Chiarezza e concretezza

Di questo ha bisogno la classe lavoratrice, non di riformismo e sciopericchi

Già a partire da settembre la CGIL e i diversi “sindacati di base” avevano annunciato l’ “autunno caldo” per contrastare le iniziative del governo che, se approvate, avrebbero ulteriormente peggiorato le condizioni della classe lavoratrice. Nei successivi quattro mesi sono state diverse le iniziative di protesta messe in campo e ben quattro gli scioperi generali (1).

L’annunciato “autunno caldo” ormai è alle spalle e sarebbe pur tempo di fare un bilancio. Durante questi quattro mesi le varie iniziative sono state accompagnate da proclami altisonanti e da comunicati post-evento che di volta in volta esaltavano a dismisura la partecipazione, le forze messe in campo e, soprattutto, le prospettive di lotta.

La nostra valutazione circa la reazione avuta dalla classe lavoratrice nei confronti dei recenti attacchi del governo è completamente diversa da quelle entusiasmanti prodotte dai sindacati e dai gruppi politici che li affiancano (istituzionali o extraparlamentari). Partiamo innanzitutto da un dato oggettivo e immediato (2). Le proteste e gli scioperi generali contro i provvedimenti del governo non hanno portato risultati. Nessuna richiesta dei sindacati è stata accettata, le iniziative del governo (tutte!) hanno continuato il proprio corso. Certo, non può essere soltanto intorno a questo elemento che si può sviluppare un bilancio, ogni lotta infatti può essere vinta o persa, ma nel fare il bilancio questo dato “immediato” non può essere ignorato. Aldilà di quanto l’autunno sia stato effettivamente “caldo”, andrebbe allora almeno detto che questi mesi di protesta e scioperi si chiudono, oggettivamente, con una sconfitta totale.

Sottolineato ciò, a nostro modo di vedere le cose stanno ancora peggio. L’autunno della classe lavoratrice è stato realisticamente freddo: la classe degli sfruttati non ha dato significativi segnali di reazione agli attacchi del governo. Non si tratta quindi semplicemente di una sconfitta ma, purtroppo, di una battaglia non combattuta. Per fare un serio bilancio infatti bisogna mettere a confronto il peso dei provvedimenti messi in campo dal governo con la reale conflittualità espressa dalla classe proletaria durante l’ “autunno caldo”.

Il 2014 si chiude con un forte avanzamento dell'attacco alle condizioni di vita e di lavoro proletarie, che già erano alquanto disastrate. Lo scorso 24 dicembre il Consiglio dei ministri ha approvato anche il primo decreto attuativo del “Contratto a tutele crescenti”, cancellando di fatto l’art.18 dello Statuto dei lavoratori e nel corso del 2015 il disegno potrebbe essere esteso anche ai dipendenti pubblici. Ma il piano padronale, di cui Renzi è semplicemente portatore, è più ampio e complesso. Una volta saggiata la debolezza del fronte del lavoro si potrà passare all'elezione del nuovo presidente della repubblica che dovrà patrocinare la riforma dello stato in chiave ancor più autoritaria, la riforma della pubblica amministrazione livellerà verso il basso le condizioni dei dipendenti statali e quella fiscale dovrebbe scambiare l'emersione di una fetta di economia “sommersa” con la sostanziale e complessiva riduzione del carico fiscale su imprese e investimenti.

Anche l’art. 18 quindi sparirà. Quello che doveva essere un “diritto inviolabile” è stato di botto spazzato via, ed il tutto è avvenuto senza colpo ferire. L'affondo natalizio di Renzi sull’art. 18 non ha trovato alcuna significativa opposizione di classe. Questo dato, più di ogni altra cosa, evidenzia il carattere semplicemente rituale degli scioperi proclamati in autunno. Tale passività mostra chiaramente quanto quelle iniziative non rappresentassero un reale risveglio di classe, bensì il frutto delle solite iniziative di facciata della CGIL o, perlopiù, il risultato dell’impostazione movimentista di alcune realtà politiche extraparlamentari.

