Syriza ci salverà dalle grinfie del capitalismo “europeo”?

Come da copione, il 29 dicembre la Borsa di Atene ha accolto l'indizione delle prossime elezioni politiche – il 25 gennaio – con una caduta del quattro per cento circa, che fa il paio con quella del 9 dicembre, quando perse il 12,7%, trascinando al ribasso altre borse europee.

Negli ultimi giorni del 2014 è infatti fallito il tentativo del governo di far eleggere il proprio candidato alla presidenza della repubblica, per cui, secondo la costituzione, non rimane altra strada che quella delle elezioni politiche anticipate. Quello che ha creato ansia e apprensione nei “mercati” è la possibilità molto concreta che Syriza, il partito della sinistra detta radicale (?), conquisti la maggioranza relativa e quindi riceva l'incarico di formare il futuro governo. I sondaggi attribuiscono a questo partito il 27% dei voti e anche se ultimamente c'è stato un lievissimo calo (sembra), pare che per Neo Demokratia, la formazione, di centro-destra, di Samaras, attuale primo ministro, non ci siano speranze di rimonta, a meno di sorprese clamorose. Naturalmente, è già partita la campagna di “terrorismo mediatico” contro Syriza e il suo leader, Alexis Tsipras, accusati di voler vanificare i sacrifici fatti dal popolo greco, sospingendo nuovamente il Paese nel caos, a causa di un programma economico-politico ostile all'Europa e ai “mercati” stessi. Persino Juncker, presidente della commissione europea, si è rivolto all'elettorato greco, invitandolo a votare con senso di responsabilità, cioè contro Tsipras. Ma è davvero così temibile il suo programma? Veramente può scardinare l'impalcatura dell'Unione Europea, se non del capitalismo, del vecchio continente? Prima di rispondere, è utile fare un passo indietro per avere una visione più ampia del quadro.

Come tutti sanno, la Grecia era considerata un fiore all'occhiello del “neoliberismo” europeo, tanto che le olimpiadi di Atene erano state una vera e propria celebrazione laica della prosperità che l'adesione senza riserve alla religione dei “mercati” aveva procurato al paese ellenico. Tutto bene (si fa per dire), finché la crisi dei subprime ha fatto emergere le magagne di uno “sviluppo” economico fondato per lo più sul debito, sulla speculazione finanziaria (oltre che sul maggior sfruttamento della forza lavoro), sulla speranza, in fin dei conti, che il denaro potesse creare altro denaro (come diceva Schacht, ministro delle finanze di Hitler) saltando il processo produttivo, cioè quella che viene chiamata l'economia reale. Sia chiaro, questa è l'impronta generale del sistema capitalistico odierno, ma in alcuni paesi (finora...), per le loro particolarità specifiche, l'inceppamento del meccanismo ha avuto conseguenze particolarmente drammatiche. Conseguenze drammatiche non per tutti, naturalmente, ma “solo” per la grande maggioranza della popolazione: