Proletari senza rivoluzione o l'eterna infanzia dell'avanguardia

Il proletariato nella sua lotta contro la borghesia per il potere ha soltanto un'arma: l'organizzazione.

Lenin, Un passo avanti e due indietro, 1904

In certe situazioni il problema non è quello di incitare le masse all'azione, ma l'altro assai più importante e impegnativo, di dare un nome e un obiettivo di classe alla spontaneità della loro azione di piazza.

Battaglia Comunista n. 7/8, luglio-agosto 1960

Il nostro Partito ha sempre cercato di porre l'attenzione su quelli che, di volta in volta, ha ritenuto essere i principali problemi inerenti all'agire dell'avanguardia comunista. Questa operazione non è mai stata svolta in maniera semplicemente astratta o teoricamente corretta dal punto di vista dei “sacri principi”, bensì dimostrando come fossero i principi ad avere molto a che vedere – in realtà – con un indirizzo politico e pratico adeguato allo sviluppo del conflitto di classe, verso la rottura rivoluzionaria di questo sistema.

È stato questo uno dei tratti che, nel tempo, hanno maggiormente distinto la nostra elaborazione da quella di altre tendenze le quali, pur nascendo nel vivo della lotta di classe, ne hanno via via rappresentato più un elemento contingente e di parzialità, oppure un puro riflesso delle contraddizioni che dallo stato della classe erano emerse.

Spesso la nostra proposta ed iniziativa politica, a destra e manca e con diversi accenti, è stata bellamente etichettata come “ideologica”, ossia non rispondente ai tempi e ai modi delle necessità della lotta di classe, lasciando così cadere ogni margine di possibile riflessione e confronto, che pur avanzavamo, per proseguire sulla propria strada, fuori da un serio confronto politico. Nulla di più legittimo potremmo dire, visto che la verifica pratica di ogni progetto si dà nel vivo della lotta di classe. Vorremmo però sottolineare come il porsi sul terreno di una progettualità che si vuole comunista porta con sé, inevitabilmente, la necessità di affrontare il nodo generale del come intendere e concepire lo sviluppo di un percorso rivoluzionario, cioè di alternativa al sistema capitalista, una visione quindi necessariamente di lungo periodo che, a partire dalle condizioni concrete, e in ogni momento e in ogni fase di questo percorso, sappia articolare quei passaggi di costruzione politica e organizzativa funzionali allo scopo prefissato.

È questo un problema che, conseguenzialmente, investe il modo stesso di concepire il concetto di “organizzazione”, tanto riferita alla soggettività comunista quanto al terreno di sviluppo dell'organizzazione del conflitto materiale di classe.

Lo sappiamo, sono questioni immani e siamo i primi a dire che, nel tempo, tali questioni si sono misurate con approcci differenti in relazione alle risposte politiche messe in campo rispetto all'indirizzo da seguire, sopratutto in confronto ai problemi e alle contraddizioni che scaturiscono dai concreti rapporti fra le classi, dalle difficoltà ad organizzarsi e ad organizzare una risposta all'altezza dei tempi.

Insomma, saper inquadrare questi nodi sia in termini teorici, che politici che pratici, a nostro avviso, non è un esercizio di astrazione ideologica, ma lo sviluppo di una risposta politica adeguata ai problemi di fase, inquadrati dentro un percorso di finalizzazione strategica.

Questi nodi a nostro avviso non possono essere aggirati, pena il riproporre sotto forma differente strade già votate alla sconfitta, già battute dall'esperienza storica e pratica del movimento rivoluzionario e del proletariato nel suo complesso. Siamo convinti, e non certo per alterigia professorale, che se i nodi di ordine generale e particolare non vengono affrontati con il rigore del bilancio storico, unito ad una visione strategica e ad un conseguente indirizzo politico-programmatico, anche quando sono stati fatti uscire dalla finestra finiscono irrimediabilmente per rientrare prepotentemente dalla porta, riproponendosi perpetuamente. Ci si può sforzare quanto si vuole di ignorare tali questioni, ma nonostante tutti i tentativi queste non possono certo essere nascoste.

