Le nuove Repubbliche popolari in Ucraina e l'ideologia antifascista - Carovana o baraccone?

All’arsenale di parole d’ordine che il capitalismo lancia al proletariato nei momenti di crisi per indurlo ad abbandonare il terreno della lotta di classe e a collaborare fraternamente con lui, la guerra attuale ne ha aggiunto un’altra: quella delle bande armate per la liberazione nazionale.

Scrivevamo queste righe nel 1943, su Prometeo clandestino. Ora ci troviamo a ricalcare quel solco per l’ennesima volta in settant’anni.

Ormai è oltre un anno che in Ucraina imperversa una guerra civile, le nostre analisi in merito sono già state prodotte e pubblicate sulla nostra stampa. Vale la pena riproporre qualche considerazione sulle principali posizioni dei “sinistri” occidentali, ridotte più che altro a tifo antiamericano.

La nascita delle Repubbliche Popolari della Novorossija, in particolare quella del Donbass, hanno scatenato un’ondata di, quelle che possiamo definire, erezioni di stalinismo, delle quali gli esponenti più visibili a livello mediatico sono sicuramente la Banda Bassotti, gruppo musicale italiano, e la Carovana Antifascista.

Abbozzando i tratti della faccenda dalla parte neorussa, non possiamo che prendere in esame il Manifesto del Fronte Popolar_e di_ Yalta dello scorso luglio. In questo documento fondamentalmente si tracciano gli intenti di questo schieramento nella guerra, con l’appello a tutte «le persone di buona volontà» per la costruzione di un nuovo stato a carattere fortemente sociale e capitalista. I primi a rispondere all’appello sono ovviamente gli stalinisti e, a seguire, i trotzkisti. “Illuminati” dalla memoria resistenziale italiana; queste forze politiche dimostrano come, chiunque abbia poggiato le labbra al calice del CLN, sia in grado di bere qualsiasi cosa, diventando quasi lecito chiedersi se si tratti di coscienti, quanto sbagliate e controrivoluzionarie, posizioni politiche o semplice e ingenua inerzia. Qualunque ne sia la ragione, ovviamente, il primo a fare le spese di queste visioni è il proletariato internazionale, strattonato da ognuno dei due fronti con la complicità di quelle forze che si spacciano per la sua “avanguardia”.

La parziale nazionalizzazione delle grandi proprietà li fa ben sperare, dicono, ma in che cosa? Loro stessi, le voci della Carovana, ammettono che non si tratta di “transizione socialista”, ma vi è una importante impronta antimperialista. Già alle prime frasi di giustificazione, sufficienti a segnare il passo dell’argomentazione, si commettono dei grossolani errori. Diciamo errori per bontà d’animo, perché di errori non si tratta: sono posizioni controrivoluzionarie sulle quali non possiamo soprassedere.

Innanzitutto ci ritroviamo a sottolineare che i comunisti, occidentali e orientali, non hanno da sperare nulla nelle nazionalizzazioni, questo per la semplice natura dello stato. L’agente statale così ingombrante nell’economia capitalista risulta essere, oltre la classica analisi dello strumento di sfruttamento della classe lavoratrice, lo stadio evolutivo supremo del capitale monopolistico. Un’economia mista o a capitalismo di stato non avvicina di un passo il proletariato al comunismo, anzi lo allontana, rendendo solo più sofisticato il dominio borghese, ora esercitato dal classico padronato, ora dallo Stato e dalla sua burocrazia che assumono le connotazioni di classe del padronato. Che le Repubbliche Popolari rinominino pure i loro parlamenti borghesi in “soviet”: è solo un altro amo carico di formalità pronto ad infilarsi nelle guance degli entusiasti nostalgici dell’est. Le volpi della steppa hanno anche l’ardire di affermare che questi soviet posticci matureranno in reali consigli dei lavoratori con la maturazione della coscienza di classe, la quale vorrebbe maturare a sua volta nel conflitto: un'altra aberrante affermazione che i comunisti devono contrastare con tutte le forze, che, da sola, mette in discussione la necessità rivoluzionaria, riproponendo l’utilizzo della lotta di liberazione nazionale come surrogato della guerra di classe.

