Rifondazione Comunista - La continuità nella politica riformista

Riprendiamo brevemente il discorso sul congresso di Rifondazione Comunista, svoltosi nell'aprile scorso, per mettere ulteriormente a fuoco la sua evoluzione.

Il dibattito congressuale ha visto la decisa vittoria della mozione di maggioranza "per la rifondazione comunista" su quella della sinistra del partito (area Ferrando e, negli emendamenti, area Falce Martello) intitolata "un progetto comunista rivoluzionario nella nuova fase storica". Celebrato da Liberazione come il congresso dell'innovazione, avrebbe dovuto rappresentare, secondo le parole del suo vincitore, il segretario Fausto Bertinotti, una radicale "svolta a sinistra" del partito: sia nella teoria politica, con il ripudio dello stalinismo, sia nella linea d'azione sempre più ancorata al rapporto con il movimento "no global". Certi che Rifondazione Comunista non si fosse in realtà allontanata dalle posizioni socialdemocratiche che l'hanno da sempre contraddistinta, siamo andati a leggere le tesi della maggioranza congressuale dalle quali è emerso in modo evidente, malgrado l'utilizzo strumentale del termine rivoluzione, la linea saldamente riformista del partito.

La tesi 3, "socialismo o barbarie", parrebbe sancire la definitiva impossibilità di riformare il capitalismo ed il conseguente ritorno alla rivoluzione anche se solo "come un approdo possibile della storia umana"; in realtà, come ben evidenziato dalla tesi stessa, l'unica cosa a non poter essere né umanizzata né riformata è la "globalizzazione neoliberista", cioè solo l'aspetto assunto dal capitalismo in questa particolare fase storica, e non il modo di produzione capitalista in quanto tale. È proprio da questo comune rifiuto del neo liberismo che deriva quella che Bertinotti ha definito "la centralità del movimento dei movimenti", cioè del fenomeno no global "espressione dei bisogni e delle ansie di una nuova generazione che vive criticando la modernizzazione in cui è immersa". È evidente anche al segretario del PRC come il movimento non sia esplicitamente anticapitalista, ma poco importa: lo potrà diventare così come potrà diventare maggioritario nella società e, unendosi al movimento del conflitto sociale (lotta dell'articolo 18), potrà dare vita al "nuovo movimento operaio", composto da figure sociali che il partito si appresta ad individuare con un lavoro d'inchiesta (tesi 38). Ma come potrà Rifondazione Comunista crescere e a far crescere il movimento fino all'egemonia nella società? È presto detto: attraverso la proposta di obiettivi concreti - è sempre Bertinotti che parla - come il "bilancio partecipativo", il salario sociale per tutti i disoccupati o l'estensione dell'articolo 18 a tutti i lavoratori, cioè attraverso la più classica prassi socialdemocratica dei piccoli passi.

Prassi che Rifondazione sembra voler negare quando rifiuta sia la presa del potere per via insurrezionale sia l'ipotesi strategica riformista per poi riaffermarla immediatamente dopo (e da sempre nella realtà) come una transizione senza rottura rivoluzionaria ma caratterizzata da "molti e diversi momenti di rottura": questa transizione avrà il suo perno in una "dialettica permanente tra rappresentanza istituzionale e forme di autogoverno, tra poteri centrali e contropoteri diffusi, tra partiti e movimenti" (tesi 48). Tutto questo alla faccia della rivoluzione d'ottobre che viene rivendicata nella tesi 51 come primo straordinario esempio di scalata al cielo. Viene così anche tardivamente e superficialmente liquidato lo stalinismo come processo di transizione verso il comunismo degenerato in totale mancanza di democrazia e in un "produttivismo economicista" (così lo chiamano) che "non liberò il lavoro e non creò una nuova qualità della vita". E ci mancava altro che uno dei più feroci regimi capitalistici (a capitalismo di Stato ma pur sempre capitalismo) liberasse i proletari dalla schiavitù del lavoro salariato: no, cari compagni di Rifondazione Comunista non si trattò di una transizione fallita ma di una vera e propria controrivoluzione attuata non dalla borghesia classica, ma da una nuova borghesia di stato formata dai dirigenti di partito. La falsità di questa presa di distanza è ancora più evidente se si scorge l'elenco delle delegazioni estere invitate al congresso; tra queste spiccano infatti i rappresentanti di alcuni tra i regimi stalinisti più sanguinari della storia: quello cinese e quello nord coreano.

La natura socialdemocratica di Rifondazione Comunista emerge in modo palese anche nella tesi sul superamento della nozione classica di imperialismo in cui viene rigettata la possibilità di scontri tra i diversi fronti imperialistici giustificando gli attuali conflitti come frutto delle "esigenze di gestione della globalizzazione". Niente di più falso era mai stato detto su una situazione internazionale che si fa ogni giorno più drammatica, con continui attacchi dell'imperialismo americano agli imperialismi rivali (europeo e giapponese) che si sono manifestati con guerre devastanti in tutto il mondo e che non hanno ancora raggiunto il livello di una nuova guerra mondiale solo per la enorme differenza militare tra i diversi contendenti. Posizioni di questo tipo, unite ad un convinto europeismo e alla difesa della cultura e del modello sociale europeo, potrebbero condurre, nel momento del massimo scontro, allo schierarsi di Rifondazione e del movimento no global al fianco degli imperialisti europei, voltando apertamente le spalle al proletariato internazionale come già fecero analoghe forze socialdemocratiche nella prima guerra mondiale.

Questo è quello che emerge dal quinto congresso di Rifondazione comunista: un partito socialdemocratico, solo a parole classista e rivoluzionario, che condanna lo stalinismo nei suoi aspetti più superficiali e pronto, in prospettiva, insieme al "movimento dei movimenti", a schierarsi al fianco dell'imperialismo europeo sulla pelle di quel proletariato che per sua stessa ammissione sta ancora cercando di individuare.

A questo dovrebbero pensare tutti quei compagni che si sentono comunisti e rivoluzionari e che ancora oggi continuano a militare in Rifondazione Comunista: a questo ed alla lezione di Lenin e della Terza Internazionale (nelle sue prime manifestazioni) di rompere con i riformisti e gli opportunisti di ogni specie per ergersi come punto di riferimento per il proletariato. Non è un caso che solo i bolscevichi riuscirono ad organizzarsi e portare alla vittoria il proletariato perché avevano rotto con il menscevismo (babbo e mamma di ogni radicalriformismo) già dal 1903. Non è un caso che le avanguardie rivoluzionarie tedesche - in primo luogo Rosa Luxemburg - esitando a rompere con la socialdemocrazia perché "lì c'erano le masse" (e c'erano davvero, non in Rifondazione...) arrivassero organizzativamente impreparati alla svolta rivoluzionaria del 1918, finendo per essere sanguinosamente travolti - e con loro le possibilità di riscatto del proletariato tutto - da quella controrivoluzione che così lucidamente e generosamente avevano per tempo denunciato.

tn

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.