Rottamazione del governo ma anche dei contratti

I padroni vogliono abolire la contrattazione nazionale per meglio attaccare i salari

Gli ultimi avvenimenti, sia nel campo del sistema sindacale (intesa federmeccanica-sindacati) che politico (caduta del governo Prodi), confermano che destra e “sinistra” fingono di litigare per abbindolare i “cittadini”, ma alla fine presentano sempre il medesimo salato conto ai lavoratori, torchiando solo chi fatica ad arrivare alla fine del mese per salvaguardare gli interessi del capitale.

Destra e “sinistra” sono espressioni della classe borghese; si alternano nel compito di conservazione del sistema economico che li mantiene in vita a spese dell’altra classe, quella dei proletari, sfruttata e soggiogata sia materialmente che ideologicamente. La “sinistra”, in particolare, cerca invano di accattivarsi le simpatie del mondo del lavoro (gli “esperti” borghesi ora fanno a gara nel fornire dati sulle sempre più numerose famiglie proletarie con i bilanci in rosso), agitando l’eterna illusione della “redistribuzione” dei redditi. Intanto, con ogni mezzo si isola chi, specie nelle fabbriche, osi mettere in discussione il capitalismo, unica causa dell’imbarbarimento sociale che ci circonda.

Nelle trattative sul contratto dei metalmeccanici è emerso chiaramente come la contrattazione decentrata sia il traguardo verso il quale industriali, governo e sindacati si mobilitano in perfetto accordo per accorpare i vari contratti categoriali e portarne la durata minima a tre anni. Lo specchietto per le allodole (i salariati che non hanno più buchi per stringere le cinture dei pantaloni) sarebbe quello di alcuni sgravi contributivi e, in seconda battuta, una diminuzione della pressione fiscale per salari e pensioni. Basta con le ingessature degli attuali modelli contrattuali, tuona il presidente della Confindustria, Montezemolo: largo ai contratti aziendali che leghino i salari alla produttività! Un’altra “riforma” - aggiunge ipocritamente - che non solo andrebbe incontro alle “esigenze delle imprese” ma anche agli “interessi dei lavoratori riducendo la conflittualità”...

L’elegante signora Marcegaglia, vicepresidente di Confindustria, rincara la dose: “Occorre un salto molto forte verso un assetto contrattuale aziendale, e il contratto nazionale deve rimanere soltanto un paracadute”. Con quanti più buchi possibili! Bonanni della Cisl si dichiara prontamente d’accordo per “superare un modello arcaico di contrattazione”, ed Epifani della Cgil invoca un intervento di “manutenzione-aggiornamento” del modello contrattuale.

Produrre per competere sui mercati e ridare vigore ai profitti sarebbe la sola condizione da rispettare affinché i cosiddetti “incrementi salariali” non siano condannati a rimanere al palo. Con la necessaria “flessibilità del sistema” si aprirebbero le porte del paradiso terrestre per capitalisti e salariati, per sfruttatori e sfruttati. Il presidente di Federmeccanica, Calearo, prospetta infatti “la fine della opposizione fine a se stessa tra capitale e lavoro”, e il coro nazionale (capitalisti e sindacati, governo e Banca d’Italia) si sgola: aumento della produttività, cioè dello sfruttamento della forza-lavoro, per il bene dei lavoratori, ai quali si promette un aumento del loro potere d’acquisto solo realizzando quello “scambio tra salario e produttività” spacciato, da decenni, come il toccasana di tutti i mali. E per far meglio digerire ai lavoratori le successive legnate (con un Calearo, sorridente, che rassicura i suoi consociati: “Non abbiamo solo dato, abbiamo anche ottenuto”...), ci si appresta a tessere la rete di “un cambiamento culturale” che faccia delle “relazioni industriali” lo strumento più idoneo per rendere l’azienda Italia competitiva sui mercati. Dal cappello esce un altro coniglietto di pezza rattoppata.: si riduca il peso del fisco sui salari, ma poiché guai a parlare di aumentare le tasse su alti redditi, profitti industriali e finanziari, l’inevitabile diminuzione delle entrate del bilancio statale andrà compensata con una drastica “riduzione della spesa pubblica”. Non certo per spese militari, burocrazia statale, “sovvenzioni” alle imprese, alla Chiesa e quant’altro, ma sempre e soltanto a danno di scuola, sanità, previdenza e trasporti. Convincendo i proletari che così facendo si va incontro ai loro interessi, semmai sacrificandosi oggi per star meglio domani! In queste drammatiche condizioni, rinunciare ad una sia pur minima difesa dei nostri interessi anche immediati - inconciliabili con quelli di chi ci sfrutta e opprime - significherebbe non solo ingoiare il calice amaro di continui tagli al nostro potere d’acquisto e al famoso stato sociale, ma abbandonare ogni prospettiva futura per una liberazione dalle catene che ci legano al capitalismo e alla sua classe dominante. Occorre quindi rilanciare sui posti di lavoro e sul territorio - liberandoci dai vincoli imposti da sindacati e partiti - una mobilitazione capace di dare contenuti e forza alla nostra lotta di classe contro quella esercitata dal capitale e dalla borghesia.

Superando l’illusione che si possa avere qualche possibilità di successo facendo a meno della riedificazione di un vero partito comunista del proletariato in grado di guidare la giusta lotta di classe, rilanciando il programma della nostra totale emancipazione, economica e politica: abolizione dello sfruttamento dell’uomo, per una società priva di disuguaglianze e di ogni forma di violenza, affermando la collaborazione e la solidarietà internazionali dei lavoratori! Per realizzare questo programma - che si collega alla presenza e attività dello strumento politico indispensabile per interpretare e unificare le diverse istanze dei lavoratori nella lotta contro il capitale e i suoi governi - chiamiamo le avanguardie e i giovani proletari e chiediamo il loro impegno e la loro solidarietà.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.