In secondo luogo non possiamo definire antimperialisti degli stati borghesi, anche se di nuova nascita. Ma qui in realtà continuiamo solamente a ricalcare il solito vecchio errore, ossia che l’imperialismo sia identificato con gli Stati Uniti o la NATO. Opporsi all’Ucraina filoccidentale, sia militarmente che politicamente, non fa di queste Repubbliche un baluardo dell’antimperialismo, così come non lo sono i curdi piuttosto che i palestinesi. L’imperialismo è parte integrante dello sviluppo del capitale, non può esistere uno stato capitalista in opposizione all’imperialismo in generale. Non basteranno gli appelli di Borot’ba a non allinearsi con il polo russo a salvare politicamente la faccenda, specialmente se le milizie “rosse” continuano a combattere per la liberazione nazionale e non per la liberazione del proletariato. È un fatto, invece, che lo stato “antimperialista” sia soltanto contro l’imperialismo degli altri: bella forza.

Il proletariato neorusso è stato sviato dai suoi interessi di classe, è stato allontanato dal percorso rivoluzionario per essere trascinato sul terreno dello stato borghese mascherato di nostalgia post-sovietica. Sicuramente, la classe non era pronta ad una rottura rivoluzionaria, ma, dalla nascita delle Repubbliche, ha sicuramente fatto un passo, se non di più, indietro. La situazione attuale, come abbiamo già abbozzato, non è altro che un’artificiosa impalcatura di “socialismo reale”, che viene spacciata per una grande conquista del proletariato e come polo avanzato dell’antimperialismo.

L’ultima considerazione va al nome e alla natura della faccenda, che in qualsiasi forma si presenti, riporta il nome antifascista. Per chi ha la memoria lunga, questa specifica dapprincipio non c’era, ma è arrivata per tracciare un distinguo tra i tifosi rossi e i tifosi neri, schierati dall’una e dall’altra parte, ma accomunati in verità da una pretesa antiliberale e antioligarchica. Per la seconda volta dobbiamo rifarci alla nostra storia, quando il nostro partito ha vissuto in diretta lo stesso schieramento massiccio e sordo in nome della liberazione nazionale:

Semmai, il comunismo è antifascista allo stesso modo che è antiliberale e antidemocratico: la distinzione perciò tra fascismo e borghesia antifascista è per noi quanto mai arbitraria, artificiosa e polemica, ché pullulano entrambi dalla stessa matrice storica.

Ancora una volta la controrivoluzione si batte per l’inibizione del potenziale proletario, non con parole d’ordine che suonano rivoluzionarie, ma con l’illusione e la mistificazione della realtà ai danni della classe, ovviamente condito di una sontuosa, loro, dabbenaggine politica.

A noi non resta che rilanciare l’appello che demmo al proletariato italiano durante la guerra: Proletari, disertate la guerra, disertatela sotto qualunque maschera vi si presenti!

EZ
Venerdì, October 17, 2014

Comments

"Proletari, disertate la guerra?" Strano. Mi è parso di aver ascoltato con le mie orecchie Fabio Damen a Roma, in via Efeso, la sera dell'8 novembre 2013, dire che nel '43-'45 si sarebbe potuto e dovuto imbracciare le armi per far fuori fascisti e nazisti. Mettetevi d'accordo con voi stessi.

Disertare la guerra non significa pacifismo, significa disertare la guerra dei padroni ma non la lotta di classe. Ma soprattutto chiediti chi avrebbe potuto e dovuto imbracciare le armi? E questa affermazione, non particolarmente verificata/bile, in che punto esclude la lotta rivoluzionaria?

Come scritto nell'articolo, per noi la distinzione tra fascismo e borghesia antifascista è artificiosa etc. risolve chiaramente il tuo dubbio, spiegando che saranno da fare fuori i fascisti E il resto dei nemici della rivoluzione.

Sergio,

non perdi mai occasione per dire scemenze, vero? Falsifichi e diffami, ma tant'è.

Smirnov

Quale sarebbe l'affermazione non particolarmente verificata/bile?

