Il ritorno della Russia nello scacchiere centro-asiatico

Gli attacchi terroristici alle torri gemelle di New York e al Pentagono e la successiva risposta militare degli anglo-americani hanno aperto nuovi scenari nei rapporti interimperialistici.

Se si guarda oltre la propaganda della borghesia, che descrive questa nuova guerra come la lotta dell'occidente contro il terrorismo islamico, quella che si sta combattendo in Afghanistan è una guerra imperialistica in cui la posta in gioco è veramente altissima. Una guerra che ha visto scendere in campo la prima potenza mondiale per il controllo di un'area importantissima per la gestione dei flussi di petrolio e quindi per l'appropriazione della rendita finanziaria derivante dal petrolio stesso. Non è stato proprio un caso che a poche ore dal crollo dei due grattacieli di New York e di un'ala del Pentagono gli Stati Uniti abbiano subito puntato il dito contro Osama bin Laden e il regime dei Talebani che ha governato l'Afghanistan negli ultimi cinque anni.

L'Afghanistan è un paese poverissimo, privo di significative risorse energetiche e per di più distrutto da oltre due decenni di guerra, ciò nonostante rappresenta un crocevia d'interessi strategico in quanto sul proprio suolo dovrebbe scorrere il petrolio proveniente dal mar Caspio e diretto nell'oceano Indiano. Storicamente l'Afghanistan è stato sempre al centro dell'interesse di quelle potenze imperialistiche che si sono poste l'obiettivo di controllare l'area centro-asiatica e del sub continente indiano. In passato gli inglesi e più di recenti i russi, con l'invasione del 1979, hanno tentato di imporre il proprio potere su questa terra che funge da cerniera tra il Medio-oriente e l'Asia; entrambi però hanno subito cocenti disfatte, tanto da lasciare sul campo migliaia di morti.

L'operazione "Libertà duratura" con la quale gli Stati Uniti, con il fido alleato inglese, hanno iniziato il bombardamento a tappeto dell'Afghanistan ha subito un'improvvisa quanto inaspettata accelerazione. Il governo dei Talebani, che fino a pochi giorni prima del suo crollo sembrava potesse continuare ancora per molto la guerra, si è dissolto con la stessa rapidità con la quale aveva conquistato il potere nel settembre del 1996. La fuga improvvisa da Kabul e dalle altre città dell'Afghanistan da parte dei talebani e la conquista in pochissimi giorni di quasi tutto il territorio afghano da parte dell'Alleanza del nord ha sicuramente colto di sorpresa gli americani. Infatti, solo il giorno prima dell'entrata dell'Allenza del nord nella capitale avevano intimato all'opposizione anti-talebana di non conquistare Kabul e di aspettare gli ordini del comando militare statunitense.

La controffensiva dell'Allenza del nord, che fino a qualche giorno prima controllava con enorme difficoltà solo la parte più settentrionale del paese pari al 5% dell'intero territorio, non è solo il frutto dei bombardamenti quotidiani da parte degli anglo-americani, dei quali si sono spesso lamentati per la mancanza assoluta di coordinamento, ma è stata possibile soprattutto grazie all'aiuto militare dell'altra grande potenza militare: la Russia.

Nonostante lo sforzo bellico profuso dagli Stati Uniti per conquistare un'area strategica come quella afghana, gli americani rischiano di essere scavalcati dalle forze militari locali presenti sul terreno dell'Afghanistan. Con la caduta del governo talebano l'Afghanistan rischia di ripiombare in una guerra di tutti contro tutti, nella quale le varie tribù e i numerosi clan si scontrano ferocemente tra di loro per il controllo del territorio. Una situazione che l'Afghanistan ha già vissuto nella prima metà degli anni novanta dopo la ritirata dell'esercito russo; per ben quattro anni, dal 1992 al 1996, anno della conquista del potere da parte dei talebani, la guerra ha trasformato l'Afghanistan in un campo disseminato di morti e di mine pronte ad esplodere magari al passaggio di profughi in fuga verso il Pakistan.

Russia e petrolio

Nel rimescolamento delle alleanze che ogni guerra determina, la Russia in questa fase particolare appare come una potenza militare che torna a giocare un ruolo di primo piano non solo nel paese attualmente teatro della guerra, ma in una vasta area che per gli interessi economici in ballo coinvolge tutti quei paesi compresi tra i Balcani e la Cina.