Da questo punto di vista, il primo dato politico che constatiamo è che lo stato dell'attuale dibattito fra le avanguardie non è altro che la registrazione non tanto della loro frammentazione politico-organizzativa – che casomai né è un riflesso –, quanto delle contraddizioni che sull'avanguardia stessa si sono riversate nel generale arretramento di classe e nella capacità di dargli una risposta complessiva, attestando la propria pratica ed elaborazione ora su quello o su tal altro aspetto, perdendo sempre di vista la visione complessiva dei rapporti fra le classi, della propria proposta, della propria prospettiva politica e del proprio ruolo.

Lo scenario

Abbiamo più volte chiarito come la fase odierna del conflitto di classe segni un secco arretramento della parte proletaria nei confronti della borghesia. I tempi e le forme concrete – materiali e politiche – di questo arretramento hanno contraddistinto nuovi livelli di subordinazione del proletariato alle necessità borghesi nella crisi, ma ciò che interessa rilevare per quello che riguarda questo scritto è che a tale secca perdita di posizioni di forza ha corrisposto, in maniera massiccia, la perdita della coscienza della possibilità di una “alternativa” al sistema, almeno rispetto alle fasi precedenti, nelle quali tale coscienza dell'alternativa ancora viveva, seppur confusamente, ovvero mediata dal riferimento al riformismo socialdemocratico e alla presenza del blocco sovietico. Tale idea di alternativa è stata quindi attaccata in maniera massiccia e le sue rimanenze erose progressivamente.

Il fatto che l'ideologia dominante sia quella della classe dominante, non ha potuto che trovare conferma in tutta la fase che ci è scorsa sotto gli occhi negli ultimi decenni.

Ovviamente, quello di cui stiamo parlando non è stato solo un processo ideologico, bensì un fenomeno complesso e complessivo che ha fatto da cornice ai processi ben più materiali di attacco alle condizioni di lavoro e di vita della classe proletaria, alla sua vecchia composizione e all'instaurazione di nuovi termini di sfruttamento allargato ed intensivo, termini necessari ad assecondare le esigenze del processo di valorizzazione del capitale nella attuale crisi. Si tratta di una dinamica a tutt'oggi in pieno svolgimento, che avanza per salti e strappi, ma che punta nel suo complesso a realizzare il totale asservimento della forza-lavoro quale variabile dipendente alle sempre più impellenti necessità borghesi. Ciò ha portato a quel processo che abbiamo sintetizzato con l'aggettivo di manchesterizzazione del proletariato ossia, tenendo presente che il concreto rapporto di sfruttamento messo in piedi, è andato consolidandosi con modalità tali da ratificare la separazione fra i diversi segmenti della forza-lavoro, ha portato cioè alla sua parcellizzazione, frantumazione e spoliazione.

All'oggettivo elemento unificante, dato dal rapporto di sfruttamento, agiscono sempre sul terreno concreto della valorizzazione capitalistica e dell'organizzazione del lavoro, quegli elementi di disgregamento posti in essere dal capitale al fine di rendere la divisione del corpo proletario una condizione materialisticamente determinata, che viene a rafforzarsi anche all'interno dell'oggettivo e tendenziale livellamento al ribasso della condizione proletaria. Ovviamente ciò non ha significato e non significa il venir meno della lotta di classe di parte proletaria. Se la borghesia è riuscita ad imporre i suoi terreni, modi e tempi del conflitto di classe, la risposta proletaria ha invece subito i processi della ristrutturazione capitalistica attestandosi così su di una linea di resistenza e di difesa delle precedenti condizioni, adottando in questo modo forme politiche legate al terreno vertenziale e rivendicativo. Pure quando la conflittualità di classe proletaria si è espressa come movimento generale, la stessa coscienza “tradunionista” è stata piegata dalle condizioni imposte dalla borghesia, dalle compatibilità del sistema economico e, quindi, dalla ristrettezza dei margini rivendicativi.

L'immagine è quella di un esercito in costante arretramento sotto il fuoco nemico; in tale frangente, al posto di una manovra di ripiegamento con le forme di un movimento strutturato ed organizzato, si è verificato un moto reattivo di arretramento, ma, sopratutto, tale arretramento è stato affrontato con le vecchie forme organizzative della classe, forme proprie di una fase differente della vita del capitale, della organizzazione del lavoro e delle relazioni tra le classi, forme quindi che proprio il processo capitalistico aveva ormai reso inservibili, anche per la sola e semplice resistenza. Non poco hanno pesato le vecchie tradizioni e i vecchi legami con un riformismo ormai logoro ed in crisi aperta, con le sue rappresentanze politiche, le quali, nella loro funzione conservatrice, hanno di fatto favorito l'esito di una ritirata priva di strategia, che ha quindi distrutto tutti i possibili punti di forza che ancora potevano sussistere.

