Il periodo di transizione e i suoi negatori

Da Prometeo 12 - Novembre 2014

Pubblichiamo questo interessante articolo prodotto da un compagno della CWO, per alimentare l’attività di dibattito politico sul processo rivoluzionario.

Introduzione

Come le società feudali e schiaviste che l’hanno preceduta, quella capitalista è una società classista, nella quale una classe dominante vive del lavoro estorto a una classe che le è subordinata. L’umanità ha vissuto in società divise in classi solo per una parte estremamente esigua della sua storia, mentre per la più parte della sua esistenza si è organizzata in forme che possiamo chiamare di comunismo primitivo: società nelle quali il lavoro era lavoro comune, immediatamente sociale, e in cui la distribuzione veniva effettuata in base ai bisogni sociali; società che non conoscevano la proprietà privata né della terra né dei mezzi di produzione.

Le società classiste sono storicamente limitate. Ciò vale anche per il capitalismo. I rapporti di produzione di tipo capitalistico, che l’ideologia borghese pretende abbiano informato l'intera storia dell’umanità, sono storicamente determinati. A testimonianza di ciò stanno le crisi economiche del capitalismo e i sempre presenti antagonismi di classe, da cui il marxismo deduce che sono le contraddizioni obiettive del modo capitalista di produzione, i rapporti di produzione come si configurano nel capitalismo, che generano le forze storiche che obiettivamente negano e potenzialmente possono superare tale sistema. Sono forze che è il sistema stesso a generare, dovendo necessariamente attaccare costantemente le condizioni di vita della classe che sfrutta, col che va a intaccare la fonte del surplus che è essa sola a generare. I marxisti concludono che il prossimo stadio dell’organizzazione umana sarà la negazione non soltanto del capitalismo, ma della stessa divisione in classi della società: la costruzione del comunismo.

Il modo di produzione capitalista si caratterizza per il fatto che i lavoratori non sono padroni né dei mezzi di produzione né del prodotto del loro lavoro, per cui il lavoro si presenta come un qualcosa di estorto e antagonistico: in effetti i lavoratori non sono padroni nemmeno del loro lavoro, oltre che del suo prodotto. Il lavoratore è dominato dal prodotto del suo lavoro, che si presenta come Capitale, una potenza asservitrice autonoma che lo assoggetta. Il lavoro del proletario riproduce precisamente le condizioni della sua schiavitù, è lavoro alienato che ha preso la forma del valore. Il fine del lavoro diviene di accrescere il valore del capitale attraverso il profitto, cosicché il capitale diviene un ostacolo per lo sviluppo umano. Le relazioni sociali tra i produttori prendono la forma di relazioni sociali tra i loro prodotti determinate dai valori di questi. Il lavoro è solo mediatamente sociale, reso tale dalle relazioni di mercato che operano indipendentemente e di contro ai lavoratori. Ne viene che uomini e donne sono atomizzati, trasformati individui separati dal loro essere sociale.

La società comunista

La natura disumana della società capitalista che abbiamo delineata risulta dal modo in cui essa produce. Una volta che si fossero stabiliti rapporti di produzione comunisti ne seguirebbero tutta una serie di cambiamenti. In una società comunista i mezzi di produzione sono proprietà sociale e il lavoro è anch’esso lavoro sociale. Quel che esso produce è di conseguenza prodotto sociale, che verrà distribuito gratuitamente secondo i bisogni. Il prodotto di una simile società sarà soltanto un valore d’uso, privo del valore di scambio che gli è imposto nel capitalismo.

La società comunista sarà una libera associazione di produttori che produrranno per soddisfare i bisogni. I prodotti saranno liberamente distribuiti senza l’intermediazione del denaro. Si tratterà di una società senza classi, priva di Stato, dove l’amministrazione consisterà soltanto nell’organizzazione delle cose.

La natura del lavoro cambierà. Invece che la dura fatica produttrice di abbrutimento fisico e mentale che è nel regime capitalista, diverrà qualcosa di liberamente prestato, perderà il suo carattere alienato e diventerà espressione delle abilità individuali e connessione sociale all’umanità tutta. Il lavoro, dice Marx, diverrà il principale bisogno della vita.

Nella società comunista la libertà di ciascuno è condizione della libertà di tutti. Una tal società scriverà sulla sua bandiera:

Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni (1).

La ventura società comunista sarà l’inizio della vera storia umana.

Ma come potremo passare dall’odierna società capitalista al comunismo?

Periodo di transizione

Marx sostiene che per il passaggio dalla società capitalista a quella comunista sarà necessario un periodo di transizione. Si riferisce alla rivoluzione politica, per mezzo della quale la classe lavoratrice si impadronirà del potere politico, e dovrà attuare una forma inferiore di comunismo che conduca al comunismo quale lo abbiamo descritto.