Le manifestazioni numericamente più partecipate sono state quelle organizzate dalla CGIL (3) ma questo dato conta poco. La CGIL infatti ha i mezzi per portare la “gente in piazza” quando e come vuole, grazie ad una rete logistica ed organizzativa finanziata attraverso le numerose entrate e con il supporto dello stesso stato (4). Passando a valutare il livello della conflittualità messa in campo, nella sostanza questa è stata sotto lo zero. Espressione emblematica di ciò sono state le manifestazioni legate allo sciopero generale del 12 dicembre: la solita sfilata, con palloncini, bandiere, musica; sembrava una festa più che una giornata di protesta.

Le iniziative della CGIL erano solo di facciata. Esse hanno avuto diversi scopi: 1) mostrare un minimo di vitalità agli iscritti e continuare ad istituzionalizzare il conflitto di classe per poi poterlo gestire di concerto con i padroni; 2) mostrare la propria capacità di controllare “le masse”, per dare un segnale a quella parte della borghesia che vorrebbe estrometterla dalla gestione del “sistema paese”. La CGIL vuole semplicemente continuare a sedersi ai tavoli per concertare, vuole mantenere la propria fetta di potere, con i relativi guadagni; 3) le iniziative della CGIL sono state anche uno strumento attraverso il quale le componenti interne del PD hanno portato avanti la loro battaglia ma anche in questo caso si tratta di una lotta per la gestione del potere e di fette di profitto (5).

I sindacati “di base” sono per diversi aspetti diversi da quelli confederali ma ciò non toglie che essi stessi svolgano un ruolo negativo, sia sul piano dello sviluppo della lotta rivendicativa che rispetto al processo di maturazione della coscienza rivoluzionaria tra i proletari. L’ “autunno caldo” ha evidenziato per l’ennesima volta i limiti propri del sindacalismo “di base”, il quale da un lato può anche contribuire a far nascere momenti di lotta ma, alla lunga, con le sue pratiche sindacali e riformiste ne frena l'ulteriore sviluppo ed impedisce la crescita sul piano politico (6).

Nonostante, durante l’autunno, i diversi sindacati “di base” esprimessero contenuti rivendicativi quasi sovrapponibili le varie sigle, o le coalizioni di sigle, hanno badato a curare il proprio terreno. Sono venute così fuori mille iniziative, riproducendo quella pratica corporativa e “di bottega” che non fa altro che confondere e dividere ulteriormente i lavoratori.

Come i confederali, hanno dato agli scioperi un carattere rituale. Scioperi dichiarati mesi prima – aldilà dell’effettiva forza a disposizione - e con scadenza prefissata, che non va oltre la giornata rituale. Pratica questa che continua a spuntare l’arma dello sciopero.

A nostro modo di vedere, anche le mille iniziative messe in campo dai sindacati “di base” non hanno molto a che fare con un reale sviluppo della lotta di classe ma sono servite soprattutto alle diverse sigle sindacali, e ai loro tifosi politici, per marcare il territorio, per mostrarsi formalmente più combattive delle sigle concorrenti. Ma soprattutto, queste iniziative sono servite a fornire un contenitore “di lotta” ai loro progetti di riformismo radicale. Tutto ciò rispecchia la reale natura dei sindacati “di base”. Queste strutture infatti fanno leva sul tema rivendicativo ma di fatto sono nate per iniziativa di organizzazioni di militanti (o “ex”) politici. Ciò lo vediamo chiaramente sia dal peso che assumano gli slogan del radical-rifomismo nelle diverse “piattaforme rivendicative” che dalle indicazioni strettamente politiche che queste sigle sindacali promuovono.