A ciò si è accompagnata – e come poteva essere diversamente? – anche un'opera di larga “passivizzazione” in strati centrali della classe. Questi settori hanno trovato la risposta al loro malessere rivolgendosi alle proposte populiste che, nella crisi, si sono strutturate come forme di compensazione, cementando il consenso attorno agli interessi dominanti della borghesia, andando così, fondamentalmente, a legittimare il suo sistema di dominio.

Due i dati sostanziali che sono emersi: il primo è che si è andato a scompaginare quel “senso di appartenenza” istintivo ai propri legami di classe e finanche al proprio sistema di valori e riferimenti, seppur mediati dentro la propria particolarità; il secondo è che, nell'arretramento generale e nella passività che ne è risultata, più forte si è sentito il peso della mancanza di un'istanza capace di dare rappresentanza generale e storica agli interessi proletari di contro a quelli borghesi, lasciando il proletariato sostanzialmente disarmato. Problemi che a tutt'oggi, a nostro avviso, pesano come un macigno sulle prospettive di ripresa del conflitto di classe.

Il tema intorno al quale ora ci interessa ragionare è che, parallelamente e internamente a questa dinamica di arretramento, si è sviluppato un progressivo processo di spoliticizzazione, inteso come perdita di finalizzazione strategica in quei soggetti che pure tentavano di porsi su un terreno di avanguardia e che nel corso del tempo si sono posti alla testa dei vari movimenti parziali prodotti dal proletariato dentro la crisi. Lo stesso nodo dell'organizzazione rivoluzionaria, intesa come costruzione dell'organismo capace di dare rappresentanza e direzione agli interessi generali e storici del proletariato, è stato, di volta in volta, o relegato nel campo delle anticaglie, o messo ai margini come un problema non attuale, o delegato al diretto sviluppo del movimento di classe o, semplicemente negato, in virtù del basso livello di coscienza e combattività della classe.

Dall'alternativa senza alternativa...

È questo il contesto nel quale, per una lunga fase, hanno preso forma e si sono consolidate un complesso di tendenze, elaborazioni e pratiche che abbiamo etichettato come radicalriformismo.

La loro espressione più conseguente è stato il movimento altermondista [quello cioè che si caratterizzava intorno allo slogan “un altro mondo è possibile!” e che ha avuto a Genova 2001 il suo culmine N.d.A.], movimento che aveva incanalato le diverse istanze antagoniste ed anti-capitaliste all'interno di un ottica che pretendeva dal capitalismo ciò che il capitalismo non poteva più dare, rimanendo così invischiato all'interno del quadro delle contraddizioni che il Sistema genera, senza porre al contempo il problema del suo superamento. Abbiamo definito “alternativa senza alternativa” una logica che, nelle sue velleità, non ha potuto che scontrarsi con il quadro delle ferree compatibilità capitalistiche, finendo sistematicamente per naufragare di fronte alle sue stesse aspettative.

Il fatto che quella fase si sia chiusa e che a chiuderla sia stata la borghesia imperialista nel suo complesso pensiamo parli da sé, a dimostrazione non solo della ferocia e della determinazione della classe dominante di fronte alle sue necessità, ma anche della scarsità dell'armamentario politico e della perdita totale di riferimenti strategici con cui sono stati affrontati i passaggi che di volta in volta erano sul tappeto, problema che successivamente, in sede di bilancio politico, non ha nemmeno permesso di trarre gli insegnamenti dovuti.

La questione centrale che rileviamo è che mentre l'avanguardia “antagonista” poneva la sua azione su di un piano sociale, la borghesia affrontava e dispiegava nello scontro il suo piano di attacco politico, piano finalizzato al consolidamento del suo esclusivo dominio di classe. Consapevolezza dei propri interessi generali e della propria forza dal lato borghese, velleità politiche, conseguente inadeguatezza di prospettiva, mancanza di comprensione dell'avversario, da parte di chi avrebbe dovuto incarnare gli interessi di classe proletaria, sono questi i caratteri che hanno segnato gran parte delle vicende di quel periodo.

