa ipocrite lacrime sui caduti per la patria, e oltretutto non nutriamo molta simpatia verso chi difende l’ordine borghese col mitra in mano, che lo faccia qui da noi o in Irak. Ma non è questo il punto. Il punto è che più che gioire per soldati che muoiono in guerra (anche se carabinieri) bisognerebbe essere avviliti e incazzati per ogni goccia di sangue proletario versata in Iraq come in Palestina o in qualsiasi altra parte del mondo.

Invece, il cancro nazionalista è così ben radicato anche in ambienti che si autoproclamano internazionalisti, che si preferisce tifare per questo o quel fronte, e bruciare fantocci. Certo, a chi non stanno antipatici i governi USA o israeliano? Ma di fronte all’arroganza e alle nefandezze di tali governi, che prospettive bisogna dare ai proletari: quelle di continuare a massacrarsi a vicenda per gli interessi della loro borghesia nazionale o di unirsi in un fronte unico contro la borghesia di qualsiasi nazione?

Dal nostro punto di vista, l’alternativa alla brutalità sionista in Palestina non è sostituirla con la simmetrica brutalità della borghesia palestinese. Perché di brutalità e di sfruttamento si tratta: prima sotto Arafat, e ora sotto Hamas, le condizioni dei proletari palestinesi non sono certo cambiate. Il novecento, conclusosi da pochi anni, ha ampiamente dimostrato che l’interesse nazionale e l’interesse di classe vanno a cozzare tra di loro, e che non è assolutamente vero che la liberazione della patria dallo straniero può essere una prima tappa nel cammino verso l’emancipazione del proletariato, come hanno voluto spacciare per vero (e per marxista) stalinisti e compagnia cantante. In genere, nella speranza che fosse così, il proletariato finiva per allearsi con la borghesia “di casa sua”, dando la priorità alla cacciata dell’invasore, per poi inchinarsi a liberazione avvenuta alle logiche della democrazia borghese e della collaborazione fra le classi.

Di certo, slogan e prassi come quelle del corteo romano si prestano molto a reazioni di tipo moralistico ed era inevitabile che anche stavolta fosse così. Colpisce però l’ipocrisia di chi ad aprile candida tra le sue file uno dei rappresentanti delle stesse frange stigmatizzate, da destra e da sinistra, come violente, teppiste, ecc. e poi ogni qual volta il gioco gli si rivolge contro, fa finta di lavarsene le mani come Pilato. Quando si tratta di raccogliere voti, tutto fa brodo, e si finisce addirittura per fare la corte agli “estremisti”. Quando però, convinto di averli intruppati e imbavagliati vedi che ti si rivoltano contro, li scarichi. Conclusione: un corteo numeroso ma politicamente inconsistente e un’opposizione che accusa un governo imbarazzatissimo e sempre più attraversato da contrasti. Come si suol dire: il più pulito ha la rogna...

ib

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.