Dopo il crollo dell'Urss e il dissolvimento del cosiddetto "socialismo" reale la Russia nell'ultimo decennio aveva perso parte del controllo nella parte meridionale dell'ex impero. L'insieme delle repubbliche centro-asiatiche, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkemenistan, ottenuta l'autonomia politica da Mosca, hanno cercato nuove alleanze strategiche per sfruttare con maggiori vantaggi rispetto al passato le proprie risorse energetiche. Proprio in quest'area dell'ex impero sovietico gli Stati Uniti hanno cercato in questi ultimi anni una penetrazione economico-militare (vedi gli accordi per lo sfruttamento di alcuni pozzi petroliferi e la concessione di basi militari da parte del governo uzbeko), infliggendo a Mosca delle vere e proprie umiliazioni, soprattutto durante la gestione di Eltsin. Il processo di penetrazione statunitense nella regione centro-asiatica ha origine nei primissimi anni ottanta, quando durante l'invasione russa dell'Afghanistan finanziano e sostengono militarmente la guerriglia antisovietica. È in questo periodo che iniziano i primi rapporti tra i servizi segreti americani ed un giovane saudita di nome Osama bin Laden. Quello che in futuro sarebbe diventato il maggiore indiziato dell'attentato alle torri gemelle ed al Pentagono nel quale hanno perso la vita migliaia di uomini, moltissimi dei quali operai, ha iniziato la sua carriera politico-militare al servizio della Cia.

Negli anni novanta in concomitanza del crollo dell'impero russo gli Stati Uniti inaugurano una politica d'intervento militare nell'area del Golfo Persico per controllare direttamente il più importante bacino petrolifero del mondo. Per gli Stati Uniti controllare il petrolio è diventato un fatto di vitale importanza, non solo perché il greggio è la principale fonte energetica ma anche e soprattutto per gli strettissimi rapporti che intercorrono tra il prezzo del petrolio, il dollaro e la rendita finanziaria.

Dopo essersi installati nella penisola arabica, in seguito alla guerra del Golfo, e controllare quindi il petrolio del golfo persico, agli Stati Uniti mancava il tassello dell'Asia centrale per un controllo totale del greggio. Infatti, in questa area secondo le stime effettuate da importanti società petrolifere americane si troverebbero oltre il 40% delle riserve energetiche del pianeta (negli ultimi anni tale stima è stata rivista al ribasso, anche se i giacimenti sono di straordinaria importanza). Per tutti gli anni novanta gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per mettere le mani su questa fonte energetica. Le repubbliche ex sovietiche hanno firmato tutta una serie di accordi con delle società americane per l'estrazione del petrolio, ma tali accordi sono rimasti lettera morta per l'impossibilità di trasportare il petrolio dalla regione del mar Caspio alle aree di consumo europee ed asiatiche.

L'appoggio dato dagli Stati Uniti al governo dei talebani (aiuto fornito tramite i servizi segreti pakistani, il famigerato Isi), ha avuto la funzione di favorire la"pacificazione" dell'Afghanistan e permettere al fiume di petrolio proveniente dal mar Caspio di arrivare, tramite il Pakistan, nell'Oceano Indiano. L'asse costituito dalla Cia, dall'Isi e dai talebani ha funzionato solo per un breve lasso di tempo, fino a quando gli Stati Uniti si sono accorti dell'incapacità degli allievi delle scuole coraniche di poter governare su tutto il territorio e permettere quindi la realizzazione del progettato oleodotto. È in questo contesto che la Russia inizia ad appoggiare la cosiddetta Alleanza del nord, un insieme alquanto eterogeneo formato da diverse etnie e capi tribù uniti solo dalla volontà di opporsi alle forze talebane giudicate dalle altre minoranze etniche come dei conquistatori pakistani. Il sostegno politico e militare fornito da Mosca a quelli che fino a qualche anno prima erano stati i guerriglieri oppositori all'invasione russa, non è mai andato oltre il minimo indispensabile per impedire ai talebani di conquistare l'intero territorio afhgano e permettere quindi la realizzazione dell'oleodotto.

L'attacco terroristico al cuore economico-militare degli Stati Uniti e la successiva guerra scatenata dagli Stati Uniti contro l'Afghanistan ha innescato un processo nel quale la Russia può giocare nuove carte per riappropriarsi del ruolo che è stato suo fino al crollo dell'Urss. Infatti, tutti i tentativi statunitensi di tagliare fuori la Russia dai futuri oleodotti del mar Caspio si sono inesorabilmente impantanati nella difficoltà di pacificare l'Afghanistan e subordinare ai propri interessi imperialistici paesi come l'Iran. Infatti, per gli Stati Uniti l'unico modo per escludere la Russia e l'Iran dalla gestione del petrolio caspico è quello di trasportarlo, attraverso l'Afghanistan, nell'oceano Indiano. Per anni la diplomazia statunitense ha tentato invano di creare le condizioni politiche affinché il progetto del nuovo oleodotto fosse finalmente realizzato, senza però mai riuscirci. Le difficoltà statunitensi sono aumentate quando l'ascesa dei talebani e del loro fanatismo religioso è stato visto come fumo negli occhi da parte delle classi dirigenti delle repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale. Infatti, tramite il sostegno ideologico e militare dei talebani gruppi integralisti islamici hanno tentato di rovesciare i regimi post sovietici che si erano affermati dopo il crollo dell'Urss. È in questo contesto che le repubbliche centro-asiatiche vedono nella Russia l'ancora di salvezza per combattere l'integralismo islamico. Si riallacciano i vecchi rapporti con Mosca e gli Stati Uniti, per aver sostenuto i talebani, non godono più della corsia preferenziale nelle concessione per lo sfruttamento delle riserve petrolifere.

