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Image - La martoriata striscia di Gaza, nuovo teatro di guerra
Avanza la crisi e s'inasprisce la guerra
La crisi che ha investito il sistema economico mondiale ha valenza epocale, probabilmente più di quella del 1929. A confermare ciò concorrono non solo i dati, sempre peggiori del previsto, che gli istituti specializzati in analisi e previsioni economiche sfornano quotidianamente, quanto l’evidente impossibilità degli stati a varare efficaci misure anticicliche. Quelle finora adottate, infatti, ad altro non sono servite che a scaricare i debiti delle banche e dei grandi Fondi di Investimento sulla collettività. Una impotenza resa ancora più evidente dal fatto che è unanime il riconoscimento che bisognerebbe adottare misure che sblocchino la domanda aggregata su scala mondiale. Questa è la conferma che l’attuale crisi non è un fatto congiunturale, ma l’approdo ultimo del ciclo economico iniziato immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, cominciato a declinare già nella prima metà degli anni 1970 del secolo scorso e che, tra alti e bassi si è trascinato fino a oggi. E le manovre anticicliche sono del tutto inefficaci quando a incepparsi è il meccanismo che attende al processo di accumulazione del capitale. Non funzionarono nella crisi del 1929, figuriamoci nella crisi odierna che per estensione, profondità e durata nonché per il fatto che colpisce il capitalismo nel pieno della sua maturità, non ha precedenti nella storia del mondo moderno e molti dei suoi tratti sono del tutto originali tanto che i suoi possibili sviluppi appaiono in gran parte tuttora imprevedibili.
Nondimeno è evidente che nulla sarà più come prima e che il suo eventuale superamento, nell’ambito degli attuali rapporti di produzione, non potrà aver luogo senza passaggi drammatici in cui sarà messa in forse la vita stessa di milioni di esseri umani.
Essa richiederà cioè necessariamente il più feroce inasprimento dello sfruttamento della forza-lavoro e il dilagare della guerra imperialista. In un contesto di crisi profonda, l’importanza del controllo delle fonti di produzione di tutte le risorse energetiche, soprattutto degli idrocarburi, delle loro vie di trasporto e del processo di formazione dei loro prezzi, si eleva all’ennesima potenza e la mattanza nella striscia di Gaza è la prima avvisaglia di ciò che si annuncia nel prossimo futuro.
Ufficialmente l’ invasione da parte dell’esercito israeliano della striscia di Gaza è stata motivata dalla necessità di porre fine e al lancio dei missili Qassam da parte di Hamass, ma in realtà a muovere le truppe è stato il gas su cui la Striscia galleggia e che l’inasprirsi della crisi ha reso molto più appetibile di quanto già non fosse finora. A confermarcelo è la rivista di politica internazionale Limes non certo sospettabile di simpatie vetero comuniste.
Mentre la rottura fra l’Anp storica di Abu Mazen e Hamas -- si leggeva già nel numero 5/2007 su Limes -- ha aperto un vuoto di gestione senza precedenti in campo palestinese, è in pieno svolgimento una trattativa che Tony Blair, nei suoi nuovi panni di costruttore di pace inviato dal Quartetto, non esita a definire "storica per cementare i rapporti tra Abu Mazen e Olmert". Ma che storica rischia davvero di diventare, in senso negativo, anzitutto per gli abitanti di Gaza, che potrebbero veder crollare di colpo il sogno di accedere un giorno a una migliore qualità di vita grazie alla risorse di gas accertate sette anni fa dal gruppo British Gas nell’offshore palestinese prospiciente la Striscia, divenute nel tempo una risorsa sempre più pregiata. Ed accertata in quantità tali - 40 miliardi di metri cubi - da poter soddisfare il fabbisogno di alimentazione della centrale di Gaza, inclusa la fornitura al dissalatore marino, conservando un ampio margine destinato all’esportazione... Ma il negoziato cui si riferisce Tony Blair prefigura una prospettiva molto diversa: si sta mettendo a punto nei dettagli, in un consesso ristretto e criptato, un programma di fornitura che destina al fabbisogno di gas di Israele tutta la produzione di gas del giacimento di Gaza Marine stimata possibile in quindici anni...Più semplicemente qui si tratta di un’operazione volta a risolvere gli impellenti problemi di budget e di sicurezza energetica di Israele e a sostenere gli interessi economici e commerciali delle imprese anglo-americane e internazionali attirate nel paese dall’imminente boom del settore del gas.
Margherita Piccioni - Il Gas di Gaza, ultima spiaggia - Limes n. 5/2007
Altro che sicurezza dei coloni di Siderot bersagliati dai petardi lanciati da Hamas o il miglioramento delle condizioni di vita dell’inerme popolazione palestinese.
Qui siamo con tutta evidenza in presenza di una guerra la cui posta in gioco sono gli equilibri interimperialistici e gli interessi delle diverse fazioni della borghesia internazionale, non ultima di quella araba ivi inclusa quella palestinese. Quando il ministro della difesa israeliano Ehud Barak afferma che si tratta di un’operazione destinata a durare nel tempo, evidentemente dice la verità perché sa bene che il problema non sono i petardi di Hassam, ma il controllo di una fonte energetica che fa gola a tutti. Sarebbe quindi un grave errore considerare questa operazione solo uno strascico del conflitto ormai storico israelo-palestinese. In realtà, se collocata nel contesto della crisi economica mondiale, appare chiaro che essa segna l’inizio di una nuova e più violenta fase di quella guerra imperialista ormai permanente che insanguina il mondo da parecchi anni. Se poi si tiene conto che sullo sfondo si agita forse ancora più pericoloso, lo scontro - sempre per il gas - fra Russia e Ucraina, allora ecco che la prospettiva di una più ampia generalizzazione della guerra appare quanto mai concreta.
Purtroppo non c’è mai stata una guerra i cui veri scopi non siano stati sempre convenientemente camuffati e così anche questa, rappresentata come lo scontro fra democrazia e dittatura, fra buoni e cattivi, in cui il cattivo è sempre e soltanto l’altro, potrebbe esercitare un certo fascino e attrarre nel suo vortice consistenti settori del proletariato mondiale soprattutto le sue generazioni più giovani: dulce bellum inexepertis (la guerra è bella per chi non l’ha provata) dicevano i romani che di queste cose se ne intendevano forse più di chiunque altro mai.
Ma in realtà la guerra imperialista è la forma più violenta e più raffinata con cui la borghesia conduce la sua lotta contro il proletariato per tenerlo inchiodato alla più subdola delle schiavitù: quella del lavoro salariato. E scaricare su quest’ultimo tutto intero il costo della crisi. Questa è la ragione fondamentale per cui la liberazione del proletariato passa attraverso la pratica del più coerente disfattismo rivoluzionario e per il rovesciamento degli attuali rapporti di produzione che sono la vera ed unica causa delle crisi e delle guerre.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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