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Home ›Legge di stabilità - Contro gli attacchi alle nostre condizioni di vita e di lavoro, per l'alternativa al sistema del profitto
Il dato che spicca nel disegno di legge di stabilità 2015 sono i 15 miliardi di tagli a ministeri ed enti locali fatti per finanziare una riduzione complessiva di tasse di 18 miliardi. Il discorso è banale: meno soldi entrano allo Stato, meno ne può spendere, meno saranno i servizi erogati che dovranno essere quindi rincarati e/o privatizzati. Il circolo (forse virtuoso per i più ricchi, di sicuro vizioso per noialtri) prevede che sempre più prestazioni dovranno essere pagate direttamente, quindi è necessario rianimare un po' l'asfittico potere d'acquisto dei salariati.
Per questo viene consolidato il bonus di 80 euro, 10 miliardi annui di minori entrate-IRPEF statali a fronte di soldi cash per dieci milioni di lavoratori. Poi via alle nuove assunzioni! Assumendo con il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti i padroni non dovranno pagare contributi per tre anni, paga lo Stato, il governo prevede così, ottimisticamente, di creare un milione di nuovi posti di lavoro.
Chi non è proprio di primissimo pelo ricorda bene come questo fu esattamente lo slogan della “discesa in campo” del Berlusca nel 1994. A distanza di venti anni esatti il governo borghese riparte da là per affondare ancora i suoi colpi sull'intontito corpo proletario.
Due parole sul nuovo contratto . “A tempo indeterminato” sì ma, aggiunge Renzi, “il posto fisso non esiste più!”. Quindi? Il trucco sta tutto nelle “tutele crescenti”. Cosa sono queste tutele? Subito detto: il contratto dura tutta la vita, salvo che il padrone – pubblico o privato che sia - decida diversamente, in quel caso ti caccia via quando gli pare senza darti un euro per i primi tre anni, con un minimo indennizzo monetario che cresce (le tutele crescenti) di anno in anno. In Spagna, per esempio, si tratta di una mensilità ogni anno di lavoro. Insomma, un lavoratore che guadagna 1400 euro al mese e sta da 6 anni nella stessa azienda, se rompe troppo le scatole può essere liberamente licenziato (con il superamento dell'articolo 18 si può licenziare anche senza giusta causa) in cambio di 8.400 euro.
Notare che l'esenzione contributiva per le nuove assunzioni dura proprio tre anni, al termine dei quali, se il pagamento dei contributi non dovesse essere vantaggioso, il lavoratore può essere tranquillamente licenziato. In tutto l'operazione causerà un ulteriore buco nelle casse statali di circa 6 miliardi, che verranno coperti con nuovi tagli a servizi, ministeri ed enti locali. Notare infine che lo sgravio è solo per il 30% di contributi dovuto dai padroni e non per il 9% che paga il lavoratore.
Contratti statali. Congelati gli scatti di anzianità e gli stipendi per tutti i lavoratori statali (forze dell'ordine comprese?) e congelata anche l'indennità di vacanza contrattuale, il pugno di euro che dovrebbe andare in tasca a chi ha il contratto non rinnovato da anni, bloccato ulteriormente il turn over: chi va in pensione non viene sostituito, meglio esternalizzare i servizi.
Un ulteriore regalo fatto al padronato sono i 5 miliardi di sgravio sull'Imposta Regionale sulle Attività Produttive, vera e propria tassa sui profitti. È qui interessante notare come, dalla sua istituzione, è previsto che il 90% di essa vada a sovvenzionare il Sistema Sanitario Nazionale che, nel 2011, è stato finanziato per un terzo proprio da questa tassa. Nel 2013 il gettito Irap è stato di circa 35 mld, tagliarla significa ridurre in maniera proporzionale il SSN. Anzi, di più, perché la legge di stabilità prevede ulteriori 4 miliardi di tagli alle regioni, che dovrebbero pesare per circa 2 miliardi proprio sulla sanità (il taglio complessivo alla sanità sarà insomma attorno al 7-8%). Altri 8 miliardi deriveranno da tagli indefiniti alle spese dei ministeri, dei comuni e delle province... tutti tagli che si prevede di incrementare nel 2016 e 2017. É così facile prevedere un quadro di forte compromissione dei servizi alla persona e di pubblica utilità i quali dovranno, come dicevamo, essere privatizzati e/o subire significativi rincari, in parallelo all'aumento delle tasse locali, su tutti i fronti, come ci accorgeremo nel corso del prossimo anno.