Cosa ci dice quell'esperienza, così come il corso degli episodi di lotta che si sono dati nel corso della attuale crisi capitalistica come bilancio dei problemi a cui una avanguardia dovrebbe guardare per imparare dalle esperienze della sua classe di riferimento?

Sicuramente uno dei nodi che emerge e anche continuamente si ripropone è la dicotomia fra piano sociale e piano politico del lavoro e dell'intervento. Questa dicotomia caratterizza l'incapacità della soggettività operante nel saper riconnettere dialetticamente i due aspetti, verso una prospettiva di costruzione di un percorso rivoluzionario.

Si tratta di una questione fondamentale da sciogliere, partendo dall'assunto che se la rottura rivoluzionaria trova la sua base nelle ragioni sociali della contrapposizione fra proletariato e borghesia, la sua risoluzione pratica non può che darsi come atto politico per l'affermazione degli interessi generali e storici della classe sfruttata, contro quella sfruttatrice.

La contraddizione fra piano sociale e piano politico ha assunto varie forme politiche più o meno teorizzate o anche solo esplicitate praticamente ma che, trasversalmente, hanno attraversato quasi tutti i filoni politici più avanzati e, per quanto possa apparire paradossale, anche in maniera indipendente dalla “scuola” di riferimento.

Diciamo che materialisticamente i rapporti di forza reali, la condizione di classe odierna, il livello di espressione della conflittualità, sono la realtà con cui tutti i comunisti fanno i conti, una realtà non aggirabile, pena lo scadere nel volontarismo o nel soggettivismo. In sintesi, la forza della realtà costituisce la condizione storico-concreta da cui partire e con cui i comunisti si devono invariabilmente misurare. Il problema come sempre è la risposta politica che si dà e la prospettiva nella quale ci si colloca.

Nell'analizzare l'emergere e lo strutturarsi di questa contraddizione, che in realtà ha basi molto materiali e altrettanto materiali ragioni politiche, potremmo cavarcela facilmente riproponendo alla lettera tutta l'impostazione marxista del rapporto contraddittorio fra coscienza e spontaneità, oppure fra piano della lotta economica e della lotta politica. Tutto questo, però, non sarebbe ancora sufficiente se l'impostazione che qui trattiamo non fosse messa in relazione alle forme concrete del conflitto odierno fra le classi, a quella “dialettica del conflitto” fra le classi che ci restituisce la concretezza e l'esatta valutazione di come si è sviluppata la lotta fra le due parti in campo, questioni che aiutano meglio a definire i caratteri complessivi della fase, oltre a comprendere come inquadrare il carattere delle contraddizioni con cui ci misuriamo.

Spieghiamo meglio cosa vogliamo dire.

Dialettica della lotta di classe

Il termine “lotta di classe” esprime un concetto che deterministicamente deriva da condizioni obiettive, antagoniste e inconciliabili fra borghesia e proletariato, proprie al Modo di Produzione Capitalista, sulla base dell'altrettanto antagonistico e inconciliabile rapporto fra capitale e lavoro, e non quindi di un suo particolare aspetto o momento. La lotta di classe assume allora il carattere generale di un processo e non di un atto, processo il cui attore non è il solo proletariato, come spesso viene erroneamente inteso in maniera unilaterale, ma lo è anche la borghesia rispetto alle sue necessità strutturali di dominio e di conservazione nei confronti della classe avversa. La concreta risultanza di questo conflitto stabilisce il quadro dei rapporti di forza fra le due classi con i relativi assetti e relazioni politiche e sociali per entrambe. Ecco il motivo principale per il quale la lotta di classe da parte proletaria non si sviluppa mai in un ambiente a se stante, in una sorta di bozzolo entro cui può crescere e svilupparsi linearmente, con caratteri “puri” e definiti. Alla tendenza del suo dispiegarsi si contrappongono le controtendenze messe in atto dalla classe avversa, di cui fanno parte le materiali esigenze imposte dalla fase imperialista e le conseguenti caratteristiche del moderno dominio del capitale, le forme più evolute di questo dominio di classe che spesso anticipano e contengono preventivamente le spinte delle classe proletaria. Ciò che più concretamente vediamo all'opera è una costante azione di accerchiamento, logoramento e divisione degli episodi di lotta proletaria. L'unica forma accettata è la riconduzione del conflitto a una sua ricomposizione forzosa sul piano delle compatibilità e della mediazione politico-istituzionale che gli corrisponde (cioè al ribasso), oppure il relegare anche le forme più radicali di lotta in una sorta di endemizzazione, senza la capacità di incidere sugli assetti di potere che ne determinano la subordinazione, facendolo così arenare nelle secche dell'isolamento, del rivendicazionismo parziale o della rivolta senza sbocchi, ovvero privandolo, sostanzialmente, di ogni prospettiva politica di alternativa al sistema.

