La “volatilità” colpisce il Dragone cinese

I mercati manifatturieri e finanziari sono in difficoltà: colpa della “instabilità” economica cinese, minante quel disequilibrio bilanciato tra Usa/Cina sul quale si basa la globalizzazione capitalista? Una Cina che stenta a passare da un modello “capital intensive” ad uno “labour intensive” di sviluppo (?) dei consumi interni, sempre – s’intende – con produzione e vendita di merci? La sola prospettiva di “invertire” i movimenti di capitale e merci, ha gonfiato il mercato azionario dove il ceto medio cinese è stato spinto a investire i propri “risparmi”, addirittura indebitandosi. Circa il 10% della popolazione con 40/50 mln di conti per l’acquisto di azioni in una Borsa (1) che poi è esplosa bruciando 10mila mld dollari

Si parla di una “crisi di sovrapproduzione” (altro che “crescita economica di lungo periodo”!) con difficoltà finanziarie aggravate da eccessi di dirigismo statalista contro le “regole (?) del libero mercato”. Rimedi: minori riserve obbligatorie bancarie; “ordine” ai fondi pensione di acquistare azioni fino al 30% del loro capitale (2); 42 mln di dollari per un fondo emergenza affinché i _brokers _rivitalizzino il mercato. La stessa “deriva dirigista” del capitalismo occidentale: blocco dei Cds, vendite allo scoperto, ecc.

Intanto Pechino mostra i muscoli: imponente parata militare celebrante la vittoria sul Giappone. Col Presidente Xi Jinping che impone una campagna anticorruzione e “moralizzazione”; in carcere migliaia di dirigenti centrali e periferici, sgraditi anche per altri motivi… Ridotti i membri del Politburo da 9 a 7; in movimento i vertici delle Banche.

Gli “squilibri” tra industrie statali e private provocano duri scontri tra le fazioni borghesi nel Partito: in gioco i “benefici” elargiti e i “nodi al pettine” di progetti di investimenti consumanti plusvalore senza… produrlo. Come le costruzioni di nuove città per milioni di abitanti, rimaste deserte! In difficoltà per fatturato e profitti le industrie basi di energia e acciaio (multinazionali BHP Billiton e Schneider Electric); calano le vendite di auto e beni di lusso. (3)

Nei primi 7 mesi 2015 le riserve estere cinesi sono diminuite di 340 mld dollari; erano 4mila mld dollari nel 2014, con 1.500 mld di debito Usa. Ora Pechino vende i Bond Usa per evitare un eccesso di riserve, negativo per i rendimenti obbligazionari. La Banca di Pechino deve anche finanziare acquisti della propria valuta per controbilanciare i deflussi di capitale (finanziario e produttivo) da una Cina-paradiso (fino a ieri) per le compagnie petrolifere (BP e Royal Dutch Shell). Dunque, la produzione industriale rallenta, e la “liquidità” inonda un mercato finanziario afflitto da troppa “volatilità” mentre il governo definisce allarmistica la maggior parte delle notizi e colpevolizza, per un commercio illegale di titoli, alcune società di brokeraggio e qualche operatore di borsa. Sospettati i vertici delle potenti compagnie di Stato preoccupati dalle privatizzazioni, e le manovre politiche per un disordine voluto – si dice – dagli avversari delle riforme di Xi. La lotta interna per il potere coinvolge vecchi e nuovi quadri di partito e funzionari dell’apparato burocratico; internazionalmente divampa una guerra commerciale e monetaria con una concorrenza all’ultimo sangue per aumentare le esportazioni di merci, dopo i fallimenti di una crescita produttiva basata su indebitamenti privati e pubblici, usati anche in Cina per finanziare acquisti immobiliari prima, azioni e titoli finanziari poi. (4) Crollano le illusioni di facili guadagni, che hanno attratto anche capitali dall’estero.

Gli investimenti lordi cinesi, valutati al 44% del Pil, hanno rendimenti la cui crescita a fatica raggiunge il 5% (dal Financial Times, 25/08/2015). Altre fonti (Geoffrey McCormack) danno un aumento dei profitti in Cina al 39% nel 2007 e al 53% nel 2010, mentre nel 2013 si scende al 10,5%. Nel 2014 la cifra è ancora minore. (5)

Con un risparmio di denaro ritenuto doppio di quello occidentale, e con consumi di merci pari a circa la metà, Pechino si sforza di “copiare” il modello americano abbondante di spese in consumi di merci (compreso però anche l’aumento dei premi pagati in Usa per le assicurazioni previdenziali e sanitarie private). Inoltre, uno sviluppo del “terziario” in Cina si scontra con il debito degli enti locali; una mitica “redi­stri­bu­zione del red­dito” dovrebbe colpire la “classe agiata” cinese, sulla quale il partito si appoggia. I consumi interni sono (come ovunque) vincolati ai “redditi” di centinaia di milioni di proletari con salari da fame o disoccupati; rimane il commercio estero (se i prezzi delle merci sono competitivi…) ma le esportazioni sono crollate del 26% nel 2014 rispetto al 2008, e nei primi sette mesi 2015 sono diminuite del 7,3%.