Il sistema capitalista è un sistema mondiale nel quale i rapporti di produzione sono dominati dalla legge del valore, che ha del pari valenza mondiale. Questo sistema non può consentire la sopravvivenza di isole di comunismo; di qui che la rivoluzione dovrà essere vittoriosa su larga scala per realizzare le misure più decisamente socialiste. Ma ciò, naturalmente, non esclude che debbano essere introdotte misure di limitato comunismo a livello locale durante il periodo rivoluzionario. Ad esempio nelle zone sotto il controllo rivoluzionario affitti, mutui e debiti potranno essere aboliti, e trasporti, servizi elettrici, acqua corrente, sanità, educazione e simili servizi garantiti gratuitamente.

È stato il capitalismo ad aver storicamente prodotto le condizioni materiali che erano necessarie per il passaggio ad un’economia e una società comunista: in primo luogo creando il proletariato, la classe che dovrà incaricarsi di costituire il comunismo, e poi sviluppando le forze produttive fino a un livello che rende sostenibile un mondo comunista.

Riteniamo che la società futura dovrà essere controllata da un sistema di consigli dei produttori, democraticamente controllati dai lavoratori, che deleghino loro rappresentanti ai corpi superiori. Lo Stato capitalista deve essere smantellato e sostituito da un potere proprio del proletariato, che non potrà essere altro che ciò che Marx definì nella Critica al programma di Gotha “una dittatura rivoluzionaria del proletariato”.

“Rivoluzionaria” significa qui tesa a smantellare gli istituti del capitalismo e ad organizzare il comunismo. Si tratta di un potere di transizione che non potrà esistere se non fintantoché nella società di transizione permarranno le vecchie classi. È proprio la sopravvivenza delle vecchie classi e dei loro interessi che imprime alla società di transizione la sua dinamica, che è di tensione alla soluzione di questi interessi conflittuali.

In ogni caso, quel che è certo è che la società comunista dovrà svilupparsi a partire da quella capitalista. Nella Critica al programma di Gotha Marx sottolinea che:

Quella con cui abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si è sviluppata sulla sua propria base, ma viceversa, come sorge dalla società capitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le impronte materne della vecchia società dal cui seno essa è uscita (2).

Per tali ragioni si rende necessario un periodo transizione, nel quale vigerà una forma inferiore di comunismo. Possiamo brevemente elencare le misure che riteniamo dovranno essere adottate nel Periodo di Transizione:

I mezzi di produzione dovranno essere trasformati in proprietà sociale, da proprietà di classe che erano; la produzione deve diventare produzione sociale.

I mezzi di consumo dovranno essere centralizzati dai consigli dei lavoratori, mentre la distribuzione dovrà essere organizzata da un un sistema di cooperative locali.

Tutti dovranno partecipare al lavoro produttivo, che già nella fase di transizione non sarà lavoro salariato, bensì sociale.

La giornata lavorativa dovrà essere abbreviata e reso disponibile del tempo libero che dovrà essere usato per sviluppare abilità e potenziale degli individui.

Gli strati non proletari dovranno essere inseriti nel lavoro produttivo. Una rivoluzione vittoriosa erediterà un mondo, probabilmente devastato dalla guerra, nella quale una significativa minoranza della popolazione si opporrà ad ogni misura comunistica. Gli interessi antagonistici di classe continueranno a sussistere. Sotto il capitalismo masse di persone sono impiegate in attività inutili o socialmente dannose. Settori come la finanza, le assicurazioni, la pubblicità, l’esercito, la burocrazia statale etc. dovranno essere aboliti, e bisognerà integrare al lavoro socialmente utile la popolazione impiegatavi. Inoltre la piccola borghesia e i contadini dovranno essere incoraggiati a collettivizzare e socializzare la produzione.

Il denaro dovrà essere abolito e dovrà essere introdotto un sistema di scambio basato su buoni di tempo di lavoro (approfondiremo ora questo punto).

La produzione andrà pianificata in ragione dei bisogni dello sviluppo umano.

I buoni-lavoro sono una misura di passaggio. Non potranno circolare e la loro convertibilità avrà una scadenza, per cui non potranno essere accumulati. Marx, nella Critica al programma di Gotha descrive il sistema in questo modo:

Egli (il lavoratore) riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto equivale a un lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un’altra (3).

I buoni di tempo-lavoro sono un mezzo per minare il sistema di produzione capitalista: profitti, dividendi, interessi e speculazioni mercato spariranno. Non potendo circolare non sono, spiega Marx, un tipo di denaro. Non possono circolare, quindi non è possibile formarvi uno stock di valore da cui far ripartire l’accumulazione capitalistica. Rappresentano una rottura colla forma salariata del lavoro. Marx certo nota che questo sistema non produce ancora una distribuzione in accordo coi bisogni, ma questo è un difetto inevitabile per una società nuova che pur emerge dal capitalismo.