Pesanti anche i tagli al sociale; rispetto alle già risicate richieste del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che quantificava in 970 milioni la spesa sociale minima per cercare di mantenere i livelli attuali, ne vengono stanziati poco più della metà: 550 milioni. In vari sono saltati sulla sedia. “Una cosa così non si era mai vista, nemmeno con il governo Berlusconi!”.
Vale la pena citare infine anche l'aumento della tassazione dall'11 al 26% per i poveretti che hanno veramente creduto che i fondi integrativi privati potessero rappresentare un vantaggio reale per il risparmio.
Per fare fronte alle spese crescenti, i lavoratori potranno sempre chiedere l'anticipo del TFR in busta paga, ovviamente con una tassazione IRPEF ordinaria, ovvero maggiore del 10% rispetto a quella agevolata di quando lo si riscuote tutto alla fine del rapporto di lavoro. 2 miliardi vengono poi messi a disposizione del nuovo sistema di ammortizzatori sociali. Ovvero l'assegno universale di disoccupazione previsto nel Jobs Act, un sussidio svincolato dal posto di lavoro (se ti sbattono fuori non hai nessuna possibilità di rientrare, via cassa integrazione straordinaria e mobilità, insomma), vincolato all'accettazione di ogni tipo di lavoro, della durata variabile da 6 mesi (per i precari) a 2 anni (per gli altri). La disponibilità INPS per gli ammortizzatori sociali passa così da 23 a 25 mld complessivi.
Questi alcuni dei tratti salienti della manovra che si accinge ad essere approvata, tra le cui pieghe pare siano ricomparsi nuovi 1,2 mld di finanziamento per il Ponte sullo stretto: per chi è il regalo?
A fronte di questo quadro di profonda e seria aggressione alle condizioni di vita e di lavoro del lavoro dipendente, che succede a livello istituzionale?
La sinistra PD, più o meno allo sbando, tra minacce di scissione e di elezioni anticipate si riallinea ai supremi interessi del paese, finge o tenta opposizioni di facciata finalizzate esclusivamente a mantenere le posizioni di privilegio consolidate negli anni, per poi sbracare come da copione e non far mancare i fatidici voti al governo. A lor signori dei lavoratori non importa nulla ma se, in simili circostanze, non fanno nemmeno un po' di ammuina, poi, chi li rivota?
Chi affronta la cosa con serietà è invece la CGIL. Per due volte Renzi ha convocato la Camusso al solo fine di prenderla pubblicamente a pesci in faccia, la prima, sul Jobs Act alla sala verde (quella della concertazione) si è conclusa con la dichiarazione “adesso la riforma la facciamo comunque”, la seconda, dopo il milione di persone (forse) in Piazza San Giovanni il 25 ottobre, sulla legge di stabilità con un “Le leggi si fanno in Parlamento e se i sindacati vogliono trattare si facciano eleggere”.
Sia chiaro, il sindacato è disposto a trattare su tutto, ma vuole essere coinvolto, il premier invece va all'attacco dei distacchi sindacali e non vuole in alcun modo trattare con esso. Così la Camusso minaccia ancora lo sciopero generale, forse lo farà ma, come sempre, non certo per difendere i lavoratori che da decenni continua a svendere (è la sua funzione) quanto per tutelare la sua funzione, posizione e una struttura di 16 mila funzionari con sedi in tutto il Paese.
Per noi, al contrario, il problema è e rimane quello di dare vita ad un punto di riferimento classista che sappia avanzare, in ogni situazione, la necessità dell'alternativa di sistema, collegare le lotte immediate contro il drastico peggioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, in ogni settore, al programma del superamento del capitalismo; è un compito arduo, ma sempre più improcrastinabile con l'avvitamento della crisi su sé stessa, l'avanzamento della miseria e le trombe della guerra che si fanno di mese in mese più forti.
LotusBattaglia Comunista #11-12
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