Mentre la guerra che si è scatenata in Afghanistan ha imposto il momentaneo blocco alla costruzione dell'oleodotto, rimandando la sua realizzazione in un prossimo futuro, la Russia in collaborazione con il Kazakistan ha realizzato un proprio oleodotto nel nord del Mar Caspio. Le nuove condotte, già realizzate ma che entreranno in funzione solo tra qualche mese, porteranno il petrolio dal giacimento kazako di Tengik fino a Novorossijsk sulle coste russe del mar Nero. Anche l'osservatore meno attento alle questioni politico-energetiche non può non vedere che la nuova pipeline cambia radicalmente gli scenari nell'intera area centro-asiatica. Il nuovo oleodotto rappresenta per Mosca un vero e proprio successo in termini economico-politici. Infatti, la Russia oltre a mettere le mani sul più grande giacimento del mar Caspio le cui riserve sono stimate in 2,7 miliardi di tonnellate, taglia fuori tutta l'area afghana e pakistana dai futuri corridoi energetici. I fatti dell'undici settembre e la successiva guerra in Afghanistan confermano la Russia come la potenza imperialistica in grado di garantire l'arrivo del petrolio caspico alle porte dell'Europa.

Dopo aver subito l'umiliante ritirata dall'Afghanistan e perso il controllo sulle repubbliche centro asiatiche, la Russia di Putin ha saputo ricostruire in questi ultimi due anni un proprio ruolo imperialistico nella regione del Caspio. Il governo di Mosca ha ricucito i rapporti con quelle repubbliche centro-asiatiche che solo qualche anno prima avevano ottenuto l'indipendenza politica dalla Russia. Ma è stato proprio in Afghanistan che la Russia ha concentrato i propri sforzi nel tentativo di riaffermare la supremazia nella regione. Non è casuale che Mosca negli ultimi anni si sia sempre di più impegnata nel fornire un sostegno politico e militare agli oppositori dei talebani. L'Alleanza del nord per anni ha potuto resistere all'avanzata dei talebani solo grazie agli aiuti che arrivavano da Mosca ed in parte dall'Iran. Per questi due paesi l'aiuto fornito all'Alleanza del nord afghana è servito per fronteggiare l'avanzata del Pakistan ma soprattutto impedire che l'Afghanistan potesse essere utilizzato per il già citato oleodotto.

Aver mantenuto in vita e sostenuto una forza militare come l'Alleanza del nord si sta dimostrando una scelta vincente del governo di Mosca. I bombardamenti a tappeto delle forze aeree anglo-americane sull'Afghanistan hanno sicuramente fiaccato la resistenza militare dei talebani ma è grazie agli aiuti forniti dalla Russia l'Alleanza del nord, come abbiamo scritto già sopra, ha potuto riconquistare in pochissimi giorni la quasi totalità del territorio afghano. Il fatto che tutta la vicenda sia avvenuta mentre in Texas si svolgeva il summit tra Bush e Putin potrà far sorgere il dubbio che tutta l'operazione possa essere stata deliberata da un accordo tra i due leader; ma se non crediamo alla propaganda borghese in base alla quale tutto il mondo è unito per lottare contro il terrorismo non possiamo non vedere come gli interessi di Russia e Stati Uniti siano completamente divergenti sulla questione centro-asiatica.

Al momento in cui scriviamo l'Afghanistan vede sul terreno una forza militare come l'Alleanza del nord che controlla quasi tutte le maggiori città afghane, tranne Kandahar, ed i talebani in fuga verso le montagne per preparare probabilmente la guerriglia. In questo contesto i bombardieri anglo-americani hanno ridotto di molto il loro raggio d'azione e concentrato il fuoco solo sulle ultime roccaforti talebane. Non era sicuramente questa la situazione che speravano di avere gli Stati Uniti dopo quasi due mesi di bombardamenti, ossia trovarsi sul terreno una forza militare che dà la caccia ai talebani ed insegue forse con maggiore rabbia degli stessi americani Osama bin Laden ma infida.

Da un punto di vista politico il bombardamento non potrà avere più lo stesso consenso internazionale avuto finora se l'Alleanza del nord dovesse conquistare l'intero territorio afghano e magari catturare bin Laden. Verrebbe a mancare la copertura ideologica per giustificare una guerra che nella realtà è funzionale agli Stati Uniti solo per la gestione del petrolio.

