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Home ›Da Battaglia Comunista N.39 - Novembre 1948
Dopo una analisi dello stato d'animo createsi nelle masse operaie in seguito ad una serie di sconfitte di classe, si è fatta la constatazione che il nostro stesso partito non poteva andare esente dal contraccolpo psicologico e politico, per concludere che tale depressione nello spirito dei nostri combattenti è più sensibile in quei settori del nostro partito che meno degli altri sono riusciti a liberarsi dall'influenza dello stalinismo.
A questa analisi delle deteriori influenze esterne facciamo seguire quella delle influenze, altrettanto deteriori, che vanno man mano originandosi, per quanto tuttora in misura assai lieve ed a carattere puramente episodico, dal grembo stesso dell'esperienza viva del nostro partito, sintomo palese, peraltro, della stessa fase di depressione che ha preso alla gola il proletariato italiano.
La durezza della lotta; la sproporzione troppo evidente nei rapporti di forza tra il nostro partito e le forze politiche della coalizione controrivoluzionaria; il timore della inutilità di questo nostro faticoso, paziente ed a volte rischioso riprendere e riannodare i fili appena spezzati che costituiscono il tessuto connettivo della nostra organizzazione (la vita del partito di classe è davvero un continuo riprendere e riannodare i fili spezzati dalla strapotenza della reazione capitalista); il senso tragico della vita quotidiana in un mondo pazzamente lanciato verso una nuova guerra: tutto serve a creare lo stato d'animo della sfiducia, dell'adattamento e della capitolazione.
E se una reazione viene individualmente espressa, questa si manifesta sotto forme diverse, ma sulla stessa base d'opportunismo. Tu, compagno, lo avrai certamente notato, anche se non ti è stato possibile scavare più in profondo; nell'intellettuale, o quasi, questo male ha carattere meno epidermico e si accende improvviso come tendenza alla teorizzazione; e c'è un pullulare delle teorie più strane, con pretese di novazioni. Si passa con estrema facilità dall'assoluto economico, ad esempio, alla necessità d'armi nuove tanto in sede dottrinaria come nella prassi.
Nell'operaio invece la tendenza all'opportunismo si stempera e si diluisce lungo mille rigagnoli che passano attraverso la pratica delle doppie tessere politiche, e presto delle doppie tessere sindacali; nel tacere la propria milizia di partito o nell'attenuarne l'importanza al fine assai contingente e concreto di proteggersi contro le crescenti difficoltà della vita di fabbrica.
Che cos'è dunque questo "assoluto economico" che par voglia rinnovare le imprese del cavallo di Troia? Niente di strano e tanto meno di nuovo, compagno, e te lo spiego assai elementarmente. Si è scoperto, proprio ora che non soltanto l'economia capitalistica ha radicalmente e completamente cambiato connotati facendosi monopolistica e statizzandosi, ma è divenuta nella sua totalità e in permanenza "economia di guerra". Dove è evidente l'intenzione di confondere ciò che costituisce la tendenza più caratteristica e fondamentale dell'economia capitalistica con una situazione di fatto che si reputa ormai raggiunta in tutta la sua pienezza.
Ma dietro l'intenzione economista si vuol varare la pretesa, tutt'altro che dialettica, che sono superate, con l'instaurazione dell'economia di guerra, le contraddizioni insite nel sistema; da qui ogni urto di classe; per cui, in definitiva, non ci sarebbe più nulla da fare per il proletariato e tanto meno per il suo partito in quanto avanguardia rivoluzionaria.
Tutto ciò non lo si proclama ai quattro venti, ma lo si sussurra da compagno a compagno o lo si gorgheggia, opportunamente modulato, in qualche riunione di base come una novità nel campo del più recente problematismo rivoluzionario.
Non c'è più niente da fare; inutile perciò questa snervante ed inutile fatica di fare, rifare e tornare a rifare i nostri gruppi territoriali che la tormenta controrivoluzionaria squassa quando non sradica; inutili i gruppi di fabbrica che sono un doppione di quelli territoriali, e rappresentano un inciampo e un pericolo per chi non vuole esporsi politicamente all'eventuale rappresaglia del padrone e dei signori della commissione interna; inutile l'esistenza del raggruppamento dei compagni sulla base delle federazioni, cui è venuto a mancare l'alimento per una vita politica e organizzativa; inutile quindi il partito; se ne riparlerà dopo la terza guerra imperialista: se qualche altro Lenin non ci avrà fatto il favore d'una seconda Rivoluzione d'Ottobre. In caso diverso si tornerà a cantare il ritornello del "non v'è niente da fare" perché c'è l'economia di guerra che continua... fino alla consumazione dei secoli.
Mi hai capito, compagno? Il veleno, come sempre, è nella coda, e le vie che vi pervengono sono lastricate di buone teorie quali l'assoluto economico o la economia di guerra che si rincorre nell'epoca dell'imperialismo come fa il cane con la propria coda.
Anche la sfiducia ha, come vedi, il suo volto di teoria, allo stesso modo che le cresciute difficoltà nella nostra esistenza come partito di classe, inducono i deboli a non sentirsi più sicuri delle vecchie formulazioni dottrinarie e dei vecchi metodi di lotta, quelli del marxismo rivoluzionario, per chiedere ideologie più aggiornate e più consone alle mutate esigenze della scienza e della tecnica, ed esigere armi nuove alla lotta del proletariato. Quali? Noi le abbiamo conosciute più volte nella martoriata storia del proletariato, e teorie ed armi nuove sono state fin qui quelle dettate dalla sconfitta, e il riformismo, e il sindacalismo soreliano, e lo stalinismo, e... il seguito si avrà, ché ogni sconfitta ha la sua metafisica controrivoluzionaria. Rimedi?
Caro compagno, individuato il male, la cura è facilmente trovata. I rivoluzionari autentici più dura si fa la lotta più sentono di doversi temprare al suo clima. Il partito affida a questi rivoluzionari il compito storico della sua continuità anche nelle situazioni più difficili, anche nella guerra. Per molti si tratterà eventualmente di ripetere le esperienze già fatte.
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