Lezioni da Wall Street

Gli interventi dello stato non rilanciano la produzione ma alimentano la produzione di capitale fittizio

Il parlamento statunitense ha approvato lo scorso 3 ottobre il piano di salvataggio da 850 miliardi di dollari, elaborato dal ministro del tesoro Paulson, con il quale s’intende fronteggiare la drammatica crisi che sta letteralmente mettendo in ginocchio l’intero sistema finanziario internazionale. La somma stanziata dal congresso statunitense servirà ad acquistare dalle banche tutta una serie di titoli che, di fatto, valgono quanto un rotolo di carta igienica usata. In sostanza si scarica sulla collettività il costo di una crisi la cui una responsabilità è unicamente da attribuire al capitale.

Se nella prima fase della crisi sembrava che il vecchio continente fosse immune dalla peste dei mutui sub prime, man mano che passano i giorni ci si accorge che la voragine dei debiti sta per travolgere banche e istituti di credito europei.

Per affrontare l’emergenza, la stessa operazione di salvataggio fatta dal governo americano stanno cercan-do si compierla i maggiori paesi europei, in primo luogo Francia e Italia, che caldeggiano la costitu-zione di un fondo speciale, gestito direttamente dalla Banca Centrale Europea, con il quale affrontare le situazioni di crisi di liquidità di cui sono vittime alcuni importanti istituti di credito del vecchio continente.

La proposta del presidente francese Sarkozy, spalleggiata da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, non ha trovato il necessario consenso da parte del cancelliere Angela Merkel, la quale ha fatto invece approvare dal Bundestag una legge con la quale il governo mette al riparo i risparmiatori tedeschi dal pericolo di vedere i proprio risparmi bruciati con la dichiarazione di fallimento degli Istituti di credito.

La copertura del fondo tedesco è totale e potenzialmente potrà arrivare addirittura a 1600 miliardi d’euro, una cifra più che doppia rispetto a quella stanziata dal governo statunitense. I motivi che hanno spinto i tedeschi a percorrere da soli la strada del salvataggio nazionale, anziché favorire un’azione comunitaria, si può spiegare con il fatto che non si vogliono accollare l’onere di porre una diga contro la voragine di buchi presente soprattutto nelle banche e istituti di credito britannici.

Per chi ha saputo cogliere le contraddizioni che si sono condensate in questi anni nei meccanismi dei processi d’accu-mulazione del capitale, questa devastante crisi finanziaria non giunge inaspettata.

Era prevedibile che la montagna di capitale fittizio prodotto in questi ultimi venti anni alla fine crollasse. Come pensare di poter continuare all’infinito a remunerare adeguatamente una tale massa di capitale fittizio, che per sua natura non contribuisce neanche in minima parte ad allargare la sfera della produzione di merci e quindi a produrre plusvalore, quando la base dalla quale estorcere plusvalore tende relativamente a restringersi?

Questa crisi rappresenta un ulteriore salto di qualità nella più generale crisi di ciclo che si è aperta agli inizi degli anni settanta, che, come più volte abbiamo scritto sulla stampa di partito, si è originata per l’operatività della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto.

La finanziarizzazione dell’economia è stata una delle risposte data dalla borghesia alla crisi dei profitti nei settori produttivi.

Per oltre venti anni le politiche economi-che dei maggiori stati nazionali e delle istituzioni internazionali come il fondo monetario hanno favorito l’espansione della produzione di capitale fittizio, dando l’illusione che dal denaro si potesse trarre maggior denaro senza sporcarsi le mani nel mondo della produzione.

Questa crisi ha spezzato quest’illusione e ripropone in tutta la sua drammaticità, ad un livello ancor più alto, le contraddizioni nel processo d’accumulazione.

Il ritorno dell’intervento dello stato nell’e-conomica, vedi in proposito l’artico-lo pubblicato sullo scorso numero di Battaglia Comunista, non deve essere visto come una rivincita delle politiche keynesiane sul neoliberismo, in quanto le modalità di affrontare l’attuale crisi si collocano nel solco di un sistema che privilegia ancor di più la produzione di capitale fittizio.

L’intervento statale è mirato a sostenere il lato dell’offerta, anziché quello della domanda aggregata.

In sostanza s’immette liquidità nel sistema finanziario per evitare che lo stesso collassi su se stesso a causa dei debiti inesigibili. D’altronde ipotizzare un ritorno alle vecchie politiche keynesiane, quando a determinare la finanziarizzazione dell’eco-nomia sono stati i bassi saggi di profitto delle attività produttive, rappresenta un modo romantico di vedere il funziona-mento del sistema capitalistico.

Altre crisi sono scoppiate nel sistema finanziario, ma questa e la prima che direttamente colpisce il cuore del sistema internazionale, l’anima pulsante dove si produce con più velocità e nelle più disparate modalità capitale fittizio. Pesantissime saranno le conseguenze sociali sul proletariato delle metropoli imperialiste.

Si chiude forse in maniera definitiva con questa crisi l’epoca in cui il capitalismo delle aree più avanzate al mondo poteva elargire alla propria classe lavoratrice alcune regalie, tali da farla definire in passato da Lenin come aristocrazia operaia.

Proprio questa crisi avrà più delle altre delle conseguenze negative sulle già gravi condizioni di vita e di lavoro per il proletariato mondiale. D’altronde come si può pensare di far assorbire dai mercati l’enorme massa di liquidità immessa dai vari stati in queste ore, se non attraverso la compressione dei salari e l’aumento vertiginoso dei ritmi dello sfruttamento?

È in questi momenti di crisi che la lotta di classe diventa sempre più feroce, il dramma è che a condurla è solo una borghesia sempre più lucida nel colpire gli interessi dei lavoratori, mentre il proleta-riato finora assiste inerme all’attacco subito.

lp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.