In che punto difendersi dalle squadracce naziste escluderebbe la lotta di classe? Se i fascisti sono da far fuori, è giusto o no combatterli in Ucraina? È possibile o no combatterli da una prospettiva di classe e rivoluzionaria, facendo appello a tutti i lavoratori ucraini, o se lo si fa si è automaticamente asserviti all'imperialismo russo?

Da quanto hai detto tu, si potrebbe pensare che Fabio Damen si sia presentato a Roma quel giorno, abbia detto, con beneficio di inventario, che "ammazzare i fascisti nel '43-'45 è un dovere" e sia andato via. Non c'è nulla che attesti, o che neghi, che Fabio Damen abbia espresso questo concetto, così come non c'è nulla che ne chiarifichi il contesto in cui l'avrebbe detto. Ma questo è irrilevante.

Assolutamente la difesa dall'offensiva nazista è un dovere, anche personale oltre che politico. Questa però esclude la lotta di classe nel momento in cui si fa riferimento ad un'opposizione antifascista interclassista, che pesca da tutte le forze politiche e che difende la costruzione di uno stato borghese, le Repubbliche Popolari. Il movimento proletario deve essere rivoluzionario, non antifascista, della serie "contro il CLN e contro Salò". Se è un "baraccone" appunto, cade ogni speranza classista.

Se hai ulteriori dubbi in merito alla nostra posizione ti prego di consultare il nostro materiale in merito alla resistenza in Italia, dovrebbe essere più che esplicativo. Non è un caso che abbia citato 3 volte nell'articolo dei tratti di Prometeo clandestino del 1943.

È ovvio che l'affermazione che ho citato era inserita in una discussione più ampia, nello specifico in una discussione sulla situazione in Siria. Ma ciò non cambia assolutamente nulla del contenuto e del senso di quell'affermazione, che in quanto tale è perfettamente chiara e autosufficiente, a prescindere da qualsiasi contesto.

Ti sembra che io abbia fatto riferimento ad un'opposizione interclassista? Dove? Certo che il movimento deve essere rivoluzionario, e non semplicemente antifascista! Ma detto questo, come si fa a farlo diventare tale? Mettendo in contrapposizione antifascismo e anticapitalismo o provando a spostare il primo sul terreno del secondo? Se all'interno del movimento di "difesa dall'offensiva nazista", come lo chiami tu, non sono presenti posizioni classiste, è necessario immettercele o ci limitiamo, visto che sono antifascisti ma non antiborghesi, a mandarli al diavolo?

No, perdonami ma l'affermazione non è autosufficiente, magari la è per la tua organizzazione, per il PCInt no, necessita quantomeno di una contestualizzazione, date le nostre posizioni politiche.

Si fa riferimento ad un'opposizione interclassista esattamente nel momento in cui si parla del Fronte Popolare, commentando questo articolo, mi pare evidente che si tratti di questo, non fosse così, si tratterebbe di un discorso diverso, che non va trattato qui. L'evoluzione dell'antifascismo in anticapitalismo è una teoria nata dalla mala interpretazione del fascismo come frutto della parte reazionaria della borghesia, e non come frutto del capitalismo. Il nostro discorso sull'antifascismo nasce esattamente da questo punto.

Antifascismo e anticapitalismo non sono in contrapposizione nei comunisti (e anarchici), ma sono in contrapposizione in ogni altra forza antifascista. Se non maturano le posizioni comuniste all'interno della classe, tale contrapposizione rimane e rimarrà, non si tratta soltanto di prendere meglio la mira o di "immetterle".

In secondo luogo si confonde il movimento antifascista, di cui espressione il Fronte Popolare, con la classe. Altro grave errore: uno è ceto politico l'altro è appunto la classe. Non dobbiamo spostare sull'anticapitalismo il ceto politico, ma bensì il proletariato.

Rimando ancora alle nostre precedenti pubblicazioni in merito, il nostro sito è estremamente indicizzato e renderà la ricerca molto rapida.a. Rimando anche alla nostra esperienza storica, che ha visto il PCInt impegnato sia sui monti con le bande partigiane sia nelle fabbriche, in entrambi i terreni predicando l'interesse di classe.