I buoni lavoro sono stati criticati in quanto costituirebbero comunque un sistema di scambio, un sistema di valore a partire dal quale sarebbe possibile costruire un capitalismo di stato. Del resto proprio lo stesso Marx criticò Proudhon e i socialisti ricardiani che intendevano sostituire buoni lavoro al denaro, ma la sua critica si riferiva al fatto che intendessero il loro sistema come un metodo per cambiare la distribuzione dei prodotti lasciando inalterato il modo in cui vengono prodotti. Ma il modo di produzione rimanendo capitalista, i beni rimangono merci. Marx sottolinea a più riprese che le relazioni nella sfera della distribuzione sono determinate da quelle della sfera della produzione e che dunque tutti i tentativi di questo genere sono destinati al fallimento. Nella sua Critica del programma di Gotha, Marx propone la distribuzione del prodotto sociale attraverso i buoni lavoro come una misura temporanea, da attuarsi nel mentre che i rapporti di produzione vengono rivoluzionati. Il capitale viene espropriato e diviene proprietà sociale, ciò che trasforma i prodotti dei settori socializzati in prodotti sociali. Col procedere del processo di socializzazione i prodotti potranno essere liberamente distribuiti.

I buoni lavoro, inoltre, sono un utile sistema per incentivare la collaborazione, illuminando la natura sociale del processo di produzione. Marx dice chiaramente che non si tratta di un sistema di distribuzione equo, in quanto si basa ancora sulla riduzione di ogni lavoro a lavoro astratto, misurato secondo il tempo impiegatovi, invece che sui bisogni dei singoli lavoratori. Solo nella fase superiore del comunismo la società potrà distribuire in misura soltanto dei bisogni.

Ciò con cui abbiamo a che fare è un periodo di transizione, non un modo di produzione transitorio, o una formazione economico-sociale transitoria che possa avere una sua qualche stabilità.

I negatori

La discussione riguardo il periodo di transizione è inevitabilmente influenzata da quanto è avvenuto in Russia dopo la rivoluzione del ’17. In realtà non c’è mai stato un periodo di transizione, da nessuna parte. Riguardo il periodo di transizione gli insegnamenti della Rivoluzione Russa sono quasi esclusivamente negativi. Lo sviluppo russo negli anni successivi al 1917 non ha rappresentato in nessun senso un periodo di transizione. I rapporti di produzione erano capitalisti nel 1917 e tali sono rimasti fino ad oggi. Il lavoro salariato non è mai stato abolito.

La rivoluzione in Russia è stata una rivoluzione politica, che contava su un supporto in tempi ragionevolmente brevi da parte di altre rivoluzioni nel cuore industriale d’Europa, e specialmente in Germania. Dopo che le rivoluzioni in Europa sono state stroncate i bolscevichi hanno proceduto a costruire capitalismo di Stato in Russia. A ciò si è accompagnata una corrispondente oscena mistificazione dei principi in campo teorico. Inizialmente Lenin dichiarava che:

il capitalismo monopolistico di Stato è la preparazione materiale più completa del socialismo, è la sua anticamera, è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo (4).

Questa era l’idea della seconda e terza internazionale. Ci si aspettava evidentemente che delle misure atte a creare un capitalismo monopolistico di stato si sarebbe dovuta occupare la rivoluzione borghese, non quella proletaria. Non ci volle molto, tuttavia, perché il capitalismo monopolistico di stato venisse ribattezzato “socialismo”, o forma di comunismo inferiore, mentre lo stato e il partito venivano mobilitati per la sua realizzazione. Nel 1922 il consiglio supremo per l’economia lamentava che:

Il costo del lavoro è troppo alto sia in termini relativi che assoluti (5).

Ciò che non soltanto costituisce una confessione del fatto che in Russia esisteva la categoria della forza-lavoro - il che implica l’esistenza del capitale - è anche né più né meno la nota lamentela del borghese di ogni tempo, a fronte del fatto che i profitti e l’accumulazione capitalistici si possono ottenere solo con salari i più bassi. È un esempio di come i rapporti sociali nella produzione determino la sovrastruttura di una società, come scrive Marx nella prefazione a Per la critica dell’economia politica. La forma capitalistica della produzione generava in Russia una nuova classe borghese, gravitante sul partito bolscevico e sullo stato. Una classe impegnata in una rapida accumulazione del capitale attraverso la proletarizzazione del contadiname, in una rincorsa frenetica allo sviluppo occidentale.

Tutto ciò non si può ormai più negare, e pur tuttavia l’idea che il capitalismo di stato rappresenti una misura di transizione è ancora largamente diffusa e influisce sul dibattito riguardo la fase di transizione.

Per meglio chiarire la questione esamineremo tre organizzazioni o tendenze politiche che negano la necessità di un periodo di transizione: il Socialist Party of Great Britain, la Marxist Humanist Initiative e la Communisation Tendency.