In sintesi, è sugli eventi delle lotte proletarie fin da subito, immediatamente e complessivamente che si rovescia l'azione della borghesia, seppur dosata e calibrata agli scenari concreti (a tal proposito, basti rammentare il corso degli eventi che hanno segnato da un lato la lotta degli autoferrotranvieri genovesi e dall'altro quella dei facchini). La stessa azione repressiva messa in campo agisce molto più concretamente tanto come elemento di “contenimento”, quanto come fattore di “regolazione” del conflitto, lì dove questo emerge e tende a superare i limiti delle compatibilità, in una sostanziale opera di depotenziamento ed immobilizzazione delle forze avverse, di erosione della loro capacità di tenuta, con l'obiettivo perseguito di ricollocare su di un terreno di difensiva ciò che nel tessuto proletario viene di volta in volta a prodursi.

Le espressioni concrete di classe fanno i conti con questa condizione, oltre che con la materiale scomposizione di classe, sopratutto lì dove tendono a superare gli ormai risicati margini di mediazione capitalistica. Ciò dà non solo un carattere estremamente non lineare ai singoli processi di lotta, ma questi non riescono mai, di per sé, a dare una risposta all'altezza del problema principe che la crisi del capitale e della borghesia gli pone d'avanti. Non solo la classe dominante rovescia con tutta la sua forza sul proletariato il peso della crisi del suo sistema, ma in questo processo costruisce nuovi livelli di subordinazione e di auto-legittimazione del suo sistema di dominio di classe nella crisi stessa. È qui che si rende quanto mai evidente tutto lo scarto fra le condizioni oggettive che ci stanno di fronte e la risposta soggettiva di classe che misuriamo.

«Limiti della lotta immediata!», qualcuno dirà “leninisticamente”. Sicuramente!, rispondiamo noi, ma non è solo questo il problema.

Il problema, per tornare al concreto, è che a partire dal modo come si materializza la “dialettica del conflitto” fra borghesia e proletariato si evince che non solo non esiste un nesso deterministico fra crisi e risposta proletaria, ma che non esiste neanche un automatismo meccanico fra lo sviluppo della lotta immediata, il suo processo di estensione e generalizzazione, e il suo trascrescere in lotta politica. La complessità del rapporto è data proprio dal fatto che – in ogni singolo momento – l'azione della borghesia non solo tende a “spezzare” l'azione del proletariato e a sancirne la frammentazione, ma contemporaneamente tende a influenzare e ricondurre costantemente i suoi possibili sviluppi nella marginalizzazione effettiva rispetto ai rapporti di forza generali, o comunque in forme politiche che siano compatibili nel e col sistema.

Pensiamo ad esempio come, ad ogni tappa delle contraddizioni del capitalismo corrisponda una “nuova” forma del “riformismo” – sempre cadente e sempre risorgente – commisurata, di volta in volta, alla capacità di incanalare e recuperare le contraddizioni di classe su di un piano di mobilitazione interclassista e di legittimazione politica; al processo di induzione di passività indotto in strati proletari sempre più larghi che si trovano a dover far fronte alle conseguenze concrete della crisi economica, legandoli al bisogno e al ricatto della propria condizione materiale (Grecia docet); alla scomposizione degli interessi proletari nei mille aspetti parziali nei quali si presentano le contraddizioni del capitalismo.

Un complesso di elementi che, insieme ad altri e seppur in presenza di gravi crisi e in un equilibrio sempre passibile di mutare, tendono a mantenere la possibile risposta proletaria ad un livello gestibile.