La crisi del Pakistan

Se gli Stati Uniti rischiano di non riuscire a imporre i propri interessi nella regione, il paese che maggiormente rischia di esplodere sulla mina delle proprie contraddizioni è il Pakistan. Se i talebani hanno conquistato il potere nel settembre del 1996 e lo hanno mantenuto per ben cinque anni, ciò è potuto accadere solo grazie agli aiuti provenienti dal Pakistan. L'Afghanistan ed il Pakistan sono stati legati tra di loro da una miriade d'interessi comuni, non ultima quella etnica. I due paesi hanno in comune l'etnia pashtum che rappresenta la maggioranza degli afghani mentre in Pakistan, pur rappresentando una minoranza, i pashtum sono quasi venti milioni di persone. I legami etnici giocano in questa particolare area del pianeta ed in generale nelle fasi di crisi del capitale un ruolo importante nelle scelte operate dai vari governi. La conquista del potere da parte dei talebani è stata una vittoria sia per il Pakistan ma anche per i pashtum, l'etnia a cui appartengono i talebani.

Il Pakistan negli ultimi anni ha visto entrare nelle proprie casse quasi un miliardo di dollari proveniente dal mercato della droga afghano. Dopo la conquista del potere i talebani hanno imposto con la forza a milioni di contadini di sostituire le colture tradizionali della regione con l'oppio. Nel giro di un solo anno l'Afghanistan è diventato tra i maggiori produttori d'oppio al mondo. Secondo l'Undcp (United Nations Drug Control Program) nel 1999 si è raggiunto in Afghanistan il picco della produzione di oppio con un aumento del 54% rispetto all'anno precedente; un raccolto di ben 4691 tonnellate su un totale mondiale di oltre sei mila tonnellate di oppio. Il governo dei talebani si finanziava soprattutto con le tasse sull'oppio, che erano pari al 10% sulla coltivazione ed al 20% sul commercio dell'oppio. Da paese confinante il Pakistan ha tratto in questi ultimi anni una cifra considerevole considerando lo stato di estrema povertà in cui vive la maggior parte della popolazione.

La sconfitta dei talebani oltre a far perdere al Pakistan una fonte notevole di guadagni derivante dal traffico della droga ridimensiona enormemente il ruolo di Islamabad nella regione in quanto rimane completamente tagliato fuori dal flusso di petrolio proveniente dal mar Caspio. Il fallimento dei talebani rischia quindi di avere pesantissime ripercussioni sociali in Pakistan; il rischio che corre il paese è che la spirale della guerra possa travolgere un paese di 140 milioni di abitanti e per di più con in mano l'atomica. Se finora grazie ai proventi derivanti dalla droga ed al sostegno degli Stati Uniti il Pakistan è riuscito a compattare le numerose etnie che compongono la sua popolazione, in un prossimo futuro l'aggravarsi della crisi economica potrebbe far precipitare gli eventi ed innescare una spirale simile a quella che ha frantumato qualche anno fa la Jugoslavia.

Verso nuovi conflitti

La guerra in Afghanistan, qualsiasi siano gli sviluppi del prossimo futuro tra gli attuali protagonisti delle battaglie che si stanno combattendo nel martoriato paese afghano, non rappresenta un episodio isolato ma solo una tappa di un processo bellico che s'origina nelle contraddizioni del capitalismo internazionale. Gli Stati Uniti in questa fase non possono permettersi di perdere il controllo di un'area strategica come quella centro asiatica, e con la copertura ideologica del pericolo terrorista sono pronti a scatenare nuovi conflitti in quei paesi definiti dagli Usa "stati canaglia".

I cannoni e le bombe in Afghanistan non hanno ancora finito di distruggere completamente il paese e di mietere altre migliaia di vittime inermi che la propaganda guerrafondaia della borghesia sta preparando il terreno ad altre guerre. Con l'accusa di proteggere il terrorismo islamico sono sotto il tiro degli americani paesi come la Somalia, lo Yemen e l'Iraq di Saddam Hussein, non a caso paesi che hanno nel proprio sottosuolo numerosi pozzi petroliferi.

Se l'attuale guerra in Afghanistan dovesse subire un'altra accelerazione, con la completa vittoria dell'Allenza del nord, potremmo anche assistere ad un temporaneo blocco delle operazioni militari, ma tutto questo non significa che siano state rimosse le vere cause che hanno generato il conflitto, anzi, la crisi economica che ha investito l'economia statunitense negli ultimi mesi è destinata a spingere ancor di più l'imperialismo americano ad aumentare l'aggressività in ogni angolo del pianeta.

Lorenzo Procopio

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.