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Home ›La crisi economica è strutturale, è profonda ed è mondiale
Se non si ferma il capitale non si ferma neppure la barbarie
Quando è scoppiata la crisi dei subprime, pur essendo certi che non si trattava di una semplice bolla di sapone ma di qualcosa di ben più devastante, non immaginavamo che essa potesse precipitare nel volgere di così poco tempo.
Poche settimane fa le autorità monetarie statunitensi, prendendo una decisione senza precedenti, hanno prestato, a un tasso prossimo allo zero, alla banca Morgan Chase una valanga di dollari per consentirle di acquistare, a prezzi d’occasione, la Bear Stearn, una delle più grandi banche d’investimenti americane, ormai sull’orlo del fallimento.
Trattandosi di un banca d’affari quotata in borsa, con azioni possedute dai maggiori investitori istituzionali (Fondi pensione, altre grandi banche, Fondi comuni d’Investimento ecc.), c’era, infatti, il rischio che il suo fallimento innescasse una reazione a catena che avrebbe potuto trascinare nel baratro l’intero sistema finanziario americano e con esso anche buona parte di quello mondiale. Timore tutt’altro che infondato visto che la crisi dei mutui ha già da tempo raggiunto le sponde dell’Atlantico e, dall’altro lato, l’estremo Oriente e, prima fra tutti, la Cina ovvero il maggiore detentore di titoli del debito pubblico statunitense nonché il maggior esportatore mondiale di merci negli Usa.
In Gran Bretagna l’intervento dello Stato si è già reso necessario per salvare una banca, la Northern Rock, dal fallimento a causa delle perdite subite sul mercato dei crediti immobiliari statunitense.
Recentemente la banca Svizzera Ubs ha ufficializzato, per la stessa ragione, perdite per 11,4 miliardi di euro e la tedesca Bayern Landesbank 4,3 miliardi.
Prima ancora era stata la Deutsche Bank ad annunciare
svalutazioni pari a 2,5 miliardi di dollari legate a investimenti nel mercato immobiliare commerciale e in cartolarizzazioni di mutui
J. Halevi - Le borse brindano - il Manifesto del 2/4/2008
Ma, a parte i dati relativi alle perdite delle banche, è proprio dall’economia reale che arrivano segnali inequivocabili che la crisi - contrariamente alle aspettative e a quanto sosteneva la maggioranza degli economisti e analisti borghesi - non è rimasta circoscritta alla sfera finanziaria, ma si è estesa all’intero sistema economico-finanziario mondiale.
A febbraio, per il secondo mese consecutivo, gli ordinativi per l’industria americana sono diminuiti dell’1,3 per cento e il calo ha interessato tutti i settori.
Rallenta l’industria e cresce la disoccupazione.
Secondo i dati del Dipartimento del lavoro, nel mesi di marzo il tasso di disoccupazione è salito dal 4,8 per cento del mese di febbraio al 5,1, mentre nell’ultima settimana del mese le richieste settimanali di sussidi sono state pari a 407 mila, 38 mila in più rispetto alla settimana precedente.
Da record è stato invece il calo dell’indice del Conference Board che misura la fiducia sulle aspettative per il prossimo futuro scivolato a 47,9 punti, il più basso da 34 anni a questa parte.
Insieme alla crescita della disoccupazione cresce ovviamente anche il disagio sociale.
Nella sola Los Angeles sono ormai ben duecentomila i residenti che avendo perso la casa vivono in tende o per strada.
E ben 28 milioni sono gli americani iscritti nel programma Food stamp che assegna un bonus di cento dollari al mese a coloro che non hanno mezzi sufficienti per procurarsi il cibo di cui hanno bisogno. Nel 2001 erano 21 milioni. Cinquanta milioni sono invece quelli che non hanno alcuna copertura sanitaria e nessuno sa esattamente se e quanti di coloro che stanno per andare in pensione percepiranno un solo centesimo dei soldi versati ai Fondi pensione visto che molti di loro rischiano il fallimento.
Seppure in misura diversa le cose non vanno bene neppure nell’eurozona dove le previsioni di crescita del Pil a ogni rilevamento vengono riviste al ribasso: l’1,7 nell’aprile dello scorso anno, l’1,3 sei mesi dopo, lo 0,6 nello scorso mese di marzo e ora lo 0,3. Per l’Italia la previsione è per una crescita zero.
Di fronte a questi numeri anche il presidente della Fed, Bernake, parla apertamente di recessione. La Lehaman Brothers, ci informa il Manifesto del 5/4, ha affermato che:
La Fed non potrà tornare a rialzare i tassi di interesse prima del 2010 perché l’economia ha bisogno di stimoli.
È evidente quindi che, come avevamo previsto, la politica di immissione di liquidità sui mercati finanziari perseguita finora dalla Fed e dalle maggiori banche centrali del mondo è fallita. Anzi se da un lato ha finora impedito il crollo del sistema finanziario, dall’altro anziché favorire il rilancio della cosiddetta economia reale ha facilitato il passaggio della speculazione finanziaria dal mercato dei mutui immobiliari a quello delle materie prime e dei beni di prima necessità. Per farsi un’idea della dimensione del fenomeno basti pensare che per ogni barile reale di petrolio contrattato se ne contano duecento comprati e venduti solo sulla carta. Questa domanda fittizia, aggiungendosi però a quella reale, determina un incremento dei prezzi che, pur non corrispondendo ai rapporti reali fra la domanda e l’offerta, sono poi quelli a cui viene venduto tutto il petrolio, sia quello sulla carta che quello vero. Si assiste così a quel paradossale fenomeno detto della stagflation per cui i prezzi salgono anche quando l’economia ristagna.
Almeno la metà del vertiginoso incremento del prezzo del petrolio negli ultimi mesi è da imputarsi a manovre di questo tipo. Lo stesso dicasi per i prezzi delle derrate alimentari di base come quelli dei cereali. Un esempio per tutti: una tonnellata di riso che all’inizio del 2008 costava 365 dollari oggi ne costa 760, esattamente il doppio, e siamo solo all’inizio!
Questo continuo riproporsi del processo di produzione di capitale fittizio mirato all’appropriazione parassitaria di plusvalore, anche quando in linea teorica sarebbe necessario almeno il suo contenimento entro ambiti molto ridotti, è la dimostrazione più evidente che esso è ormai immanente al processo di accumulazione del capitale e perciò da questo inscindibile.
La crisi, quindi, è strutturale e, avendo come suo epicentro la maggiore potenza mondiale, è destinata ad assumere dimensioni e acutezza come mai prima si era dato. Crisi simili il capitalismo le ha già vissute sul finire dell‘800 e gli inizi del ‘900. Poi ancora di nuovo sul finire degli anni ’20 del secolo scorso. Pur essendo il mondo di allora molto più piccolo ci vollero due grandi guerre perché esso ne venisse fuori. E benchè le armi erano meno potenti furono tante le devastazioni, la fame, il sangue versato che entrambe le volte si disse: mai più! E invece ci risiamo a conferma che la barbarie non si può fermare se non si ferma il capitale.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2008
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