Partito Socialista di Gran Bretagna (SPGB)

Le idee del Partito Socialista di Gran Bretagna riguardo al periodo di transizione sono state esposte in una recente pubblicazione dal titolo: L’alternativa al capitalismo. (6)

Dopo una chiara descrizione della società comunista vi si sostiene che un tale regime possa essere instaurato senza bisogno di un Periodo di Transizione, che s’intende sostanzialmente quasi solo nei termini di sviluppo delle forze produttive. Poiché dal 1875 ad oggi di ciò si è ampiamente occupato il capitalismo, ne segue che tutte le raccomandazioni fatte da Marx nella Critica al programma di Gotha sarebbero ormai obsolete.

Sarebbe ridicolo volersi attaccare pedissequamente a una formula di oltre un secolo fa, ignorando l’immenso sviluppo della tecnica produttiva che il capitalismo ha nel frattempo realizzato (7).

Evidentemente influenzati dall’esperienza russa, il principale argomento di questi compagni è che il capitalismo di stato non è un modo di produzione di transizione. Si rifanno alla tesi del trotzkista E. Mandel, secondo cui il periodo di transizione è necessario al fine di incrementare le forze produttive per via della loro insufficienza; durante un tal periodo i beni di consumo continuano ad essere merci. Ritengono insomma che il leninismo ammetta una graduale evoluzione dal capitalismo di stato al socialismo, ciò di cui denunciano giustamente l’impossibilità. Argomentano come una transizione graduale tra i due modi di produzione sia impossibile per via delle differenti forme che assume la ricchezza nelle due società: valori di scambio di contro a valori d’uso. La ricchezza, affermano, è una totalità che può essere prodotta nella sua interezza solo o come valori d’uso o di scambio. Il cambiamento può avvenire solo a patto di una rottura.

Ma la funzione del periodo di transizione non riguarda tanto l’incremento delle forze produttive della società; questi compagni ignorano in realtà i problemi più scottanti, per esempio quello di come integrare gli strati non proletari alla produzione sociale. Ciò, molto probabilmente, si deve al fatto che considerano la società attuale composta quasi esclusivamente da lavoratori. Capitalismo e socialismo, ci dicono, sono sistemi del tutto antitetici, che non possono in nessuna misura coesistere.

La scalata al socialismo ha da essere diretta; in quanto è una comunità mondiale in cui non ha corso il denaro e non esistono né classi né stati, il socialismo deve essere raggiunto immediatamente, o non lo potrà essere affatto (8).

A parte l’ammissione che si renderanno necessarie certe “misure temporanee”, non si trovano spiegazioni di come potrà avere luogo questa ascensione immediata. In generale si può dire che la risposta che ci fornisce l’SPGB è che dopo aver vinto le elezioni decreteranno per via parlamentare la socializzazione del capitale, l’abolizione di Stato, denaro e frontiere, e la libera distribuzione dei prodotti, in una rottura davvero massiva. Ma come si potrà difendere una simile rottura dall’inevitabile resistenza della borghesia? Non certo attraverso lo stato, che si è già abolito. L’SPGB direbbe che questa è una domanda mal posta: in quanto la maggioranza della popolazione li abbia già coscientemente eletti al parlamento sulla base di un simile programma, ne viene che non li ostacolerà nella sua realizzazione. Si tratta di un’argomentazione circolare le cui conclusioni sono contenute nelle premesse. Ma a parte la logicità dell’argomento il punto è che qui si assume un livello di coscienza rivoluzionaria che i proletariato potrà raggiungere solo nel corso di una rivoluzione, non certo durante una campagna elettorale borghese. Citando il Marx dell’Ideologia tedesca:

…tanto per la produzione in massa di questa coscienza comunista quanto per il successo della cosa stessa è necessaria una trasformazione in massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento pratico, in una rivoluzione; quindi la rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società (9).

Il rifiuto del periodo di transizione è parte integrale di un programma per il raggiungimento del socialismo che è completamente utopico.

Iniziativa umanista Marxista

Un altro raggruppamento che si è occupato della questione del periodo di transizione è la Marxist Humanist Iniziative. La posizione di costoro l’ha delineata Andrew Kliman in una lettura data alla Workers and Punks University di Lubiana, in Slovenia, intitolata L’incoerenza del periodo di transizione in quanto categoria marxiana.

