Condizioni e lotte operaie nel mondo

Asia

I quasi 2000 lavoratori che si occupano della costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità nel sud dello Sri Lanka hanno scioperato alla fine di marzo per più di dieci giorni; la loro protesta vuole ottenere un aumento salariale, una maggiore sicurezza sul lavoro e la riassunzione di 100 lavoratori licenziati senza giusta causa.

L’azienda che gestisce il grande progetto ha rifiutato ogni colloquio per contrattare coi dipendenti e per reprimere la protesta li ha invece minacciati duramente, sostituendoli con lavoratori in nero e arrivando a intimare il licenziamento di 600 persone.

In Cambogia gli operai di una fabbrica di abbigliamento di proprietà di una ditta di Hong Kong hanno iniziato a scioperare in gennaio per migliori condizioni di vita, gli esponenti più combattivi erano stati licenziati, e i compagni di lavoro continuano la protesta anche in loro solidarietà.

Romania

È stato proclamato uno sciopero illimitato alla Dacia, primo produttore automobilistico della Romania, acquisito dalla Renault nel ’99; i 130.000 operai lamentano condizioni di vita misere, e pretendono un aumento salariale.

La Romania è uno dei paesi in cui sono avvenute negli anni scorsi le più imponenti delocalizzazioni industriali, grazie al costo del lavoro che è uno dei più bassi d’Europa (i salari medi si aggirano ora attorno ai 150 euro mensili), ma l’azienda fa valere il fatto che i lavoratori della Dacia godono, rispetto agli altri, di condizioni favorevoli (pasto in mensa, vacanze pagate) e sta già minacciando i lavoratori di trasferire la produzione in paesi come l’India o il Marocco dove i salari sono ancora più bassi.

Ma per ora gli operai non intendono abbandonare la loro lotta, finchè non otterranno un aumento salariale del 50%. Le tensioni in Romania sono però probabilmente destinate ad aumentare, nonostante la disoccupazione ufficiale sia molto bassa, infatti, i salari non permettono di sopravvivere e le condizioni di lavoro peggiorano continuamente. Il proletariato è dunque costretto sempre più ad emigrare e sembra che ad oggi circa il 10% della popolazione sia fuggita in altri paesi.

Bolivia

L’esercito boliviano ha tentato di respingere la popolazione che minacciava di occupare gli stabilimenti della compagnia Transredes, filiale boliviana del gruppo Shell, e quelli dell’Ashmore Energy Internatinal, per spingere il governo verso una reale nazionalizzazione del settore degli idrocarburi. Gli scontri hanno avuto luogo nei pressi del giacimento di gas della città di Camiri nel sud est del paese.

Secondo le fonti dell’ospedale di Camiri e del municipio i feriti sarebbero stati una decina.

Gli abitanti di Camiri, storica capitale petrolifera boliviana, hanno quindi cercato di impadronirsi delle installazioni di gas della Transeredes.

Il loro obiettivo era spingere il governo socialista di evo Morales a indirizzare verso la loro città le rendite dovute all’estrazione del petrolio anche al fine di allargare gli impianti esistenti.

Già il 29 gennaio 200 la città di Camiri era stata oggetto di un blocco stradale che ne aveva impedito ogni collegamento con i vicini Paraguay e Argentina.

La stessa capitale provinciale, Santa Cruz, fu colpita da questo blocco dei rifornimenti e già in quel caso l’obiettivo dei manifestanti era una più seria nazionalizzazione del settore energetico.

il presidente Morales ha fissato nel trenta aprile la data ultima che dovrebbe portare alla rinazionalizzazione delle filiali boliviane della British Petroleum (BP), della Repsol YPF (REP.MC) e dell’Ashmore Energy.

Se da un lato queste sollevazioni di popolo ci fanno vedere come vaste fette del proletariato sud americano si mobilitino per riappropriarsi delle risorse del paese, dall’altro resta comunque un movimento interclassista che con l’abbaglio della nazionalizzazione fa solo il gioco della borghesia nazionale boliviana. Il governo Morales, come del resto molti altri governi dell’America latina, sta giocando la carta populista delle nazionalizzazioni per dare un appoggio di massa alla politica di indipendenza della borghesia nazionale dal sempre più gravoso giogo statunitense.

Nazionalizzare non significa dare il controllo dell’economia ai lavoratori, ma allo Stato della borghesia ed in ultima istanza sostituire il padrone privato (e magari straniero) con quello pubblico, ma sempre di padroni si tratta.

Turchia

Negli ultimi sette mesi il bilancio nel porto di Istanbul è estremamente grave: 18 operai morti sul lavoro, una strage.

I portuali turchi proseguono negli scioperi contro le continue morti sul lavoro: chiedono più sicurezza. Già nei primi giorni di sciopero si sono susseguiti diversi scontri con la polizia a cui hanno fatto seguito più di 80 arresti.

Gli scioperanti sono stati rilasciati ma la tensione non è diminuita.

La richiesta minima che viene fatta dai sindacati è quella di applicare la legge sui lavori pesanti e pericolosi e che quindi i portuali non lavorino più di sette ore e mezzo al giorno. La richiesta si è poi estesa alla necessità di ambienti a norma e al rispetto delle pause previste. Tutto questo in un contesto di estrema repressione in cui è estremamente difficile per i lavoratori e anche per i sindacati più combattivi riuscire ad organizzarsi e lottare.

Ju

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.