Nostro intermezzo

Se è quindi compito prioritario dell'avanguardia ricomporre ciò che la borghesia mantiene diviso e frammentato, questa funzione passa innanzitutto, a nostro avviso, nell'intendere le reali contraddizioni e la reale dimensione della posta in gioco, posta che sono i fatti stessi a porci di fronte, compito che le lotte non possono risolvere autonomamente. Il reale problema che, con la crisi, la borghesia pone sul piatto, per i rivoluzionari non è più, se mai lo fosse stato, quello di perimetrare il conflitto di classe e la sua prospettiva dentro le sue forme di espressione immediata, ma la capacità di costruire i termini dell'alternativa rivoluzionaria, alternativa che coincide oggi con la stessa risoluzione dei problemi immediati di classe, indipendentemente dal livello di coscienza espresso. In altre parole, la necessità dell'alternativa rivoluzionaria non nasce semplicemente dal livello di coscienza espresso dal proletariato in un dato momento del conflitto di classe – casomai questo ne è l'elemento imprescindibile ai fini della sua realizzazione –, al contrario il problema dell'alternativa si pone già come questione da affrontare all'interno delle contraddizioni immediate ed insanabili del capitalismo e questo è vero a maggior ragione in una fase come l'attuale.

Quindi, o si lavora al collegamento delle istanze rivendicative con la prospettiva di una soluzione rivoluzionaria, il cui punto centrale programmatico e di intervento è l'anticapitalismo, oppure il pendolo della lotta di classe di parte proletaria continuerà ad oscillare tra scoppi improvvisi e pesanti momenti di riflusso, tra l'economicismo più o meno radicale e le utopie riformistiche, imbrigliato nei suoi stessi limiti, sempre più ingabbiato e schiacciato dalle forze della classe avversa.

Quando affermiamo ciò siamo ben consci del quadro attuale della lotta di classe da parte proletaria, così come non siamo tanto fessi da pensare ad uno sviluppo tutto “politico” della lotta di classe e dei processi di lotta che in questa si danno possibili, processi che nella realtà il più delle volte si presentano come un tutto contraddittorio, riflesso dei diversi livelli di coscienza presenti nel proletariato a seguito della propria posizione strutturale. Un dato questo per così dire immanente alla coscienza di classe e, come le esperienze rivoluzionarie ci insegnano, presente finanche nel momento della rottura rivoluzionaria. Siamo ben consapevoli che la contraddizione capitale-lavoro è la matrice fondamentale dell'emergere delle contraddizioni di classe e che da lì si deve partire, così come non fanno parte sicuramente del nostro bagaglio politico tutti quegli approcci idealisti che vedono il crescere di una coscienza comunista al di fuori del processo pratico stesso della lotta proletaria o che riducono il proprio intervento alla propaganda della “coscienza della rivoluzione”, rinunciando di fatto alla lotta organizzata contro le organizzatissime forze borghesi; ma in maniera altrettanto ferma siamo contrari a quelle visioni restrittive che intorno ai processi di lotta che si danno vedono l'intervento limitato allo “sviluppo delle lotte”, sganciato dal lavoro di sedimentazione e costruzione “qui e ora” di una dimensione politico-organizzativa rivoluzionaria.

… Alla politica dei due tempi

Se il problema è quello di stare all'interno della classe, allora ci colleghiamo immediatamente al problema di come starci e per fare cosa.

Possiamo dire che ogni fase della lotta di classe ha una sua “originalità”. In questa “condizione originale” i comunisti sono immersi e devono trovare delle risposte all'altezza del loro progetto politico, pena il far diventare il proprio obiettivo, di volta in volta, o un riferimento ideale e generico, oppure una questione da dibattersi solo fra addetti ai lavori.

Nella fase attuale, alla durezza della crisi capitalista fa da contraltare una risposta proletaria quantomeno timida e, comunque, non all'altezza. Se il vecchio “movimento operaio organizzato” ha segnato la sua bancarotta, il nuovo che emerge, in maniera frastagliata ed episodica, ma comunque e sempre prodotto dalle stesse contraddizioni capitalistiche, pare ricominciare ogni volta da zero.

Il nuovo movimento che di volta in volta “calca la scena” appare ripercorrere, sotto altra forma, gli stessi passi del precedente, rinchiuso, sia nelle ricette che nelle forme organizzative, nell'immediatismo, anche se diversamente declinato: sociale, sindacale, ecc., comunque schierato, tanto per le posizioni “di attacco” quanto per quelle “di difesa”, su di un piano di radicalizzazione degli stessi contenuti riformistici, magari al “rialzo”. Ma il tutto in una situazione profondamente mutata, sia dal punto di vista dei rapporti fra le classi e di forza, sia dal punto di vista del quanto l'offensiva capitalistica è stata capace di macinare in questi decenni – e su tutti i piani – nel corpo vivo della classe proletaria e ultima cosa, ma non per importanza, sia dal punto di vista dello stesso stato di debolezza delle forze che fanno riferimento ad una progettualità comunista.