Come per l’SPGB, la critica viene qui condotta a partire dall’idea che il capitalismo di stato sia un sistema economico transitorio che condurrebbe al socialismo, e anche qui ci si occupa dei fatti russi che hanno seguito il 1917. Si prende in esame un libro di Preobrazenskij, La nuova economia, che è del ’26, nel quale si sostiene che l’economia russa sarebbe parte socialista e parte capitalista. La parte socialista sarebbe quella controllata dallo stato; qui la produzione è pianificata. Preobrazenskij perora l’espansione di questo settore attraverso “un’accumulazione socialista primitiva”, che consisterebbe in una selvaggia espropriazione dei contadini. All’epoca Preobrazenskij (10) era un teorico dell’opposizione trotzkista di sinistra, che lottava per una rapida industrializzazione, di contro alla politica di compromesso coi contadini gelosamente custodita dalla Nuova Politica Economica adottata a partire dal ’21. Quando nel 1928 Stalin passò ad una politica di collettivizzazione forzata dell’agricoltura e di industrializzazione a rotta di collo, l’opposizione di sinistra valutò che avesse adottato la sua politica e si disciolse. Kliman argomenta chiaramente che, affinché i rapporti sociali capitalistici scompaiono, bisogna cambiare il modo di produzione, mentre una modificazione della mera proprietà formale dei mezzi di produzione non può cambiare nulla nei rapporti di produzione. Il capitalismo di stato rimane capitalismo, in nessun modo socialismo, e neanche transizione a tale forma.

Gli strali della sua critica, però, sono diretti al concetto stesso di società di transizione, che Preobazenskij accetta senz’altro. Ridicolizza l’idea che differenti modi di produzione possano coesistere in una società di transizione. Quale sarebbe il modo di produzione di una simile società? Esiste forse un terzo tipo di società, intermedio tra il capitalismo e il socialismo? Certo, ammette che si possa immaginare uno stato fluido di instabilità nel passaggio da una produzione capitalista ad una socialista, potrebbe anche ammettere un periodo di transizione, ma mai una società di transizione.

Kliman sostiene la sua tesi basandosi sul fondamentale concetto marxista per cui è la struttura economica che determina la sovrastruttura: i cambiamenti a livello politico, legislativo e di coscienza sono il prodotto di quelli nella sfera della produzione e non viceversa.

…le radici della divisione in classi della società affondano nel modo di produzione. Perciò la transizione tra lo stato capitalista e il non-stato socialista va intesa, come concetto marxiano, come corrispondente a, e basantesi su, la trasformazione rivoluzionaria del modo di produzione (11).

Ciò è certamente vero alla scala storica, ma il punto è che qui non viene affrontata la questione di come praticamente si trasforma il modo di produzione. Il fatto che una parte minoritaria ma significativa della popolazione si opporrà a una simile trasformazione, che comporterà per essa di perdere la sua ragion d’essere, per cui saranno necessarie misure atte a integrarla nella nuova società, non viene preso in considerazione da questi compagni. Un periodo di transizione corrisponde a un lasso di tempo. Durante un tal lasso di tempo - seppur sia vero che il comunismo non può coesistere per un lungo periodo col capitalismo nel modo che ha per esempio il capitalismo convissuto col feudalesimo - dovrà pur sempre esserci una qualche forma ibrida di società. Si tratterà di una società instabile e fluida, soggetta a cambiamenti imposti da una dittatura proletaria rivoluzionaria. La nuova società deve evolvere dalla vecchia e deve essere plasmata dall’azione degli uomini e delle donne. Ciò può basarsi solo sulla volontà delle persone, la cui coscienza non è esclusivamente determinata dalla sottostruttura nella maniera che suggerisce Kliman. La coscienza è un prodotto indiretto della base strutturale della società, un prodotto mediato da fattori storici e sociali. Se così non fosse cambiamenti di tipo rivoluzionario sarebbero affatto impossibili. Giusta la terza Tesi su Feuerbach di Marx:

La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.

Comunizzatori

Un’altra teoria corrente che nega la necessità di un periodo di transizione è che si è guadagnata popolarità negli ultimi anni è quella della “comunizzazione”. È una teoria che si deve a gruppi sviluppatisi nella temperie degli anni che vanno dal ’68 al 1975; alcuni provengono dall’Internazionale Situazionista, altri sono stati influenzati da “Invariance”, pubblicazione alla cui guida teorica era J. Camatte (12). Alla base di queste teorizzazioni troviamo di nuovo il sospetto che un periodo di transizione debba necessariamente portare a una ripetizione dell’esperienza russa e alla costruzione di un capitalismo di stato. Vediamo per esempio Dauvé e Nesic, del gruppo Troploir, che lamentano che “i leninisti” avrebbero scordato l’obiettivo marxiano di eliminare il lavoro salariato e si preoccuperebbero esclusivamente di instaurare un’economia pianificata.

In generale il periodo di transizione viene inteso come una ricetta controrivoluzionaria; esigono di contro l’immediata instaurazione del comunismo da parte della rivoluzione. Bruno Astarian si pronuncia in questi termini in un recente testo:

L’obiettivo della rivoluzione proletaria non consiste ormai più nell’instaurazione di una società di transizione, ma direttamente del comunismo (13).

Anche se non tutti i teorici della “comunizzazione” concordano su perché debba essere così, cercheremo ora di riassumere quelli che dovrebbero essere gli argomenti più importanti della teoria in esame.

