L’etica del capitale e la morale dei suoi gestori

L’insuccesso del bipolarismo è clamoroso fra contestazioni, defezioni e formazioni di nuove bande partitiche. Lo scontro delle “idee” non è mai esistito; semmai quello, sempre più sfacciato, tra mafie istituzionalizzate e lobby tracotanti. E si ritorna a rinverdire nella pubblica opinione il fantasma di quella “questione morale” sui cui contenuti - in soldoni! - si affrontano le più disparate e insospettabili (ma poi non tanto…) clientele. Intanto, si sgretolano programmi e promesse sotto la spinta di un generico: che fare?

Che non si tratti soltanto di “una sciagurata stagione politica” (così definita dal giurista Rodotà) è più che evidente dal “cumulo di macerie” in cui sprofonda da decenni il sistema, nelle cui sovrastrutture politiche circolano “tesi eversive” - così scrive ancora Rodotà - sostenute non certo da formazioni di Brigate Rosse o gruppi “bolscevichi” che assedierebbero Berlusconi, bensì dallo stesso personaggio e dai suoi ingordi vassalli, pronti a banchettare attorno alle “regole istituzionali” o meglio a ciò che di esse rimane ancora in tavola. Gli interessi di bottega sono tanti e tali da giustificare, nella logica borghese, asservimenti, ricatti, minacce e diffamazioni d’ogni tipo contro nemici e… amici. Persino improvvisi cambi di camicia per convenienze non sempre pubblicamente confessabili. La crisi dei “valori” (ma quali?) ha più che mai ridato forza all’unico valore che la classe borghese e il suo apparato di nani, ballerine e saltimbanchi, riconosce e venera: il profitto. Per servire il quale si miscelano affari di Stato, di partito e di privato interesse. La pratica del lecito-illecito trionfa nella misura in cui questa società - divisione in classi e sfruttamento del proletariato - ha stabilito l’apparente differenza tra lecito e illecito grazie alle favole di una morale ipocrita che fa da schermo alle più sordide trame e pratiche.

L’attuale architettura istituzionale rimane in piedi proprio perché adattabile al dispiegarsi concreto di forze e poteri economici che - apertamente od occultamente - riportano in essere quell’ancien régime che a suo tempo la stessa borghesia ritenne di aver superato, nella forma e nella sostanza, sfoggiando imparzialità delle leggi ed eguaglianze dei diritti per ciascun cittadino. Ed oggi, nel dominio del capitale, nessun limite o separazione può esistere tra il potere privato e quello pubblico; anzi, solo il primo potrà dare qualche opportunità alle consorterie pubbliche che lo sostengono.

La falange berlusconiana e i più fedeli replicanti del premier esibiscono i muscoli senza alcun ritegno, né privato né pubblico; sono avvolti in “reti criminali” (così la sentenza della Consulta sul Lodo Alfano) strutturanti un sistema di potere nutrito di corruzione e ricatti, portando alle stalle (pardon, alle stelle!) mafiosi e personaggi già iscritti alla P2 o aspiranti alla nuova P3. Con seguaci lautamente stipendiati e disposti a tutto, leggi “porcate” comprese. Fanno parte dei rituali tribali anche scatenate campagne giornalistiche contro chi, fiutando l’aria che tira, si prepara ad abbandonare la nave. E pur di salvaguardare gli affari del Capo si irride ad atti ufficiali delle procure e ad interventi della Magistratura: tutto in linea con la superiore etica, liberal-democratica oggi come ieri lo fu del fascismo. Un’etica fondata sul profitto, sulle superiori regole di costi e ricavi; un interesse che viene poi spacciato come quello superiore e nazionale della collettività.

Dopo le glorie mussoliniane (tali, si racconta, fino alla “solenne e irrevocabile” dichiarazione di guerra nel giugno 1940) e dopo le sconfitte militari, ecco il cambio della guardia e il “miracolo economico” del dopoguerra, con la ricaduta del Bel Paese in una routine di piccolo cabotaggio, meschinità e scandali dilaganti al seguito dello “sviluppo” capitalistico, con governi di “compatibilità e sacrifici” perfezionando - democraticamente - alcuni interventi del fascismo stesso… Ed oggi, assieme all’optional della fedeltà alla Costituzione, si va esaurendo al seguito della crisi del capitale la fase storica di una borghesia “ideologicamente” divisa in due fazioni politiche, destra e “sinistra”. Il modello di … conservazione del capitalismo è per gli uni e gli altri sostanzialmente unico; così, per tutti, il mercato deve essere il regolatore della vita sociale. Nella generale putrescenza del Paese c’è poi qualche anima bella che ancora si aggrappa alla “civiltà del lavoro”, ai “codici civili e democratici”, ai riconoscimenti cartacei di “dignità e tutele” legati ai miti della Resistenza. Si tratterebbe, in fondo, di ricostituire una “alternativa etica e culturale”, il “fondamento“ per poi mettere regole giuste al profitto. Silenzio sui meccanismi della sua formazione, purché si guardi con fede e speranza ad una “rivoluzione della legalità”, ricuperando un “programma funzionale e un mutamento radicale dell’esistente”… Così i più “sinistri” soggetti costituzionali, compreso chi di volta in volta ha indossato le casacche anche più radical-chic, parlano apertamente della necessità - perché la barca non affondi - di un nuovo partito in grado di fornire legittimità istituzionali ad “una classe dirigente da inventare nella connessione fra la questione sociale e quella democratica” (Vendola). Dunque, una nuova “classe dirigente di domani che noi dobbiamo contribuire a fare emergere” (De Magistris), identificata nel popolo (cocktail di borghesia, studenti, disoccupati, operai, imprenditori, ecc.): per meglio governare - non certo per eliminarle - le disuguaglianze e le ingiustizie del capitalismo. O meglio, dei suoi cattivi ed egoistici gestori, da sostituire con quelli “buoni e onesti”…

DC

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.