Così, mentre il capitalismo stringe nelle catene della sua crisi lo pseudo “socialismo” di Pechino, il calo del saggio medio di profitto si fa sentire nell’accumulazione di capitale specie per le imprese statali e cooperative, che nei primi 6 mesi 2014 hanno “realizzato” solo 900 mld di yuan. Le aziende private e le imprese straniere hanno raggiunto profitti per 1.900 mld di yuan, le joint stock enterprises 2.214 mld. Ma ecco la conseguenza inevitabile per questo modo di produrre e distribuire: una sovraccumulazione di capitale che non trova più sufficiente remunerazione negli investimenti fissi necessari per competere tecnologicamente e produttivamente sui mercati. E’ franata l’illusione di una Cina valvola di sfogo per “investire” capitali dall’Occidente e importarvi merci a basso prezzo (per mantenere a un “buon livello” i consumi fra i proletari dei… paesi avanzati!). Dopo di che, la crescente massa di liquidità accumulatasi non poteva che rivolgersi alla speculazione finanziaria gonfiando bolle fino a farle eplodere.

I maghi dell’economia capitalista abbozzano ricette: aumentino i salari e la spesa pubblica! Esattamente ciò che il capitale non può né potrà mai fare, di fronte a centinaia di milioni di poveri: i pochi dati sulla Cina, tre anni fa, segnalavano 304 milioni di persone con meno di 2,25 dollari al giorno, di cui 281 milioni nelle zone rurali, e 84 milioni con meno di 1,25 dollari al giorno, di cui 82 milioni nelle zone rurali.

Ci si aggrappa alla illusione che interventi di politica monetaria possano bloccare una crisi che – sia ben chiaro – nulla ha a che vedere con i movimenti delle monetei. Centellinando le svalutazioni dello yuan si cerca di rosicchiare quote di mercato per aumentare le esportazioni; per “costruire” una… economia moderna con promesse di salari più alti, servizi avanzati, una “produzione hi tech competitiva” e altre ingannevole cialtronerie (“ecologicamente sostenibili”). Nel regno di Sua Maestà il Capitale e fra i suoi servi sciocchi non possono circolare “idee” migliori!

DC

(1) Il New York Times, in luglio, segnalava 112 mln di conti aperti alla Borsa di Shanghai e 142 a quella di Shenzen. La piccola-media borghesia e strati di aristocrazia operaia hanno fatto da “parco buoi”, con il Governo che si preoccupava così di finanziare le imprese private.

(2) L’attuale sistema pensionistico (dipendenti pubblici) si regge sull’impiego finanziario dei contributi (insufficienti a coprire la metà delle “rendite” pensionistiche erogate). Quindi senza rendimenti (elevati!) dei fondi investiti (in mercati finanziari stabili…). Ecco Pechino che ora, pur di “aiutare” la Borsa, ipoteca le pensioni future dei proletari cinesi!

(3) 266 mld di yuan nel 2011, e nel 2012 Pechino era al IV posto mondiale negli acquisti del settore lusso. Le fabbriche di auto in Cina (23 impianti stranieri fra cui General Motors e Volkswagen) hanno ridotto la loro produzione.

(4) L’Istituto di Statistica Cinese ha segnalato per i primi sei mesi 2014 una crescita dei profitti delle imprese statali (sarebbero 155mila le aziende) del +6,3% in confronto al +10,6% delle joint stock enterprises (multinazionali estere, che hanno potuto così alimentare i loro saggi di profitto). Le imprese “collettive” avrebbero aumentato i profitti solo del +2,3%, le imprese private del +13% e le imprese straniere del +16,1%.

(5) I debiti privati sono in Cina pari al 200% del Pil e il debito pub­blico ad oltre il 120%. Nel complesso, manipolazione dei dati a parte, il debito complessivo viene dato al 280% del Pil.

Giovedì, October 1, 2015