I gruppi che sostengono la comunizzazione, in linea di massima, hanno cercato una base storica per le loro teorizzazioni: rifiutano la nozione di decadenza materiale del modo capitalista di produzione come è stata formulata dal Comintern e si concentrano invece sulla distinzione tra dominazione (o sussunzione) “reale” e “formale” della classe lavoratrice al capitale. Sostengono che durante il periodo della dominazione “formale” del capitale la riproduzione della classe lavoratrice non era completamente integrata al ciclo capitalistico. Durante questa epoca al proletariato era ancora possibile sostenere i propri interessi nel capitalismo. Col passaggio alla dominazione “reale” è la stessa riproduzione della classe operaia che viene totalmente integrata al ciclo del capitalismo. Con ciò viene irreversibilmente frammentata e la sua riproduzione medesima si fa sempre più difficile. Questa trasformazione del carattere dei rapporti di classe, continua il ragionamento, mette in questione l’esistenza stessa del proletariato, e con questa quella del modo di produzione capitalista: di conseguenza il comunismo viene posto all’ordine del giorno nell’agenda storica.

Camatte vede il periodo 1914-’45 come quello in cui la dominazione è passata da “formale” a “reale”. Il 1945, sostiene, ha rappresentato una controrivoluzione. Theorie Comuniste (Teoria Comunista, TC) propone una periodizzazione più complicata, secondo cui la “sussunzione” si divide in due fasi. Il periodo della sussunzione “formale” termina col 1900; la prima fase della sussunzione “reale” dura fino agli anni ’70, la seconda fino ad oggi. Secondo TC gli anni della controrivoluzione sarebbero quelli dal ’74 al ’95. Eliminando ogni barriera alla circolazione dei capitali, aprendo i mercati del lavoro nazionali, privatizzando il welfare e insomma con tutte le misure del cosiddetto neo-liberismo, il capitale avrebbe trasformato la natura dei rapporti di classe. Il proletariato è divenuto interno al capitalismo e ciò, dicono, ha reso i movimenti rivendicativi inutilizzabili per la classe. L’esistenza stessa del proletariato all’interno del capitalismo è messa in discussione e precaria. Tutto ciò rende possibile la comunizzazione.

Durante la fase della dominazione “formale” i movimenti rivendicativi e trade-unionisti potevano sostenere gli interessi della classe nel capitalismo (il che vuol dire in quanto uno dei poli nella relazione capitale/lavoro); col passaggio alla dominazione “reale” (o secondo la TC alla seconda fase di questa) ciò diviene impossibile. Ciò che solo è possibile è l’abolizione del proletariato come classe e delle divisioni di classe tout-court. È a partire da queste premesse che sviluppano la loro critica al periodo di transizione.

Intendono il compito di integrare gli strati non proletari nel lavoro socialmente utile, che il periodo di transizione implica di per sé, come se significasse una generalizzazione della condizione di proletario ad ogni individuo all’interno di una sorta di repubblica del lavoro. Ma ciò significherebbe lasciare immutata la condizione di proletario come uno dei poli del rapporto capitale/lavoro. Il capitalismo non potrà essere eliminato finché uno di tali poli esista; la generalizzazione della condizione di proletario non potrà mai farla finita col capitalismo, che riapparirebbe inevitabilmente in una forma o nell’altra. Il proletariato dovrà invece abolirsi in quanto proletariato. Come sarà possibile?

Ritengono che la tradizionale visione marxista riguardo il periodo di transizione, per cui prima si avrebbe la rivoluzione politica a cui seguirebbe l’implementazione delle misure comuniste, sia una ricetta fallimentare. Invocano invece le misure comuniste immediatamente durante, o addirittura prima della rivoluzione. Descrivendo la teoria della comunizzazione il giornale “End Notes” commenta:

Ove il comunismo è stato inteso come un qualcosa che richiedeva di essere costruito dopo la rivoluzione, la rivoluzione viene ora intesa come nient’altro che la produzione del comunismo (abolizione del lavoro salariato e dello stato) (14).

Le misure comunistiche, insomma, devono essere attuate sin dai primi passi della lotta di classe, prima anche della conquista del potere.

La lotta della classe lavoratrice deve essere diretta tanto contro il capitale quanto contro il lavoro; solo così potrà ottenersi l’abolizione delle classi e l’apparizione di una classe universale.

Sostengono infine che la legge del valore non può essere abolita progressivamente, ma deve essere distrutta immediatamente. Da tutto ciò tenderemmo a concludere che abbiamo da fare con una trasformazione discretamente rapida, ma “Troploir" ci informa che la trasformazione del capitalismo in comunismo richiederà decadi, se non generazioni:

… si avrà una transizione nel senso che il comunismo non verrà raggiunto dalla sera alla mattina. Ma non ci sarà un periodo di transizione… un periodo che non sarà più capitalismo ma non ancora comunismo (15).