Purtroppo il trascorso “autunno caldo” ha continuato a mostrare una borghesia forte e all’attacco ed un proletariato diviso, impaurito, scoraggiato. Questo sonno della lotta di classe proletaria continua ad alimentare mostri politici. Da un lato compagni che, sconfortati, abbandonano l’attività o si ritirano a “studiare” e “approfondire”, senza misurarsi con il complesso fenomeno classe. Dall’altro lato troviamo compagni generosi ma che - rimandando a domani il problema dell’intervento politico comunista - si perdono dietro progetti radicalriformisti, nelle pratiche autoreferenziali e movimentiste.

Crediamo di essere tra i pochi ad aver posto negli ultimi anni in modo così netto, chiaro e concreto il problema dell’intervento politico comunista oggi tra i lavoratori. Di fronte al sonno della lotta di classe proletaria non bisogna deformare la realtà inventandosi la ripresa della lotta. Così come non si può pretendere che possa essere la semplice azione di una minoranza politicizzata a far partire le lotte o, addirittura, autoproclamarsi come “il movimento”. Noi riteniamo che l’impegno comunista debba essere rivolto verso percorsi più concreti. Bisogna porsi, anche in questi momenti bui, obiettivi da comunisti, contribuire sì – per quello che si può - a risvegliare percorsi di lotta vera ma stando con i piedi per terra ed agendo da subito politicamente nella classe, per sciogliere i nodi politici, stimolando la crescita della coscienza in senso rivoluzionario; partendo proprio dall’evidenziare il limite della sola lotta rivendicativa e la necessità di costruire una società su basi comuniste.

Sì, bisogna essere più concreti e oggi per noi tale concretezza si traduce nell’azione volta alla chiarificazione politica in senso comunista che punti, in particolare, alla maturazione dei lavoratori più combattivi, per coinvolgerli nel lavoro di costruzione e radicamento del partito di classe.

NZ

(1) L’ultimo è stato proclamato da CGIL, UIL e UGL il 12 dicembre. Le critiche dei sindacati al governo erano rivolte soprattutto contro le legge di stabilità, l’ulteriore ondata riformatrice che ha colpito l’istruzione (la cosiddetta “buona scuola”) e contro il famigerato Jobs act.

(2) Spesso infatti ci accusano, in mala fede, di non preoccuparci delle rivendicazioni e di “pensare solo alla rivoluzione”. Noi - che da rivoluzionari in realtà siamo molto più concreti di tanti altri… - vogliamo porla l’attenzione su tali “risultati immediati” ma vogliamo farlo con obiettività.

(3) Includendo ovviamente anche quelle della FIOM, la quale – ricordiamo – è parte integrante della CGIL.

(4) Inoltre spesso le manifestazioni sono state gonfiante anche dalla partecipazione di molti affezionati pensionati. Per non parlare poi del supporto mediatico avuto, sostegno del quale invece i sindacati “di base” non posso avvalersi.

(5) Per non apparire dei superficiali criticoni facciamo qualche esempio, utile a dare sostanza alle nostre critiche. Landini si era spinto fino ad annunciare l’occupazione delle fabbriche. L’art. 18 è stato fatto fuori, eppure le fabbriche continuano a funzionare e a produrre profitti per i padroni. Altro esempio: recentemente la CGIL (compresa la FIOM) fa la voce grossa contro la precarietà ma non dimentichiamo che non ha mosso un dito contro i primi provvedimenti governativi che hanno spianato la strada alla precarizzazione del mondo del lavoro, come il Pacchetto Treu del 1997. Altro dato significativo: lo stesso Epifani, ex segretario CGIL e oggi parlamentare del PD, ha votato a favore del Jobs act. E si potrebbe continuare all’infinito…

(6) Abbiamo già abbondantemente analizzato sul nostro sito web le iniziative del sindacalismo “di base” nell’articolo “Scioperi rituali, poche lotte, tante illusioni riformiste”, proseguiamo questa nota riportiamo brevemente solo alcune conclusioni contenute in quell’articolo.

Mercoledì, January 7, 2015

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.