Conti pubblici in stato comatoso

Le “aspettative razionali” manifestatesi nelle sofferte meditazioni degli economisti borghesi si dissolvono nelle ricette di stregoneria finanziaria, mentre gli "spiriti animali" del capitalismo sono più che mai indomabili. Fra dichiarazioni ufficiali di collaborazione e solidarietà internazionale, la legge della giungla impone i suoi dettati. Qualche interpretazione borghese della crisi arriva a lamentare una eccessiva crescita monetaria e finanziaria, dando la colpa ai bassi salari (?!) che hanno accompagnato gli aumenti della produttività. È certo evidente che se si costringono i lavoratori a produrre di più col medesimo salario ed anche meno, e riducendo la mano d'opera impiegata, chi poi acquisterà le enormi quantità di merci prodotte?

Questo, naturalmente, mentre centinaia di milioni di esseri umani sono alla fame. Così si è parlato di una "eccedenza produttiva mondiale" con gli Usa in prima fila nell'alimentare la domanda di merci attraverso il debito privato, pagato con nuovi prestiti a loro volta rimborsati con carte di credito. Quanto al divario tra produttività e salari, il capitale non può fare a meno di aumentarlo scatenando una concorrenza sempre più aggressiva sui mercati internazionali: peccato che spremendo i salari, riducendo (grazie alla maggiore produttività) i posti di lavoro e tagliando servizi pubblici e assistenze sociali (sanitarie e previdenziali), i risultati siano logicamente opposti a quelli desiderati.

Perplessi, con le loro opache sfere di cristallo, gli allarmati amministratori del capitale frugano persino nell’armadio degli abiti usati e, spolverando quelli di una "politica alternativa di un governo di sinistra", addirittura qualcuno fantastica sottovoce su un mitico controllo dei lavoratori nella gestione delle aziende in crisi. I più arditi "antagonisti" prospettano qualche verifica dei libri contabili, controlli della produzione e commercializzazione (!) nonché degli investimenti. L’importante sarebbe riservare al capitale, privato o statale, soltanto un "giusto profitto", avanzando qualche generica proposta sul piano industriale, a salvaguardia dei settori strategici nazionali e reclamando investimenti di capitali in tecnologie ecologiche. Purché sempre destinati ad un indiscutibile "rendimento". Ci mancherebbe! Sul futuro dei conti pubblici italiani, intanto, grava sempre la previsione di un debito pubblico che un report dell’Unicredito aveva già previsto al 118% del Pil a fine 2010, mentre il rapporto tra disavanzo e Pil lordo cammina oltre il 5%, con un avanzo primario negativo: - 0,6%. Senza contare i debiti, decine di miliardi di euro, delle pubbliche amministrazioni…

Il capitalismo si morde la coda: non produce, non esporta e non vende sufficientemente per ottenere i necessari profitti. I meccanismi dell’economia reale si inceppano; nell’area euro si comincia a litigare - a porte socchiuse - sulle dinamiche di una spesa pubblica da contenere a qualunque costo (pagato dalle masse proletarie): in testa la poco “virtuosa” Grecia seguita da Portogallo, Irlanda e Spagna. Con l’Italia guardata a vista, in un clima forzato di sorrisi a denti stretti, strette di mano per stampa e Tv e poi a casa a leccarsi le ferite e accendere qualche candela, visto che per tutti si è frantumato il tetto del 3% previsto dal Patto di stabilità e crescita, con nubi scure che si addensano nel cielo del capitalismo globale.

"Il peggio - come diceva mesi fa il Governatore della Banca d'Italia - deve ancora venire. La situazione può subire un forte deterioramento". Non resta che chiedere agli operai massima flessibilità e "retribuzioni moderate". Per di più adottando politiche economiche a base di privatizzazioni e liberalizzazioni selvagge, spazzando via i resti del famoso Stato sociale. L’Eurostat denuncia 23 milioni130mila disoccupati nei 27 Paesi Ue (15 milioni 808mila nell’area euro). La sola disoccupazione giovanile in Italia è al 27,3%, la più alta in Europa.

In prospettiva di un rilancio dell’economia, difficilmente si avrà una significativa ripresa dell’occupazione. C’è semmai un’altra previsione alla quale si rivolgono concretamente industriali e sindacati: quella di nuove ristrutturazioni industriali, in nome della competitività sui mercati, con conseguenti altre riduzioni di personale.

Le stangate che si moltiplicano sulle spalle del proletariato cominciano veramente a far male: questa è lotta di classe, purtroppo ancora a senso unico, ma non potrà tardare a lungo quella reazione che da tempo attendiamo e che sola potrà far ritrovare al proletariato la via per la propria definitiva liberazione dalle catene del capitalismo. Una condizione rimane fondamentale: la presenza operante della insostituibile organizzazione politica di classe: il partito internazionale per il comunismo.

DC

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.