Questo insieme di debolezze ormai consolidate, pregresse e presenti, ha finito per avallare comportamenti che, lontani da un'indagine svolta a filo di materialismo storico sui motivi della mancanza di una risposta proletaria adeguata, hanno subito gli effetti complessivi di questa debolezza, facendosi da essa trascinare e, quindi, ponendosi al traino dello stesso arretramento di classe.

Il tentativo di recuperare, attraverso l'internità alle lotte (l'esserci dentro), lo scollamento dalla classe e lo sviluppo di una critica dell'opportunismo pratico sono stati i due elementi positivi, ma i promotori di questo processo sono naufragati sulle sponde di uno spontaneismo e di un attivismo sempre più contraddittori, fino a giungere alla legittimazione tout-court dell'esistente e delle forme organizzative immediate della classe. In questo modo, però, è venuta meno anche la giusta critica politica dei limiti e delle prospettive di queste stesse “organizzazioni immediate di classe”, fino a giungere al nonsense di scambiare la propria pratica politica per teoria rivoluzionaria.

Ciò ha finito per porre in secondo piano il lavoro di inquadramento delle potenzialità presenti al fine di una loro possibile e necessaria trasformazione – ed organizzazione – sul piano dell'attività rivoluzionaria, almeno per quei settori, quadri e soggettività, disponibili fin da subito a relazionarsi alla proposta rivoluzionaria. Lavoro che si dà all'interno della lotta ma che non è mai, ed in alcun modo, il prodotto automatico della lotta stessa.

Questa tendenza generale, come dicevamo, è figlia della condizione attuale: se è nel DNA dei comunisti riferirsi agli episodi della lotta di classe di parte proletaria e attraverso di essi cercare il collegamento e l'internità alla classe, ciò non significa mai ed in alcun modo esaltare l'esistente o appiattirsi ai medesimi. Certo, capiamo anche che in uno sconsolato deserto dei tartari un'oasi è meglio di nulla. Può sembrare una battuta, anche di cattivo gusto per chi la recepisce, ma rispecchia il problema con cui abbiamo aperto: in una condizione generale segnata da un arretramento di classe complessivo e in cui vengono a nascere una serie di episodi di lotta, la risposta di molte soggettività che pure si vogliono porre su di un terreno di avanguardia è stata quella di collocarsi nel sostegno immediato alle lotte per come esse si davano. Cioè, nell'azione di supporto finalizzato a spianare la strada alla lotta con la conseguenza di ristrutturare a tale scopo la propria funzione politica: dare forza ai vari episodi di lotta cercando, all'interno della costruzione di un percorso di generalizzazione delle lotte stesse – e non in un percorso di ricollocazione dei problemi politici che dalle lotte di volta in volta emergono – la possibile chiave del ribaltamento dei rapporti di forza. Questo in estrema sintesi.

La questione dell'organizzazione in questo senso non è stata elusa ma, molto più terra-terra, si è ridotta al nodo dell'organizzazione delle forme del conflitto, del come strutturarsi nella pratica in rapporto a questo problema. Anche lì dove il problema dell'organizzazione è emerso come necessità di sintesi politica, pur contro i limiti immediatisti e spontaneisti, esso è stato posto solo come funzione di coordinamento e centralizzazione dei contenuti e delle lotte stesse. In ambedue i casi la categoria di “lavoro politico” o non esiste o viene ridotta alle espressioni più manifeste di contraddizione e indirizzo delle lotte.

Ovviamente, nel mezzo di queste due grandi varianti le sfumature sono moltissime, così come le tesi a sostegno. Come si vede, la famosa dicotomia fra piano sociale e piano politico di attività si riproduce, pur avvenendo il tutto su un piano superiore.

Sostanzialmente si reitera quella che abbiamo definito_ la politica dei due tempi_: prima lavorare nelle lotte per la loro tenuta e possibile generalizzazione, poi dargli una dimensione politica ed organizzativa rivoluzionaria. In questo modo, però, la stessa “organizzazione” di avanguardia o è diretta espressione delle lotte e dei loro problemi, aprendo la strada ad una visione gradualistica ed empiristica nel suo processo di costruzione ed elaborazione, o vive su di un piano totalmente separato, non riuscendo a collegare piano immediato e piano politico di azione. Come dicevamo, ancor prima che un nodo teorico, questo è un nodo politico – e quindi pratico – che le avanguardie devono saper affrontare, anche solo per il semplice fatto che il quadro della crisi capitalistica, ad ogni suo passaggio, ripropone con forza l'alternativa socialismo o barbarie.

