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Home ›Lo scontro imperialistico sul gas turkmeno
Un recente patto, stipulato il 12 maggio, assicura alla Russia il trasporto attraverso il suo territorio della maggior parte del gas turkmeno e del petrolio kazako e rafforza il suo primato sull’intera area centro-asiatica.
In questo accordo, le novità principali vengono dal Turkmenistan, un paese in gran parte desertico e impoverito, che tuttavia possiede enormi riserve di gas, valutate dalla BP in 2,9 trilioni di metri cubi. Il governo turkmeno, sicuramente esagerando le cifre, sostiene sia stato scoperto un nuovo giacimento a Sud Iolotansk, con riserve pari a circa 7 trilioni di mc, e che le riserve totali del paese siano 20-30 trilioni di mc.
Il Turkmenistan è stato retto negli ultimi 21 anni dalla ferrea e grottesca dittatura di Sapurmurad Niyazov, morto nel dicembre 2006 in maniera improvvisa e per certi versi oscura. Oltre ad imporre il culto della propria personalità, Niyazov ha mantenuto il paese (uscito anche dalla CIS, che raggruppa gli stati dell’ex-URSS) nel completo isolamento. Dopo tagli di forniture ripetuti e prolungati, la Gazprom ha dovuto accettare nel 2006 un aumento del prezzo del gas turkmeno del 54%, pagandolo 100 $ per 1000 mc (ma rivendendolo in Europa a circa 250 $). Nell’ultimo periodo, Niyazov aveva dimostrato inoltre interesse alla diversificazione delle esportazioni, sottoscrivendo un accordo per la fornitura di 30 miliardi di metri cubi di gas alla Cina e organizzando diversi incontri con delegazioni europee per la discussione di pipeline alternative a quelle russe, l’ultimo dei quali 3 giorni prima della sua morte. La transizione del potere a Gurbangul Berdymukhammedov, nominato presidente nelle elezioni farsa dello scorso febbraio, si è svolta finora in maniera sorprendentemente tranquilla. Fin dalla sua reggenza ad interim, il nuovo presidente si è prodigato in rassicurazioni sulla continuità e sul rispetto di tutti gli accordi internazionali sottoscritti dal suo predecessore.
Il recente patto, che dovrebbe essere formalmente ratificato a settembre, prevede l’espansione del gasdotto Prikaspiisky, parte di una rete che già collega Turkmenistan e Russia, attraverso il Kazakistan, per portarla ad una capacità di 20 miliardi di mc l’anno entro il 2012. Inoltre i tre stati, con l’aggiunta dell’Uzbekistan, si sono accordati sull’utilizzo di altri due gasdotti. Al completamento dei lavori, la Russia dovrebbe quasi raddoppiare le importazioni di gas dall’Asia Centrale, da 50 a circa 90 miliardi di mc l’anno. Nell’occasione, si è anche discusso di una dorsale di autostrade e ferrovie parallela al gasdotto, che dovrebbe correre dalla Russia fino all’Iran. Berdymu-khammedov ha beneficiato del patto anche per rafforzare la sua posizione all’interno del paese, liberandosi dopo pochi giorni di Rejepov, la cui sfera di influenza si estendeva ben oltre la guardia presidenziale di cui era capo, e senza il cui appoggio non sarebbe nemmeno potuto salire al potere.
Il patto sul Prikaspiisky ha mandato a rotoli l’incontro tenutosi contemporaneamente a Cracovia, tra Polonia, Lituania, Ucraina, Georgia e Azerbaijan. I partecipanti, alla ricerca di rotte energetiche alternative a quelle gestite dal Cremlino, non hanno trovato alcuna soluzione praticabile. Infatti l’incontro è stato disertato dal principale invitato, il presidente kazako Nazarbayev, che ha preferito recarsi proprio in Turkmenistan. Come se non bastasse, Nazarbayev ha dichiarato che il Kazakistan...
è assolutamente impegnato a trasportare il grosso dei suoi idrocarburi, se non tutti, attraverso il territorio russo. [...] L’anno scorso abbiamo esportato 52,2 milioni di tonnellate di petrolio, di cui 42 milioni di tonnellate attraverso le pipeline russe.
In effetti il patto sul Prikaspiisky - un successo che secondo alcuni funzionari del Cremlino avrebbe addirittura “superato le aspettative” - colpisce soprattutto i progetti del gasdotto TCP (appoggiato dagli Usa, tra Kazakistan e Azerbaijan, attraverso il Mar Caspio) e del gasdotto Nabucco (sostenuto dall’Unione Europea, tra Turchia ed Austria, attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria), grazie ai quali il gas caspico diretto in Europa avrebbe potuto aggirare la Russia.
Mosca, dal canto suo, non si è dimostrata molto preoccupata per il sostanziale fallimento del vertice con l’UE, tenutosi il 17 e 18 maggio a Samara, nonostante il mancato rinnovo dell’accordo di partenariato, che scadrà il prossimo dicembre. Quel che più importa, secondo Putin, è la "dinamica positiva dei nostri rapporti economici". Il Cremlino è riuscito finora ad approfittare delle profonde lacerazioni interne alla UE, sfruttando al meglio i numerosi accordi bilaterali stretti, tra gli altri, con Francia, Germania e Italia. L’italiana ENI e l’ungherese MOL, ad esempio, sostengono assieme alla Gazprom il Bluestream II, un gasdotto alternativo al Nabucco per l’attraversa-mento del Mar Nero, mentre Bulgaria e Grecia hanno già dato il via libera al primo oleodotto gestito da Mosca in territorio europeo, tra Burgas e Alexandropolis.
La Russia sembra aver compromesso i destini della linea TCP, grazie anche al diritto di veto sulle opere nel Caspio, di cui gode in quanto stato costiero, e soprattutto grazie alla presenza in loco della sua imponente flotta. Se Kazakistan e Turkmenistan si dichiarano ancora interessati ad un collegamento con l’Azerbaijan, tuttavia non hanno alternativa al costoso uso di navi cisterna.
Ma rischiano di restare frustrate anche le mire di potenze emergenti, come India e Cina, sulle risorse energetiche dell’Asia Centrale. Infatti al momento la situazione afghana non permette alcun serio progetto in quella direzione. A causa delle tensioni internazionali, neppure per il gasdotto che collega il Turkmenistan al nord dell’Iran si prevede alcuna estensione, né verso la Turchia né verso l’Oceano Indiano. Resta valido l’accordo per un gasdotto verso la Cina, ma la sua realizzazione potrebbe dipendere dalla dimensione dei nuovi giacimenti e dall’aumento reale della capacità produttiva del paese.
Tuttavia i giochi non sono affatto chiusi. Anzi, il vantaggio acquisito dalla Russia nella regione, sulla base di legami antichi e consolidati, promette di scatenare reazioni sempre più aggressive da parte delle potenze concorrenti. L’ipocrita propaganda occidentale è già al lavoro, con le accuse di mancanza di democrazia e rispetto dei diritti umani (da che pulpito...). In ballo infatti non ci sono solo le tariffe per il transito degli idrocarburi, ma alla lunga anche il controllo sulla loro distribuzione e le rendite USA legate al cosiddetto signoraggio del dollaro, che potrebbe perdere il suo ruolo di valuta di contrattazione internazionale delle materie prime.
L’unica certezza è che il salato conto di queste manovre, qualsiasi contendente imperialista prevalga, sarà presentato alla classe proletaria mondiale.
MicBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2007
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