il proletariato, il mondo del lavoro dipendente, parte della piccola e persino media borghesia, formata da imprenditori piccoli e un po' meno piccoli, falliti o sull'orlo del fallimento. Oggi, la metà delle imprese con meno di cinquanta dipendenti corre il rischio di chiudere (Il Fatto Quotidiano, 23-04-'14), schiacciate da fatturati in caduta, dai debiti verso il fisco e e banche. Ma se alcuni settori della borghesia, quelli collocati più in basso nella sua scala gerarchica, hanno poco da ridere, al proletariato viene fatto versare un fiume di lacrime. Dal 2008 a oggi, le statistiche ufficiali non rilevano altro che un drammatico precipitare delle sue condizioni di esistenza. In cambio degli aiuti per impedire il default, il fallimento del paese, la famigerata Troika – UE, BCE e FMI – ha imposto ai governi politiche di austerità (Memorandum) che hanno sparso miseria, dolore e pianto a piene mani. Tagli da macellai al salario diretto, indiretto e differito (lo stato sociale), con la conseguente riduzione della capacità di consumo di larghe masse, la quale, a sua volta, ha provocato o accelerato la crisi e la chiusura di tante imprese (dalla bottega alla fabbrica). Il PIL è calato del 25%, la disoccupazione è al 27% (al 57% per i giovani), a moltissimi lavoratori i salari – quel poco che resta – vengono pagati con mesi di ritardo (fino a un anno) o addirittura in generi alimentari e ticket per i supermercati. Sempre più spesso il personale scolastico registra casi di denutrizione tra gli scolari, a cui tenta di fare fronte con le collette (1); per non dire dell'espansione di malattie gravissime – quali l'AIDS – o dei suicidi. La natura intimamente criminale e criminogena del capitalismo dà, diciamo così, quasi il meglio di sé: tanta sofferenza, tanta disperazione sono i presupposti per la concessione dei famosi aiuti – almeno 240 miliardi di euro – elargiti dalla Troika al fine di tenere a galla il capitale finanziario europeo (in primis, francese e tedesco). Siccome poi il capitale è un omicida seriale, ancora in questi giorni di dicembre ha posto come condizione di un ulteriore “aiutino” da 2,5 miliardi (sempre allo stesso beneficiario), l'innalzamento dell'IVA e dell'età pensionabile. In breve, la stessa musica che suona dappertutto. Suvvia, dicono i borghesi, non bisogna eccedere nel drammatizzare: chi “gufa” butta sabbia nel carburatore e sabota la ripartenza. Qualche bambino avrà rinunciato alla merendina, qualche nonno sarà crepato, pardon, ci avrà lasciato un po' prima, avremo anche (s)venduto i gioielli di famiglia al capitale cinese, saudita ecc. (isole, aeroporti, infrastrutture varie), ma adesso abbiamo agganciato la ripresa: la bilancia dei pagamenti ha registrato nel 2013 un surplus di 1,24 miliardi e se nel frattempo il debito pubblico ha toccato il 175% del PIL, intravvediamo però la famosa luce in fondo al tunnel.