Considerazioni preliminari

I concetti di dominazioni formale e reale che paiono costituire la base teorica della comunizzazione ci sembrano opinabili. Marx parla ad esempio di dominazione reale e formale del proletariato, ma lo fa in riferimento all’estorsione di plusvalore: associando la dominazione formale all’estorsione del plusvalore assoluto e quella reale a quella del plusvalore relativo. Non ci sembra che la teoria dei comunizzatori abbia individuata una solida base materiale per la distinzione tra formale e reale. Sostengono che la “sussunzione reale” integra completamente la riproduzione della forza lavoro all’economia capitalista, ma non è forse stato sempre così da che si è persa la connessione organica con la terra? Cos’altro mostrano gli schemi di riproduzione del secondo volume del Capitale, se non che la stessa riproduzione della forza lavoro è parte integrante dell’economia capitalista? Questa distinzione sembra descrivere più il dominio ideologico e culturale, che le condizioni e il ruolo della classe proletaria nei cicli della produzione materiale, e pare inoltre valida più che altro per i lavoratori delle vecchie metropoli imperialiste. Bruno Astarian scrive:

Il capitale ha condotto tutte le manifestazioni di vita al punto che, qualunque cosa tu faccia, sarai sempre sotto la sua proprietà (16).

Non sembra che ciò descriva le condizioni delle masse della periferia capitalista. L’irreversibile frammentazione della classe che osservano i comunizzatori è un fatto che ha riguardato più che altro le cittadelle di antico sviluppo capitalistico in seguito ai processi della globalizzazione. Nei paesi periferici permane la concentrazione di grandi masse in enormi fabbriche e stabilimenti, e inoltre la massa globale del proletariato sta crescendo proprio come previsto dalla teoria marxista. In che senso, è lecito chiedere, i lavoratori di paesi “periferici” come la Cina o il Sudafrica starebbero sotto la “sussunzione reale” del capitale, quando si tratta spesso di proletari di prima generazione, che hanno ancora la possibilità di far ritorno alla campagna in caso di depressioni capitalistiche o lunghi scioperi (come si è visto nel caso dei recenti scioperi dei minatori sudafricani)?

Bisogna poi spiegare come possa il proletariato concepire la necessità di sopprimersi in quanto classe sotto la “dominazione reale”: perché mai una classe, che esiste all’interno del capitalismo, dovrebbe lottare per abolire se stessa piuttosto che per rivendicare i propri bisogni di classe. Pretendere questo è pretendere che il proletariato si comporti in una maniera che contraddice con le regole del materialismo storico. Fintanto che vive all’interno della società borghese la classe lavoratrice non può che lottare per difendere i propri interessi e la propria esistenza all’interno di questa società. Ciò significa difendere i propri interessi nel capitalismo, fino a che questo non farà completa bancarotta, il che avverrà appunto attraverso lotte della classe per i propri interessi. A quel punto potrà porsi la questione di una società alternativa e dell’abolizione della classe proletaria in quanto tale, ma, ripetiamo, ciò non potrà darsi se non attraverso lotte per bisogni all’interno della società capitalista. Come lotte simili possano sorgere nel quadro della “sussunzione reale” non ci viene detto.

Al fondo di queste teorie s’intravede la maniera in cui i comunizzatori guardano al proletariato, “irreversibilmente frammentato”, “la cui riproduzione è completamente integrata ai cicli capitalistici”, in quanto soggetto della rivoluzione. Non c’è che un breve passo a separare la dominazione reale dalla integrazione reale. Camatte, per esempio, che ha fatto questo passo, ha finito per riconoscere la classe come un aspetto del capitale, incapace i superare la propria condizione ed ha abbandonato il marxismo. (17)

La critica dei comunizzatori all’inserimento di tutti nel lavoro socialmente utile durante il periodo di transizione sembra poi basarsi sulla confusione tra lavoro socialmente utile e lavoro salariato. Durante il periodo di transizione i mezzi di produzione stanno trasformandosi in proprietà sociale, e così i loro prodotti in prodotto sociale. Il lavoro sta diventando libera attività, da lavoro estorto che era. Il lavoratore non è più alienato dal suo lavoro e dal suo prodotto. L’integrazione nel lavoro utile è un passo verso l’integrazione di tutti nella comunità umana. Il rifiuto del lavoro, spesso invocato dai comunizzatori, minerebbe qualsiasi tentativo di costruire una società nuova. Come nota Marx, qualunque formazione sociale richiede lavoro:

Come il selvaggio deve combattere con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per mantenere e riprodurre la sua vita, così l’uomo civilizzato, che deve far ciò in ogni formazione sociale, sotto tutti i possibili modi di produzione (18).

Il punto è trasformare il lavoro in un’attività nello svolgimento della quale uomini e donne esprimano il loro talento, così da fare del lavoro un bisogno umano invece che un’attività alienata.