Brevi conclusioni

Prendere atto della situazione odierna vuol dire, a nostro avviso, sì lavorare all'interno delle spazio politico offerto dalle lotte, ma per costruire attraverso i passaggi successivi un processo di ricomposizione politica del proletariato, partendo dall'assunto che l'attuale condizione proletaria è frutto del capitalismo e può essere superata solo a condizione di superare il capitalismo.

Se il lavoro per un possibile processo di generalizzazione della lotta costituisce la condizione immediata per il rafforzamento del fronte di lotta stesso, il processo di ricomposizione politica ne rappresenta invece il suo elemento strategico di avanzamento. Ciò conduce a riflettere non solo sui limiti immediati del movimento, ma sulla prospettiva che il movimento si dà e quindi sui relativi contenuti sui quali deve essere giocato ogni passaggio di accumulazione di forza, di rafforzamento politico-organizzativo tanto dell'organizzazione del conflitto rivendicativo di classe quanto dell'avanguardia, la quale si costruisce per svolgere il precipuo ruolo di direzione politica della lotta di classe proletaria.

È qui importante sottolineare come questo passaggio non sorga mai linearmente e spontaneamente dalla lotta di classe stessa, bensì si imponga in ogni momento, anche il più duro e avverso, alle condizioni date e nelle possibilità reali, come salto politico dalla lotta sociale alla lotta politica. È questo passaggio, infatti, il solo momento in grado di sedimentare e costruire l'organizzazione rivoluzionaria, capace cioè di attestare le singole avanguardie intorno alle proprie finalità strategiche di classe e di orientare spezzoni di classe verso il punto più maturo di contraddizione con il sistema capitalistico. Questo chiama in causa il ruolo dei comunisti!

Non stiamo qui certo parlando di una illusoria idea di “rivoluzione dietro l'angolo”, ma del necessario percorso di costruzione di coscienza e organizzazione anticapitalistica intorno al quale costruire i successivi livelli di organizzazione di classe, contenuto fondante della autonomia politica proletaria, base di risoluzione programmatica immediata e di prospettiva entro cui incanalare e via via stabilizzare il processo di ricomposizione politica di cui parlavamo. In assenza di questo elementare ma imprescindibile passaggio, tutte le lotte, anche quelle che fuoriescono dalle strette maglie delle compatibilità capitalistiche e dalle gabbie atte a soffocarle e incanalarle, rifluiranno senza aver lasciato nulla sul campo.

Stiamo sognando? Già vediamo i molti che, aggrottando le sopracciglia, esclamano: «Ma voi non fate i conti con gli attuali livelli di espressione e di coscienza di classe! Astratti!». Ci permettiamo a questo punto di far notare che è l'intima sostanza di queste obiezioni quella che fa più i conti con gli elementi di debolezza della coscienza di classe odierna piuttosto che con il giusto atteggiamento del porsi sul piano della loro risoluzione. Tale atteggiamento non può essere né volontarista, né attendista, ma materialisticamente calibrato a quello che la realtà ci pone di fronte. Realtà che pur sempre deve essere indirizzata in una prospettiva definita, seppur tutta da costruire e molto difficile e complessa.

In assenza di tale, seria, impostazione vi è il famoso pendolo della lotta di classe di cui si parlava più sopra, la venerazione di un proletariato sempre insorgente ma mai capace di portare a risoluzione i suoi interessi generali e storici, schiacciato nella sua stessa condizione di classe subordinata; mentre dall'altro lato osserviamo una pretesa avanguardia incapace di guardare oltre il proprio naso. Ci viene l'immagine di un bambino al quale è stato donato un giocattolo troppo complesso per la sua età: così questo bambino, invece di svolgere le complicate funzioni che l'utilizzo del giocattolo richiede, si limita a percuoterlo contro il pavimento e a portarselo alla bocca, adattando in questo modo il giocattolo a se stesso, alle limitate funzioni che la sua infanzia permette di svolgere.

EG
Lunedì, December 22, 2014

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.