Ora, che la gigantesca svalutazione di capitale (2) in atto abbia dato qualche frutto (solo ed esclusivamente al capitale stesso) può essere, come risulta dal boom del turismo (di cui l'immiserimento e quindi la ricattabilità della classe salariata è componente fondamentale), ma da lì a sostenere che l'economia greca si sia lasciata alle spalle le difficoltà ce ne corre, parecchio (3). D'altra parte, il problema del capitalismo greco è lo stesso del capitalismo europeo e internazionale: un saggio del profitto che non vuole saperne di risalire a livelli sufficientemente remunerativi rispetto a una determinata composizione organica, rispetto all'entità degli investimenti necessari per generare veramente un ciclo di accumulazione globale.

In questo scenario ha preso slancio Syriza, che tante aspettative suscita in larghi strati di popolazione immiserita e saccheggiata. In pochissimi anni, questo partito è passato dal 4,5% al 27% (sembra) dei consensi elettorali, in forza della sua opposizione alle politiche di austerità. Infatti, il suo programma prevede il rifiuto del Memorandum, l'innalzamento del salario minimo e delle pensioni (dell'importo, non dell'età), il taglio del 70-80% del debito. Non si pone affatto in un'ottica antieuropeista né vuole uscire dall'euro – come tanti erroneamente dicono – ma vuole “solo” imprimere un cambiamento di direzione in senso “sociale” ed ecologista all'Unione Europea. Tsipras ovviamente sa che si tratta di obiettivi graditi pochissimo a Francoforte, Bruxelles e Strasburgo e mentre da una parte lascia balenare la possibile uscita dall'euro – come ultima carta da calare – per tenere sulla corda gli avversari, dall'altra manda una delegazione alla City di Londra, uno dei templi del parassitismo finanziario, per mostrare la propria rispettabilità. Sorvolando sul fatto che una formazione politica realmente anticapitalistica (cioè rivoluzionaria) non andrebbe mai a “prendere il tè” coi banchieri della City né certamente questi l'inviterebbero, Syriza, se davvero vuole realizzare il suo programma, va a sbattere contro un muro: quello del capitalismo europeo e delle sue istituzioni, che per essere anche solo intaccato, per non dire abbattuto, avrebbe bisogno di ben altri strumenti. Non è solo un provvedimento – benché molto importante, come il Memorandum – da demolire, ma è l'intera struttura politico-istituzionale europea come si è andata strutturando (4) che deve essere smantellata. Ancora di più: è il capitalismo in sé, con le sue necessità prodotte da questa specifica fase della sua esistenza, un capitalismo che ha espresso quella struttura politica, che deve essere attaccato e raso al suolo. Per citare uno dei tanti problemi che Tsipras si troverà di fronte, dove prenderebbe i soldi necessari per dare vita a un “New deal” europeo? Pur rimanendo dentro i meccanismi borghesi, potrebbe imporre un'imposta fortemente progressiva sulla ricchezza, una “patrimoniale”, ma questo farebbe scappare i capitali esteri e, in generale, provocherebbe tensioni fortissime tra la stessa borghesia “nazionale”. L'avvertimento-minaccia di Juncker va in questo senso. Si tratterebbe, allora, per Syriza di fare un salto politico, denunciando in blocco il debito e l'intera struttura economico-politica dell'UE, chiamando il proletariato greco alla mobilitazione generale contro il sistema nel suo insieme, facendo appello al proletariato europeo (residente in Europa) perché agisca nello stesso modo contro le rispettive borghesie. Per rispondere adeguatamente a Schauble, ministro tedesco dell'economia (che ha messo in guardia da una denuncia anche solo parziale e in ogni caso unilaterale del debito), Tsipras dovrebbe chiamare alla lotta la classe lavoratrice di Germania, a cominciare da quei quattordici milioni di lavoratori che sbarcano molto faticosamente il lunario tra minijobs e lavori da meno di sei euro all'ora (5). Ma... ma non siamo sognatori – cioè, non nel senso deteriore del termine – e sappiamo benissimo che Syriza non si spingerà a tanto, nonostante le patetiche lamentele dei trotskisti aderenti a questa formazione politica – (im)potenza dell'entrismo trotskista! Se Tsipras andrà al governo, da solo o in coalizione, al massimo riuscirà a fare un po' di maquillage, qualche ritocco qui e là, ma, rispettando le regole fondamentali del capitale, non si spingerà, non potrà spingersi molto in avanti. Per una volta, concordiamo con l'organo del padronato italiano, il quale ha scritto, a proposito di Syriza, che «non si tratta di gestire l'età della distribuzione del reddito ma quella dell'austerity e dei sacrifici» (V. Da Rold, Il Sole 24 ore, 10-12-'14). Vero, ma mentre per la borghesia ciò significa che il proletariato deve rassegnarsi e sottomettersi docilmente a un ordine considerato naturale, per noi è la prova che il proletariato niente deve e può aspettarsi dal riformismo, se non scottanti illusioni, che dunque non ha altra scelta che spezzare un ordine sociale, cioè opera degli uomini: quindi, come tutte le cose umane, può essere cambiato con un altro, diverso e migliore.

CB

(1) Purtroppo, non c'è “solo” la denutrizione: i tagli feroci alla sanità hanno provocato anche un aumento del 43% della mortalità infantile: repubblica.it

(2) Capitale costante (macchinari, edifici ecc.) e variabile (la forza lavoro).

(3) Lo stesso aumento, modesto del PIL è considerato da alcuni un trucco contabile: vedi l'intervista all'economista di Syriza Yanis Varoufakis, il manifesto del 30 dicembre 2014.

(4) Leggi, ordinamenti, politiche di bilancio, fiscal compact ecc.

(5) Vedi l'intervista a Luciano Gallino, in Sbilanciamoci n. 7 del 7 marzo 2014.

Domenica, January 4, 2015

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.