La pretesa di immediata socializzazione, come posta dai comunizzatori, non tiene conto del fatto che la nuova società si svilupperà a partire dal capitalismo ed avrà molti dei difetti di questa società. Nè viene preso in adeguata considerazione il fatto che nascerà dalla rivoluzione e dalla guerra civile. Alcune pubblicazioni danno l’impressione che la comunizzazione possa avvenire senza rivoluzione. Il già citato Bruno Astarian parla di iniziative locali che dividano la proprietà capitalista e la distribuiscano gratuitamente per assicurare la sopravvivenza individuale, per poi instaurare la produzione con distribuzione libera. Cose del genere (se mai hanno senso) possono realizzarsi solo dopo la distruzione del potere borghese e del suo stato, non possono da sé distruggere la forza statale.

Dopo la rivoluzione continueranno a esistere sopravvivenze delle vecchie classi, che lotteranno per riconquistare i vecchi privilegi. La descrizione marxiana di una fase di comunismo inferiore che tiene conto di questi fatti ci pare corretta a tutt’oggi. Molte misure comunistiche verrano adottate piuttosto rapidamente nella fase inferiore del comunismo, per esempio socializzazione dei mezzi di produzione, abolizione del denaro, introduzione dei buoni lavoro, somministrazione gratuita di servizi, trasporti liberi, diminuzione della giornata lavorativa etc. Misure che paiono di comunizzazione, ma che ovviamente non implicano l’abolizione dello stato.

Il potere politico, la dittatura del proletariato, consisterà nel sistema dei consigli dei lavoratori, che si preoccuperanno di attuare le misure di transizione, come la socializzazione della proprietà capitalista e la distribuzione del prodotto sociale, e di dissolvere i resti della classe capitalista nell’umanità in generale. Tutto ciò non può essere realizzato nel giro di una notte! Solo quando le classi non esisteranno più il potere politico si renderà superfluo e “lo Stato si estinguerà da sé”.

Conclusioni

Le conclusioni teoriche di Marx ed Engels riguardo la necessità di un Periodo di Transizione restano valide nonostante i 140 anni di sviluppo capitalistico intercorsi da quando fu scritta la Critica al programma di Gotha. Questo sviluppo ha relativamente ridotto il numero dei proletari dell’industria nei paesi capitalistici centrali, ma nei paesi periferici accade l’opposto. Nel complesso il peso del proletariato si è accresciuto.

La classe lavoratrice rimane il soggetto della rottura rivoluzionaria del capitalismo per il comunismo. Il fallimento della classe nel fare la rivoluzione nel periodo dal 1871 al 1968 non significa che si sia integrata nel capitalismo come implica la teoria della “sussunzione reale”. La classe lavoratrice rimane l’unica in grado di rovesciare il capitalismo e costruire un mondo comunista e non può essere integrata al sistema in quanto si trova in rapporti antagonistici col capitale.

Come abbiamo voluto ripetutamente sottolineare molte delle obiezioni al periodo di transizione hanno radice nel rifiuto del capitalismo di stato quale modo di produzione di transizione, ma implicano anche il rifiuto di un ruolo per un partito autonomo di classe; entrambe le cose vengono bollate come “leninismo”. Il partito politico della classe lavoratrice, ha un ruolo cruciale da giocare sia nel processo di sviluppo della coscienza rivoluzionaria, sia nello stesso periodo rivoluzionario.

CP

(1) K. Marx, Critica del programma di Gotha.

marxists.org

(2) Ivi.

(3) Ivi.

(4) V. Lenin, La catastrofe imminente e come lottare contro di essa.

marxists.org

(5) Si veda S. Pirani, The Russian Revolution in Retreat 1920-1924, p.193.

(6) A. Buick e J. Crump, The alternative to capitalism.

(7) Ivi, p. 89.

(8) Ivi, p. 92.

(9) K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca.

marxists.org

(10) Preobrazenskij è stato fucilato sommariamente senza processo nel 1939.

(11) Si veda qui:

marxisthumanistinitiative.org

(12) Di J. Camatte vedi Capital and Community.

marxists.org

(13) B. Astarian, Communisation as a way out of the crisis.

(14) “End notes” 1, p. 13.

(15) G, Dauvé e K. Nesic, Communisation, p. 11.

(16) B. Astarian, op. cit.

(17) Teorici della Scuola di Francoforte come Adorno e Marcuse hanno inteso la classe operaia come completamente integrata al capitalismo e si sono rivolti ad altri strati sociali come possibili forze per il superamento del capitalismo.

(18) K. Marx, Il capitale, vol. 3, cap. 48.

(19) I compagni inglesi della CWO hanno affrontato questa importante problematica in un opuscolo dal titolo Class Consciousness and Communist Organisation, di prossima traduzione.

Martedì, April 5, 2016

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.