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Home ›Riproposizione della guerra fredda? Gli Usa minacciano, Putin risponde
S’accentua lo scontro imperialistco tra le due vecchie superpotenze
Come si suol dire con un termine poco elegante, ma tanto comune, nella sua espressività, da essere entrato nei più prestigiosi dizionari, Putin è “incazzato”. Nemmeno il tempo di celebrare i funerali del suo predecessore, Eltsin, che nel rituale discorso alla nazione ha aspramente attaccato l’aggressiva degli USA - e in subordine dell’Unione Europea - nei confronti della Santa Madre Russia.
Uno per uno, ha elencato i passi volti a stringere attorno al territorio russo una specie di cordone sanitario e i maneggi, nemmeno tanto occulti, diretti a destabilizzare i pochissimi governi amici di Mosca rimasti dopo lo sfacelo dell’ex URSS. Dai massicci finanziamenti alle cosiddette rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), all’assorbimento nella NATO di quasi tutti i paesi appartenenti al fu Patto di Varsavia, Putin ha riassunto la strategia statunitense dipingendola per quella che è: un pesante tentativo di soffocare sul nascere i sogni di grandezza russi (tradotto da noi: la rinascita dell’imperialismo mosco-vita), anzi, se è possibile, di ricacciare il paese nel caos degli anni novanta, quando le sue immense risorse e i gioielli di famiglia dell’economia nazionale venivano spudoratamente svendute agli “amici” e agli “amici degli amici”.
La lucida sfuriata del presidente russo non è stata però un gesto estemporaneo, ma ha preso le mosse dall’ultimo atto del rivale imperialista yankee, vale a dire l’annuncio del dispiegamento nella Repubblica Ceca e in Polonia di un sistema di radar e di missili anti-missile per proteggere - secondo l’ineffabile Condy Rice - l’Europa dalle minacce nucleari di Corea del Nord, dell’Iran e del “terrorismo internazionale”(?). Ora, una bufala simile può giusto andar bene per il distratto telespettatore medio, che si beve allo stesso modo le pseudo avventure della siliconata di turno e, appunto, le panzane della propaganda borghese, ma non per un’intera classe dirigente, capitanata per di più da un ex colonnello del KGB (o semplicemente per un’avvertita intelligenza media). Basta una cartina geografica per qualificare le motivazioni addotte dalla petroliera Condoleeza per quello che sono: una barzelletta, per altro scadente come tutte le barzellette risapute. È lampante, infatti, che con i radar in Cekia il territorio russo, almeno fino agli Urali, sarebbe controllato come una radiografia, e che i missili schierati in Polonia diventerebbero coltelli puntati alla gola della Russia, la quale, dopo aver fatto tanta fatica per far sloggiare gli USA dall’Asia centrale, non può accettare di far rientrare dalla porta davanti ciò che ha cacciato dalla porta di dietro. Per questo, Putin ha detto un “no” chiaro e tondo, annunciando, come prima risposta, il congelamento del Trattato sulle forze convenzionali in Europa (CFE) stipulato con la NATO nel lontano 1990, quando esisteva ancora l’URSS. Ora, più di un esperto (vedi il manifesto del 27-03- 07) ha osservato che quell’accordo è stato ampiamente superato dalla storia, ma il fatto che Putin abbia lanciato questo ed altri avvertimenti (l’eventuale ritiro dai trattati del 1987 sull’eliminazione di certi missili nucleari dall’Europa) è un ulteriore segnale che al borghesia russa si sente ormai sufficientemente in grado di fare la voce grossa col suo storico nemico. Come abbiamo sottolineato altre volte, ciò non significa affatto che abbia recuperato o addirittura superato le forze di quando ancora indossava abiti sovietici, ma tutto starebbe a indicare che almeno lo sbandamento del “far west” eltsiniano sia stato lasciato alle spalle. I problemi rimangono, tanti ed enormi, ma alcuni fattori nuovi - sommati ad altri che, in sé, nuovi non sono, ma lo diventano in questa particolare combinazione - quali, per esempio, la nascita dell’euro (vedi BC4-07) e gli alti pezzi petroliferi, hanno offerto alla borghesia russa una sponda sulla quale arrestare la propria caduta e dalla quale ripartire.
L’alto prezzo degli idrocarburi ha permesso alla Russia di accumulare anno dopo anno somme enormi, consentendo all’impresa Gazprom di diventare uno dei primi tre giganti energetici mondiali, in grado di condizionare gli approvvigionamenti di gas di molti paesi europei. Particolare non trascurabile, la Gazprom è di fatto controllata dallo stato e, nella fattispecie, dalla cerchia dei più stretti collaboratori di Putin. Lo stesso vale per il sistema bancario e altre imprese strategiche. Poco a poco, dunque, la borghesia russa, in misura notevole erede senza soluzione di continuità di quella sovietica, sta faticosamente rimettendo in sesto un sistema economico e un apparato statale che le permettano di recitare un ruolo da protagonista nello scenario dell’imperiali-smo mondiale. Fallita la Perestrojka, impossibilitata, per tutta una serie di ragioni, a ricorrere a una “Piazza Tien Anmen” sotto le mura del Cremlino per gestire la transizione verso una nuova epoca storica, è scivolata verso la disgregazione, ma il nuovo corso “putiniano” sembra aver imparato la lezione cinese, dove un intenso sviluppo economico - almeno in certe regioni - è governato con pugno di ferro dallo stato. Che poi i problemi della Cina siano altrettanto se non, forse, più pesanti di quelli russi, è un discorso che esula da questa nota. Fatto sta che la borghesia russa, attraverso Putin, ha annunciato un gigantesco piano di investimenti statali nel campo delle infrastrutture (centrali elettriche, atomiche e non, giganteschi canali navigabili, reti di comunicazione iper-tecnologiche, parziale rilancio dello stato sociale). Che tutto questo venga realizzato, è un altro paio di maniche, anche ipotizzando un prezzo costantemente alto degli idrocarburi, ma l’obiettivo del rinnovamento è serio. Anche per questo, gli USA sostengono e fomentano, come si diceva, i regimi dichiaratamente anti-russi degli ex paesi del blocco sovietico, i quali non si tirano indietro se c’è da prendere qualche misura provocatoria nei confronti della Russia, come, per esempio, la rimozione del monumento all’Armata Rossa (?) a Tallin, in Estonia. È un gioco pesante, anche perché quei paesi, dal punto di vista energetico, dipendono pressoché totalmente dal gas russo, così come la loro economia è, in genere, ampiamente dipendente da quella russa: è difficile ipotizzare tanta determinazione anti-russa senza un solido sostegno occidentale (sì, anche la UE fa la sua complessa parte).
Naturalmente, è impossibile prevedere esattamente che piega prenderà questa nuova riedizione della Guerra Fredda. Quel che è certo è che le bande borghesi continueranno ad essere enormemente facilitate nei loro loschi intrallazzi finché il proletariato fa da spettatore o, peggio, offre la sua vita agli interessi di questa o quella gang imperialista.
PS. Tanto per non smentire la sua cialtronesca tradizione storica, la borghesia italiana tiene un piede in due scarpe: da una parte, partecipa attivamente al processo di costituzione dell’imperialismo europeo, dall’altra, dà una mano agli USA a mettere zizzania nella stessa Europa (sì, il nuovo sistema anti-missile ha anche questo scopo): a febbraio, il governo ha firmato un memorandum segreto col quale si impegna ad aderire al nuovo “scudo antimissile” statunitense. D’altra parte, se vuole che Finmeccanica continui a fare un mucchio di soldi con il cosiddetto sistema militar-industriale americano...
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2005
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